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(Adnkronos) - "La cosa che ho imparato di più nella mia vita professionale è governare l'ego. L'ho imparato attraverso un lavoro su me stesso molto potente, e non mi vergogno a dire che questo lavoro è stato accompagnato da psicofarmaci e da una terapia individuale e collettiva. Ho chiesto aiuto". A dirlo è Pierluigi Diaco, intervistato sul palco del festival della tv di Dogliani dalla giornalista Chiara Maffioletti. "Ho avuto il privilegio di aver lavorato per 30 anni con Maurizio Costanzo - ha spiegato il conduttore di 'Bellamà' - ed ho capito che non volevo diventare come alcuni dei personaggi che salivano sul suo palco: essere una persona che parla solo del lavoro, del successo, dei dati d'ascolto e che si limitava a vivere la sua vita dentro il tubo catodico". Ripercorrendo gli anni più difficili della sua carriera, il conduttore ha spiegato che "l'errore che ho compiuto nei primi 15 anni di carriera è stato quello della presunzione, pensare che il successo facile potesse sostituire le mie ferite del cuore ed essere una risposta alla complessità che alberga dentro di noi. Non mi vergogno a dire che ho vissuto in quegli anni una depressione, che ho curato. So cosa significa attraversare il buio quando chi ti sta accanto ti dice 'ma come, lavori in tv!'. Io penso che la depressione tocchi indistintamente ciascuno di noi, e in tempi in cui l'ego prevale bisogna prendersi cura del proprio mondo interiore". Nell'intervista c'è stato spazio anche per il sorriso e la leggerezza, e Diaco ha sorpreso la platea raccontando il desiderio di un progetto che, rivela, potrebbe essere annunciato nei prossimi palinsesti Rai di fine giugno: "Mi piacerebbe fare una versione di 'Non è la Rai' con donne dai 70 anni in su - ha detto Diaco - Voglio cercare un'Ambra di ottantasette anni". Il programma, il cui format il conduttore ha già depositato alla Siae, si chiamerebbe 'Signora Mia' con il sottotitolo 'L'età lo consente', "perché in un mondo che mitizza la gioventù io sono felicissimo di invecchiare", dice Diaco.
(Adnkronos) - Due italiani su tre si sentono ceto medio, ma più della metà teme che i propri figli staranno peggio. Più di otto su dieci non vedono riconosciuto il valore delle proprie competenze nel reddito. E oltre il 70% chiede meno tasse sui redditi lordi. E' il ritratto del ceto medio italiano che emerge dal 2° rapporto Cida-Censis 'Rilanciare l'Italia dal ceto medio. Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare', commissionato da Cida, la Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità, e presentato oggi durante un convegno tenutosi alla Camera dei Deputati, aperto con i saluti istituzionali del Capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, Paolo Barelli e gli interventi del vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani e del viceministro dell'Economia e delle finanze, Maurizio Leo. Hanno portato i loro contributi Gabriele Fava, presidente Inps, Renato Loiero, consigliere del Presidente del Consiglio, e i deputati Elena Bonetti, Luigi Marattin, Annarita Patriarca e Walter Rizzetto. “Il Rapporto fotografa una frattura profonda: il ceto medio è il Punto di Tenuta del Paese, ma oggi vive un paradosso insostenibile. È troppo ricco per ricevere aiuti, troppo povero per costruire futuro. Colpito dal fisco, escluso dal welfare, ignorato nei riconoscimenti. Eppure, resiste: investe nei figli, tiene in piedi famiglie e territori con una generosità silenziosa. Ma quanto può sopportare ancora? E soprattutto, possiamo permetterci di non ascoltarlo? Se non si restituisce dignità economica a chi ogni giorno regge l’Italia, il rischio è uno solo: spezzare definitivamente il patto sociale su cui si fonda la nostra democrazia”. E' il grido d’allarme e insieme la richiesta di una scelta politica netta che arriva da Stefano Cuzzilla, riconfermato oggi alla guida di Cida dall’assemblea nazionale, che ha eletto anche i vicepresidenti Marco Ballarè, Antonello Giannelli e Guido Quici. Un capitale culturale forte, ma senza ritorno economico. Questa la contraddizione centrale che emerge dal nuovo rapporto Cida-Censis: il ceto medio italiano non si definisce attraverso il reddito, ma attraverso l’identità culturale. Il 66% degli italiani si riconosce nel ceto medio, e per oltre il 90% ciò che conta davvero è il sapere, il livello di istruzione, le competenze acquisite. Ma questi valori – pur costituendo il fondamento identitario – non trovano più riscontro nella realtà economica. L’82% degli italiani che si autodefinisce di ceto medio denuncia che il merito non viene riconosciuto, che il capitale culturale non si traduce in una giusta retribuzione. E' qui che si apre una frattura decisiva: tra capitale umano e capitale economico. E quando il riconoscimento non arriva, il motore si spegne: ciò che era spinta verso l’alto diventa semplice sopravvivenza. Negli ultimi anni, oltre la metà degli italiani che rappresentano l’ossatura sociale del Paese ha visto il proprio reddito fermo, mentre più di uno su quattro lo ha visto calare. Solo il 20% dichiara un miglioramento. Ma più che arretrare, il ceto medio oggi galleggia senza prospettiva. Anche i consumi riflettono questo stato: il 45% li ha già ridotti, e la maggioranza teme ulteriori tagli nel prossimo futuro. Non è solo una condizione economica, è un malessere sociale diffuso che svuota di speranza il futuro. Un futuro che, sempre più spesso, il ceto medio non riesce più a immaginare dentro i confini del Paese. Il 50% dei genitori appartenenti al cuore produttivo del Paese ritiene che i figli staranno economicamente peggio, e il 51% auspica che cerchino opportunità all’estero, segnando il sorpasso definitivo del 'mito dell’altrove' sul sogno di mobilità sociale interna. Nonostante ciò, il ceto medio continua a investire: il 67% delle famiglie di ceto medio con figli conviventi sostiene spese straordinarie per garantire un futuro ai figli, mentre oltre il 41% aiuta economicamente figli e nipoti, confermandosi come primo ammortizzatore sociale del Paese. Tra i pensionati della fascia di riferimento del rapporto Cida-Censis, il 47% aiuta regolarmente figli o nipoti, e il 66% ha finanziato o finanzierà almeno una spesa straordinaria. Questa 'generosità silenziosa' è sempre più sotto pressione. Solo il 52% si sente protetto da reti di welfare; gli altri oscillano tra ansia, incertezza e vera e propria insicurezza. E il risparmio, da sempre uno dei tratti distintivi del ceto medio, si erode: il 46% ha ridotto la capacità di accantonare risorse, e il 44% prevede un peggioramento nei prossimi tre anni. Quando la fiducia nel futuro si incrina, cresce il bisogno di protezione: ma è proprio qui che il sistema mostra le sue crepe più profonde. Solo il 18% giudica sufficiente il welfare pubblico. Di fronte a questa percezione di inadeguatezza, cresce la corsa al welfare integrativo: il 45% possiede una polizza sanitaria o un fondo pensione e circa il 36% vorrebbe che il contratto collettivo del settore in cui lavora prevedesse la sanità integrativa. Il rischio è una nuova disuguaglianza: tra chi può permettersi una protezione privata e chi resta scoperto.
(Adnkronos) - "La ricerca ci ha permesso di utilizzare per i nostri frigoriferi installati nei supermercati dei gas con un impatto di 4.000 volte inferiore ai gas classici, riducendo l’impatto ambientale e aumentando la sostenibilità economica e la durata delle macchine". Così Marco Nocivelli, amministratore delegato di Epta e vicepresidente di Confindustria per le politiche industriali e il made in italy, ha commentato alcune novità nel mondo dell’economia circolare intervenendo al panel “Economia circolare, tra il dire e il fare” che si è tenuto stamattina al Festival dell’economia di Trento. "L’Italia è già tra i leader in Europa nel riciclo e nel riuso - ha aggiunto Nocivelli - e questa è una direzione da prendere con forza, vediamo i benefici ogni giorno ad esempio con i nostri sistemi che già consumano il 15-20% in meno". "Chiediamo alle Istituzioni di accelerare e sostenere gli investimenti nel settore, ancora più importanti in un periodo così turbolento come quello in cui viviamo", ha concluso l’imprenditore. Secondo il rapporto 2025 del Circular economy network (Cen), promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con Enea, nell’adozione di pratiche di economia circolare l’Italia è seconda nella classifica dei 27 paesi Ue soltanto ai Paesi Bassi. Un risultato raggiunto grazie al miglioramento del 20% rispetto al 2019 della produttività delle risorse, e al tasso del 20,8% di utilizzo circolare di materia (media europea dell’11,8%).