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San Maurizio SA
San Maurizio 1619 - SM1619 (San Maurizio SA) Turismo Ruolo: HR Manager, Responsabile Gestione, Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane Area: Human Resource Management Vittorio Bertini |
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San Maurizio 1619 - SM1619 (San Maurizio SA) Turismo Ruolo: HR Manager, Responsabile Gestione, Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane Area: Human Resource Management Vittorio Bertini |
(Adnkronos) - "La svolta di Trump verso (e contro) l’Europa ha assunto ormai un carattere 'ideologico'. Non passa giorno in cui il presidente degli Stati Uniti non colga un pretesto per bacchettare e irridere i suoi alleati di una volta. La crisi ucraina ne è la manifestazione più evidente. Ma non l’unica. E’ come se a questo punto l’Atlantico fosse diventato tutto a un tratto più largo. Mettendo i paesi dell’Unione, e ovviamente anche l’Italia, dinanzi a un bivio. Fino ad ora Meloni ha cercato una via di mezzo per orientarsi alle soglie di questo bivio. Da un lato ribadendo il vincolo storico con l’alleato americano. Dall’altro cecando di non recidere più di tanto il legame con i volenterosi europei (Francia, Germania, Regno Unito). Intenzione sulla carta perfino comprensibile, se vogliamo. Eppure a questo punto davvero impraticabile. Opporre un diplomatico sorriso alle intemerate del presidente americano poteva infatti essere un gioco di prestigio all’inizio. Ma diventa un’opzione senza costrutto una volta che quei pronunciamenti rivelano una strategia ben precisa. Con l’aggravante di chiedere in cambio una sorta di sudditanza assai poco “patriottica” per chi viene chiamato a corrispondervi. Il fatto è che la politica estera conosce regole che non possono essere eluse. Tantomeno sottovalutate. Una volta che l’inquilino della Casa Bianca mette alla berlina i suoi alleati degli ultimi decenni e imprime una svolta così radicale alla geopolitica a stelle e strisce diventa lunare continuare ad illudersi che prima o poi Washington possa cambiare registro. Almeno fino a quando sarà il tycoon a guidare la danza da quelle parti. Così siamo arrivati al punto in cui atlantismo ed europeismo divergono. Bivio doloroso da imboccare per chiunque (come il sottoscritto, peraltro) abbia sempre fatto il tifo per l’America. Eppure a quel bivio non è più dato sottrarsi anche per quelli tra di noi che si trovano meglio quando riescono a conciliare l’inconciliabile. Si dirà che anche l’Unione europea paga il prezzo delle sue incertezze e titubanze. E risalendo ancora più indietro nel tempo che non si è colta l’occasione dell’allargamento ad est per darsi nuove regole. La prima delle quali avrebbe dovuto essere quella del voto a maggioranza, abolendo finalmente quel diritto di veto che è diventato il pretesto a disposizione dei paesi meno convinti della causa europea. Occasione sprecata, a suo tempo, nonostante tanti buoni propositi. Ora però ci avviciniamo a un punto ancora più decisivo. Giacché è evidente che l’Europa non può più fermarsi a metà strada. O coglie l’occasione per imprimere una svolta a se stessa o si rassegna a tornare indietro -molto indietro- nel tempo. Direzione verso cui la spingono tutti i suoi avversari. E dalla quale però avremmo tutto l’interesse a non scivolare. Le correnti euroscettiche -chiamiamole così, con un dolce eufemismo- hanno fatto sentire la loro voce. E quella voce è risuonata più di una volta anche nel nostro paese. Eppure dovremmo considerare che proprio l’accanimento con cui i nostri avversari e competitori sparsi per il mondo fanno del loro meglio per dare addosso al vecchio continente sono la paradossale controprova di quanto potrebbe contare l’Unione se appena fossimo capaci di uscire da certe nostre piccinerie. Cosa non facile, è ovvio. Eppure fondamentale in un mondo diventato così turbolento. E soprattutto così compiacente verso i dittatori che se ne vogliono appropriare. Non è molto il tempo che abbiamo davanti. Nel bel mezzo di una crisi planetaria come quella che ci avviluppa non ci è più consentita l’attesa. Possiamo imboccare la strada di una “costituente” europea. O rassegnarci a una marginalità che ogni paese dovrà affrontare dall’angolo della sua fragilità. Basta sapere che in questo caso la via di mezzo non ci è più consentita. A suo modo la virulenza di Trump ci offre un’occasione. Sarebbe doveroso non lasciarla cadere". (di Marco Follini)
(Adnkronos) - Nel Festival del management, tenutosi quest'anno a Napoli, è stato ancora una volta posto l’accento sulla crescente esigenza da parte delle pmi italiane di accrescere le proprie competenze manageriali: il Temporary Management (TM) è stato da più parti indicato come uno strumento adatto a perseguire questo scopo, rappresentando un mezzo efficace per 'portare in casa' competenze di alto livello, per il tempo necessario e a costi variabili, in modo che alla fine di un progetto l’azienda sia in grado di fare le stesse cose meglio di prima o di farne di nuove. Prende spunto da queste considerazioni il crescente interesse da parte del legislatore di creare attraverso il costrutto normativo un terreno fertile per l’utilizzo dello strumento, come peraltro dimostrano alcuni buoni esempi del passato. Su questo Adnkronos/Labitalia ha intervistato l'esperto Maurizio Quarta, managing partner di Temporary Management & capital advisors e vp di Confassociazioni management, per capire come il legislatore ha affrontato questo problema. "Da diversi anni - afferma - i legislatori locali e nazionali hanno riconosciuto l’importanza di disporre di strumenti legislativi di supporto all’utilizzo del TM nelle pmi, quali elementi incentivanti e facilitanti di una conoscenza ed un apprezzamento del servizio in costante aumento. Ultimo e più recente 'prodotto' di questa linea di pensiero è la proposta di legge 2474, a firma di Letizia Giorgianni e altri, avente per oggetto 'Agevolazioni fiscali per l’assunzione di dirigenti temporanei e a progetto presso le piccole e medie imprese', attualmente in fase di lavorazione". Dal punto di vista delle formulazioni, il legislatore locale ha prodotto più e forse meglio di quello nazionale, sicuramente più vincolato da difficoltà di natura sostanzialmente politica. "Due - spiega - i punti chiavi affrontati in maniera diversa dai vari proponenti: da un lato i requisiti professionali del temporary manager (quali e come attestarli) e il suo legame con la figura del dirigente, dall’altro le modalità di finanziamento di un progetto. Il primo esempio di legge italiana che riconosce il TM e le società che lo forniscono è la legge n. 7193 del 12 novembre 1997 della Regione Umbria, cui va riconosciuto il merito di interpretarne nel giusto modo i principi (elevata seniority; interventi per innovazione e diversificazione, a livello di top management e funzionale; necessità di un progetto con obiettivi ben definiti; intervento anche attraverso società specializzate)". "Nel 2004 - ricorda - la Commissione Lavoro della Camera ha elaborato un disegno di legge (il 5421, definito Camo-Lettieri) che prevedeva agevolazioni fiscali per interventi nelle pmi. Il ddl partiva da corrette considerazioni sulla scarsa capacità competitiva delle imprese italiane, riconducibile alla struttura prevalente delle piccole imprese ed alla loro bassa capacità di finanziamento, alla quale si sommano le loro scarse capacità gestionali e la limitata presenza di manager in grado di organizzare e guidare l’azienda con metodo e coerenza". "La migliore articolazione fino ad oggi - assicura Maurizio Quarta - proviene dalla regione Friuli Venezia Giulia che, prima con il 'Documento strategico per il comparto manifatturiero' introduce il concetto di Temporary Management definendolo come la gestione di una o più attività aziendali da parte di manager professionisti, poi approva il 'Disegno di legge sullo sviluppo competitivo delle pmi', che, con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Friuli Venezia Giulia del 4 marzo 2005, è diventato la legge n. 4, altresì nota come legge Bertossi dal nome del suo ispiratore. Finalità principale di questa legge è quella di superare i fattori tradizionali di debolezza competitiva, quali l’insufficienza dimensionale e i livelli di capitalizzazione, la scarsa apertura degli assetti di governo societario e l’inadeguatezza dei livelli di managerializzazione". "I destinatari degli incentivi - ricorda - sono le piccole e medie imprese, in qualsiasi forma costituite, singole ed associate, aventi sedi o almeno un’unità operativa nel territorio regionale, per l’utilizzo di manager a tempo che, a fronte di un business plan definito, le aiutino a gestire ad esempio, interventi crescita dimensionale (aggregazioni, fusioni e accordi interorganizzativi), processi di internazionalizzazione (creazione di reti commerciali all’estero, sviluppo strutturato di relazioni internazionali); razionalizzazione degli assetti gestionali e organizzativi; situazioni di successione generazionale, processi di ricapitalizzazione o di riordino degli assetti di governo societario anche attraverso l’apertura a terzi, fabbisogno manageriale temporaneo. In questa legge, infine, si presta molta attenzione al profilo del manager, alla valutazione della sua coerenza con il business plan, e alla sua capacità di trasferire competenze". "Nel 2010 - continua - Alessia Mosca, segretario della Commissione lavoro della Camera, e Giuliano Cazzola, vice presidente della stessa Commissione, hanno avviato un processo positivamente bipartisan per arrivare, in tempi anche rapidi, alla definizione di un testo di legge nazionale sul tema del Tman. Sono così nati, per motivi di opportunità politica, due disegni di legge sostanzialmente gemelli sulla materia: il primo, presentato da Alessia Mosca (ddl 3642 del 20 luglio 2010), il secondo, presentato da Giuliano Cazzola (ddl 3978 del 20 dicembre 2010). Le caratteristiche richieste al Tman: aver operato come dirigente per almeno dieci anni presso imprese con più di 10 dipendenti, per interventi di natura funzionale oppure almeno quindici anni presso imprese con più di 50 dipendenti, per interventi di natura gestionale complessiva. Tra i progetti ammissibili al finanziamento: crescita dimensionale dell’impresa; internazionalizzazione; razionalizzazione degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa; successione generazionale dell’impresa; processi di ricapitalizzazione o di riordino degli assetti di governo societario anche attraverso l’apertura a terzi; il trasferimento di know how e di competenze manageriali". In relazione alla nuova proposta di legge a firma Letizia Giorgianni, Quarta commenta: "L'incipit è inappuntabile: la proposta si propone, da una parte, di rafforzare la struttura organizzativa delle nostre pmi, dall’altra di creare un tessuto imprenditoriale favorevole all’affermazione di una nuova generazione di manager flessibili, dinamici e orientati al risultato. Nell’articolo 2, in sede definitoria, il dirigente temporaneo e a progetto è un professionista qualificato a cui sono attribuite, funzioni di amministrazione temporanea dell’intera azienda, di un suo ramo, di una specifica funzione o struttura ovvero di sviluppo e attuazione di un progetto determinato e delimitato nel tempo: a parte forse la necessità di chiarire per bene il legame con la figura del dirigente, sembra essere, in versione compatta, la definizione canonica del TM". "Un punto delicato di attenzione - avverte - emerge però nell’articolo 3 che pur parte dalla corretta premessa che il Temporary Manager deve avere una comprovata esperienza nella gestione aziendale. Scendendo nel dettaglio, si richiede infatti che il dirigente temporaneo e a progetto debba essere: a) un dottore commercialista, iscritto all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che abbia maturato un’esperienza professionale di almeno tre anni, anche non continuativi, nello svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso un’impresa, con almeno due incarichi nell’ultimo triennio in organi amministrativi o di controllo; b) un professionista in possesso del diploma di laurea magistrale in scienze economico-aziendali (classe LM-77), che non abbia superato il trentacinquesimo anno di età alla data della sua assunzione, e che abbia esercitato, anche in modo non continuativo, per un periodo complessivo non inferiore a tre anni, funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso un’impresa". "La formulazione della proposta di legge nella sua forma attuale -chiarisce - sembrerebbe molto restrittiva e limiterebbe in maniera rilevante il campo di applicazione. Abbiamo pertanto posto ad un panel di Tman e ad alcune associazioni manageriali la seguente domanda per mettere bene a fuoco il punto. Una pmi che utilizzi un direttore hr, un direttore industriale, un cfo o un dg (tutte casistiche reali), quindi un manager che non rientri nella fattispecie dell’articolo 3 ai punti a) e b), potrebbe o meno accedere ai benefici della futura legge? Apparentemente no, dato che i Tman impegnati in tutti questi casi non avrebbero i requisiti richiesti in quanto non dottori commercialisti, parliamo sempre e solo ovviamente manager di lungo corso, e in quanto tutti ben over 50 (ovvero con almeno 15 anni di esperienza nel ruolo, come richiesto dalla tipologia di problemi da gestire). La risposta è stata praticamente sempre la stessa: la stragrande maggioranza degli incarichi realizzati sul mercato oggi per le pmi non troverebbe spazio per essere finanziata con l’attuale proposta di legge". "Peraltro - fa notare - anche in sede di Commissione, è stato sollevato lo stesso problema, in quanto tale requisito 'appare incongruente alla luce della realtà socio-economica del Paese, nella quale i dirigenti che si occupano di risorse umane spesso hanno conseguito un titolo di studio in ambiti diversi dall’economia e dal commercio'. Sempre in sede di Commissione, ecco la relativa controobiezione: gli spazi finanziari prospettati dal provvedimento non sembrano consentire un consistente allargamento della platea dei soggetti tra cui le imprese potranno scegliere i temporary manager". "Dalle interviste informali effettuate - riferisce - abbiamo cercato di estrapolare i più significativi suggerimenti per il legislatore.In primis, l’aspettativa è che una legge nazionale sul TM abbia un campo di applicazione il più ampio possibile, per tenere in adeguato conto quello che realmente avviene sui mercati italiano e internazionali. A titolo di cronaca, la nostra indagine internazionale del 2022 evidenziava un’età media di 53 anni con almeno 3 anni di esperienza come Tman (oltre all’esperienza pregressa come manager permanent/dirigente). Di conseguenza, per poter comprendere il mercato del tm nelle pmi nella sua totalità, si chiede di inserire tra le figure professionali dell’articolo 3 anche le seguenti categorie: manager funzionali con significativa esperienza gestionale (almeno 15 anni come dirigente apicale nella specifica funzione); dg e ceo sempre con significativa esperienza gestionale (almeno 10 anni nel ruolo). "Un punto che - sottolinea Maurizio Quarta - per il legislatore è importante è la possibilità di poter esibire dei titoli a sostegno di una possibile richiesta: per quanto riguarda il ruolo di dirigente, si ratta di uno status contrattuale facilmente provabile. Per il ruolo di dg e ceo, di fatto un sottoinsieme del precedente, basterebbe produrre le dichiarazioni delle aziende presso le quali il manager ha avuto questi ruoli per alcune figure professionali. In alcuni casi, si potrebbe anche fare riferimento alle certificazioni messe in campo da alcune associazioni manageriali, esempio per le risorse umane (Aidp) e per finanza amministrazione e controllo (Andaf), caratterizzate dalla certificazione di terza parte indipendente e dalla conformità con le regolamentazioni nazionali e internazionali in materia (prassi Uni Pdr 104:2021 per Andaf e norma Uni11803:2021 per Aidp). Come pure per l’attestato di qualità e qualificazione professionale di leading network, associazione non ordinistica riconosciuta dal Mimit". "Una volta risolto questo non banale nodo interpretativo - aggiunge - da più parti si è anche discusso sull’opportunità o meno di utilizzare lo strumento del credito d’imposta rispetto a forme più dirette di finanziamento (come nel caso di alcune leggi regionali), rilievo fatto anche in Commissione: mentre dal punto di vista puramente operativo le pmi, specie le più piccole, gradirebbero una forma di finanziamento a fronte spesso di un capitale circolante limitato per far fronte ai costi, comunque rilevanti, di un progetto di TM, il legislatore nazionale, anche in passato, ha dovuto 'obtorto' collo optare per la soluzione del credito d’imposta data l’oggettiva difficoltà a trovare le coperture finanziarie necessarie nell’altro caso". "In sintesi, il credito d’imposta non sarà certamente ottimale, ma perlomeno garantisce che una proposta di legge non venga bloccata sul nascere. In sintesi, la proposta di legge attualmente in discussione contiene senza dubbio una serie di punti interessanti, che potrebbero essere ulteriormente valorizzati in un contesto applicativo più ampio", conclude.
(Adnkronos) - A2A ha presentato oggi il suo primo Piano di Transizione Climatica che definisce target, leve operative e strumenti finanziari per guidare il percorso di decarbonizzazione del Gruppo verso l’obiettivo del Net Zero al 2050. Il documento strategico, pensato come strumento dinamico e trasparente, verrà aggiornato annualmente in parallelo e assoluto coordinamento con il Piano Industriale, così da riflettere costantemente l’evoluzione degli scenari energetici e macroeconomici. “La mitigazione dei cambiamenti climatici rappresenta una condizione imprescindibile per la stabilità dei sistemi ambientali, sociali ed economici. Dal 2000 a oggi, gli eventi climatici estremi hanno generato danni per oltre 3.600 miliardi di dollari e le stime indicano che i costi dell’inazione potrebbero raggiungere i 1.200 trilioni di euro, quasi il doppio degli investimenti necessari a rispettare gli Accordi di Parigi.” – ha dichiarato Roberto Tasca, Presidente di A2A - “In questo scenario, i piani di transizione climatica delle imprese rivestono un ruolo essenziale nella mobilitazione dei capitali: permettono di valutare preventivamente i rischi, individuare nuove opportunità di investimento, rafforzare la fiducia del mercato e favorire un migliore accesso al credito, contribuendo alla riduzione dei costi di finanziamento. Essi costituiscono inoltre la base delle strategie di finanza sostenibile, un ambito nel quale il nostro Gruppo è stato pioniere, con l’emissione del primo European Green Bond e del primo Blue Bond in Italia. Iniziative che confermano come la transizione verso modelli di business più responsabili possa generare valore finanziario per l’azienda e per tutti gli stakeholder''. “La crisi climatica richiede visione, coerenza e la capacità di agire con responsabilità nel lungo periodo. Affrontiamo questa sfida facendo leva sulle nostre competenze industriali, sull’innovazione tecnologica su cui stiamo investendo e su un modello di business che integra dimensione ambientale, economica e sociale.” - ha dichiarato Renato Mazzoncini, Amministratore Delegato di A2A - “Il nostro obiettivo è chiaro: raggiungere il Net Zero su tutti gli Scope emissivi entro il 2050. Il Piano di Transizione Climatica chiarisce come intendiamo farlo, definisce tappe intermedie ambiziose e amplia la nostra visione oltre l’orizzonte del Piano Industriale al 2035, pur nella consapevolezza che, per gli scenari in grande cambiamento, dovremo costantemente aggiornare traiettoria e azioni. In questo quadro, abbiamo già previsto circa 7 miliardi di investimenti dedicati a specifiche leve di decarbonizzazione: 5 per la Transizione Energetica e 2 per l’Economia Circolare''. Il Piano si fonda su uno scenario energetico che prevede per l’Italia il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050, con un ruolo rilevante delle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO₂ (CCS) e una crescita della domanda elettrica legata all’elettrificazione dei consumi a cui si aggiunge il recente sviluppo dei data center. Nel Transition Plan l’upside di richiesta di energia da parte di questi hub digitali non è ancora stata fattorizzata; se le previsioni degli scenari nazionali più recenti verranno confermate, sarà necessario definire, dal prossimo aggiornamento, un nuovo approccio alla produzione elettrica che garantisca un carico baseload costante e sicuro. La strategia del Gruppo ruota attorno a due pilastri: 1. Elettrificazione dei consumi, sostenuta da un forte incremento delle fonti rinnovabili e dal contributo del gas naturale in impianti termoelettrici ad alta efficienza nel breve-medio periodo; 2. Economia circolare, attraverso la valorizzazione dei rifiuti e degli scarti come materia o energia, contribuendo così a una significativa riduzione delle emissioni del Paese. L’obiettivo finale è una riduzione di almeno il 90% della carbon footprint del Gruppo entro il 2050 rispetto al 2023, con compensazione delle sole emissioni residue tramite crediti di rimozione certificati. Il Piano conferma inoltre: riduzione del 50% delle emissioni dirette entro il 2035 e dell’80% entro il 2040 (rispetto al 2017); riduzione del 61% dell’intensità emissiva (gCO₂e/kWh) entro il 2035 (baseline 2017); azzeramento delle emissioni Scope 2 legate all’acquisto di energia entro il 2026; riduzione delle emissioni Scope 3 lungo la supply chain (-30%), nelle attività upstream dei vettori energetici (-60%) e nell’uso del gas da parte dei clienti (-22%) al 2035 (baseline 2023). La supply chain rappresenta una leva determinante del percorso: per questo il Gruppo ha avviato il progetto Scope 3, dedicato al supporto dei fornitori nell’implementazione di strategie di riduzione delle emissioni. Complessivamente, i circa 7 miliardi di capex al 2035 saranno allocati in particolare per: 3,4 miliardi allo sviluppo della produzione da fonti rinnovabili; 1 miliardo a soluzioni di cattura della CO2 per impianti Waste-to-Energy, recupero di calore industriale e dai data center per le reti di teleriscaldamento, elettrificazione della flotta dedicata alla raccolta rifiuti e sviluppo della produzione da bioenergie. Il Piano è sostenuto da strumenti di finanza sostenibile, come il primo European Green Bond del Gruppo e il primo Blue Bond in Italia. L’obiettivo è portare al 100% la quota di debito ESG entro il 2035 (attualmente all’82%). Elemento imprescindibile della strategia è la Just Transition: il Gruppo garantirà percorsi di reskilling e upskilling a tutto il personale coinvolto nelle attività che evolveranno nel contesto della decarbonizzazione, con programmi formativi dedicati e iniziative per attrarre nuove competenze. Parallelamente, A2A prosegue nel dialogo con i territori attraverso iniziative di ascolto, engagement e formazione rivolte a cittadini, imprese e scuole, promuovendo una transizione equa, inclusiva e condivisa.