(Adnkronos) - Individuare un nuovo equilibrio tributario e di welfare che non penalizzi il ceto medio fatto di manager, dirigenti e tutti quei lavoratori che superando i 35 mila euro di reddito (sono solo il 15% di tutti i contribuenti italiani) e si fanno carico del 63% di tutte le imposte; disegnare azioni che valorizzino il ruolo dei dirigenti come agenti di cambiamento e innovazione capaci di favorire la crescita economica e lo sviluppo d’impresa e identifichino il futuro della managerialità del Paese. Sono stati questi alcuni dei temi discussi nella giornata di ieri e nella mattinata di oggi dagli oltre 200 manager delegati intervenuti da tutta Italia a Milano, negli spazi dell’Hotel Enterprise in Corso Sempione per la 104°Assemblea Nazionale di Manageritalia. “La Legge di Bilancio ha tacitato i mercati ma fa poco per l’Italia produttiva. Non c’è niente per la crescita e si colpisce ancora di più il ceto medio, soprattutto quei cittadini, i soliti pochi e noti che pagano regolarmente tasse e contributi, che mantengono di fatto il welfare del Paese”, dice Marco Ballarè, Presidente di Manageritalia, che prosegue: “Il tetto alle detrazioni fiscali è un modo elusivo per aumentare le tasse a chi sopra i 70mila euro lordi l’anno già è escluso dalle varie agevolazioni che peraltro finanzia. Manager e alte professionalità sono, per ruolo e competenze, determinanti per tornare a crescere cogliendo appieno le opportunità della trasformazione digitale e del lavoro nel sentiero di una vera sostenibilità, ma questa manovra non solo ci ignora, ma anche ci punisce". Nella sua parte pubblica, di questa mattina, l’Assemblea di Manageritalia ha ospitato l’intervento di Alberto Brambilla, Presidente di Itinerari Previdenziali sul tema 'Il difficile finanziamento del welfare e lo squilibrio fiscale'. Dai dati presentati si evince come 17 milioni di contribuenti, oltre il 40% del totale, dichiarano di guadagnare meno di 15mila euro l'anno e pagano solo 11% dell'Irpef complessiva. Coloro che invece dichiarano redditi dai 35mila euro in su sono 6,4 milioni, il 15,27% del totale, e pagano il 64% dell'imposta totale. In sostanza redditi che superano la sogna fatica dei 35mila garantiscono la tenuta del sistema di protezione sociale italiano e delineano un paese diviso in due tra chi paga e chi viene mantenuto. Una polarizzazione e una dicotomia che si rispecchia anche a livello geografico con le regioni del Nord che contribuiscono per il 57,2%, quelle del Centro con il 21,8% e il Sud con il 20,9% del totale dell’Irpef. Percentuali analoghe anche per quanto concerne l’Iva versata con il 64,3% per il Nord, 24% per il Centro e solo 10,4 per Sud. Il confronto con altre nazioni è impietoso e fa emergere come l’aliquota marginale che in Italia parte da 50mila euro ed è pari al 43%, in altre Paesi scatti a livelli di reddito ben più alti: in Francia 82mila euro con aliquota al 41% e in Germania a 63mila euro e un’aliquota al 42% A causa di questo, nel 2024 un lavorare con un reddito imponibile di 100mila euro paga solo di Irpef erariale 35.900 euro in Italia, rispetto ai 25.949 euro in Francia e ai 23.124 in Germania. “Con questi numeri e percentuali, che vedono il 40% dei contribuenti mantenere il restante 60% il sistema non regge nel lungo periodo, con una evidente diminuzione dei servizi a disposizione della collettività e un aumento esponenziale del debito pubblico”, commenta Brambilla. Per il Presidente Centro Studi Itinerari Previdenziali intervenendo nel corso dell’assemblea, “bisogna intervenire con una decisa azione sinergica da parte di tutti i partiti per risolvere il grande problema fiscale del nostro Paese. Attuare un vero regime a tassazione continua sul modello tedesco superando il nostro a scaglioni che penalizza la classe media con redditi dai 50mila in su. Va anche superato il sistema dei bonus e delle agevolazioni basate sull’ISEE che certo non fotografa il reale profilo fiscale del cittadino. Oltre a rimodulare l’intero sistema detrazioni”. In questo scenario fortemente sbilanciato, sia al livello nazionale che internazionale, interventi come la “pace fiscale” o la “Flat tax” possono rappresentare un motore di produzione di sommerso, di lavoro nero e quindi di evasione con il solo risultato di acuire le disparità tra chi contribuisce alla crescita del paese e chi no, anteponendo il proprio interesse a quello collettivo. I numeri evidenziano come nel lungo periodo, considerando anche l’inverno demografico che stiamo vivendo e l’invecchiamento della popolazione italiana, rendono l’intero sistema insostenibile con evidenti ricadute sulla competitività del Paese e delle imprese. Contrastare l’evasione fiscale non può però essere sufficiente se non si migliorano anche produttività e mercato del lavoro di un Paese che, pur incrementando mese dopo mese il proprio tasso di occupazione, resta fanalino di coda in Europa per tutti i principali indicatori occupazionali. L’Italia come emerso dall’assemblea deve crescere per guardare al futuro con fiducia e in questo i manager hanno un ruolo determinante. La giornata di venerdì 22 è stata invece dedicata alle presentazioni dei fondi, enti e società del sistema Manageritalia per poi proseguire con relazione del Presidente Ballaré, che ha ribadito il ruolo preminente del terziario affinché questi abbia finalmente il giusto riconoscimento nelle policy e nelle azioni di Governo oltre a rivalutare il ruolo strategico della figura del manager e delle sue competenze quale risorsa essenziale per la crescita delle imprese, e dell’intero sistema Paese in un momento di forte cambiamento dovuto alle transizioni tecnologiche e ambientali. Ha inoltre anticipato il programma che guiderà l’azione di Manageritalia nei prossimi quattro anni: una maggiore valorizzazione dei territori, un nuovo patto sociale basato su lavoro, welfare ed equità, crescita sostenibile ed economia dei servizi e infine una più incisiva rappresentanza e governance.
(Adnkronos) - "La trasformazione digitale di Sisal è stata possibile grazie all'investimento in infrastrutture digitali e in formazione interna con un approccio più sostenibile e inclusivo. Abbiamo offerto a tutti la possibilità di acquisire le competenze digitali”, utili non solo, “al ruolo ricoperto in azienda, ma anche ad essere attivi sul mercato del lavoro”. Così Francesco Durante, amministratore delegato di Sisal, intervenendo a valle dell’evento ‘FutureS’, organizzato a Roma, proprio da Sisal, per creare un'occasione di confronto con istituzioni, aziende e opinion maker sulle sfide e le opportunità legate all'innovazione digitale. Al centro dell’appuntamento il tema delle infrastrutture digitali come motore di sviluppo per il sistema produttivo italiano: “Le infrastrutture digitali e i dati saranno sempre più rilevanti per la sicurezza e la competitività del Paese - sottolinea l’ad Durante - diventerà fondamentale investire in infrastrutture e progetti come il Polo strategico nazionale”, cioè il cloud per la gestione dei dati e servizi della Pubblica amministrazione italiana, “e diventa ancora più importante investire in competenze digitali per rendere il Paese più competitivo: in Italia circa il 50% delle persone non ha ancora competenze digitali di base, siamo uno degli ultimi Paesi in Europa - rimarca - Dobbiamo favorire un processo di inclusione sociale per dare la possibilità a tutti di acquisire le competenze oggi necessarie per essere attivi sul mercato del lavoro”. L’amministratore delegato di Sisal fa sapere che l’azienda ha lavorato “per costruire un modello diffuso di competenze digitali sul territorio” e lo ha fatto aggiungendo agli “hub di Milano, Roma e Torino anche l’hub di Napoli e Palermo”. Sempre sotto il profilo delle competenze digitali, Sisal ha stretto una collaborazione con il mondo accademico: “Abbiamo costruito delle partnership per fare in modo che le persone uscite dai percorsi di formazione”, universitari, “avessero le giuste competenze digitali. Un esempio è la partnership con il Politecnico di Torino per lo sviluppo del master universitario di secondo livello ‘HumanAIze’, che consente a persone con competenze umanistiche di acquisire anche quelle digitali e tecnologiche”, al fine di, “creare delle figure professionali ibride che oggi sono estremamente rilevanti, ma non disponibili sul mercato del lavoro”, conclude.
(Adnkronos) - Più di un milione di chili di plastica riutilizzata ogni anno nelle proprie produzioni, arrivando a coprire fino al 90% della produzione totale. È il caso studio di Ifaba, presentato da Omnisyst a Ecomondo, evento di riferimento in Europa per nuovi modelli di economia circolare, terminato l'8 novembre a Rimini. Il caso vede protagonisti gli stabilimenti produttivi di Ifaba, multinazionale tascabile milanese specializzata nella fornitura di forme per la produzione di scarpe ai principali marchi mondiali del lusso. Affiancata da Omnisyst, attiva nella gestione circolare dei residui di produzione, Ifaba ha intrapreso un progetto che unisce logistica inversa, simbiosi industriale e responsabilità estesa del produttore per un riutilizzo virtuoso dei materiali plastici. Nel dettaglio, l’azienda ha richiesto supporto a Omnisyst per ridurre il quantitativo di residui in un ambito specifico: la produzione di forme in plastica per calzature, che hanno una vita molto breve. Queste forme, diverse per ogni collezione, modello di scarpa e taglia, non possono essere riutilizzate per le produzioni successive, incrementando così la quantità di rifiuti. È nato, così, un approccio che prevede il ritiro e il recupero delle forme di plastica ormai esauste dai clienti del lusso di Ifaba e il loro conferimento in un impianto che le riduce in granuli per essere reimpiegate nella produzione di nuove forme di scarpe, creando un ciclo virtuoso che minimizza l’impronta ambientale. “Le esigenze sono quelle di avere dei livelli di servizio, di professionalità e di struttura dell’azienda - afferma l’amministratore delegato di Ifaba Luca Giani - che devono essere sempre di più ricercate nell’eccellenza. Solo in innovazione, macchinari e attrezzature, nel piano industriale di Ifaba, investiamo tra il 7 e il 9% dei ricavi”. Ifaba decide, così, di assumersi la responsabilità del destino di residui industriali che non erano più in loro gestione: questo concetto di responsabilità estesa del produttore va oltre gli obblighi normativi e rappresenta un nuovo impegno per l’ambiente. La logistica inversa, che ha inizio alla fine del ciclo di vita delle forme per calzature e che mira a restituire valore al prodotto per un suo riutilizzo, rappresenta una soluzione di grande impatto nell’ambito della gestione sostenibile dei materiali, permettendo di chiudere il ciclo di vita dei prodotti riducendo gli sprechi. “Omnisyst ha supportato Ifaba in questo percorso - spiega Antonino Rapisardi, direttore Commerciale, Strategia e Sviluppo di Omnisyst - studiando il flusso di rifiuti plastici generati alla fine del ciclo di vita delle forme per calzature e progettando un processo per il recupero e la riduzione in granuli della plastica. Il modello operativo sviluppato è il risultato di un Waste Check-Up approfondito, che ha permesso di ottimizzare le soluzioni di riutilizzo con un approccio data-driven, monitorando al contempo le emissioni”. L'intervento ha portato a risultati tangibili: in due soli carichi, sono stati recuperati oltre 25mila chili di prodotto e compensati 540 kg di emissioni di CO2, monitorati con algoritmo proprietario e certificato Omnisyst, garantendo un processo carbon neutral. Questo modello integrato è stato reso possibile grazie alla digitalizzazione e a un’accurata gestione dei dati. Rapisardi continua: “Questi processi sono già in essere in Italia in certi ambiti da trent’anni. Se parliamo di riciclo, l’Italia è campione europeo, come dimostrato dal recente report GreenItaly. Qui si tratta ora di diffondere il messaggio e fare in modo che diventi una pratica sempre più diffusa. La sensibilità delle aziende a questo tipo di pratiche è fondamentale, altrimenti queste eccellenze restano dei silos pur virtuosi a livello europeo, ma che non si propagano in tutto il tessuto industriale”. Sono stati seguiti, dunque, i principi di simbiosi industriale, che puntano alla creazione di un circuito chiuso, in cui i cosiddetti 'scarti' di lavorazione possono essere riutilizzati all’interno di altri processi, che siano di un’azienda prossima o della stessa azienda che li ha generati. La simbiosi industriale consente alle aziende di condividere risorse e know-how, ottimizzando l’efficienza dei processi e abbattendo i costi.