(Adnkronos) - Come e perché ordiniamo a casa non è più solo una questione di praticità: è uno specchio delle nostre emozioni, dei nostri rituali e del modo in cui costruiamo relazioni e identità. I nuovi italiani del delivery, infatti, usano il cibo per dire chi sono, cosa provano e in che 'mood' si trovano. C’è chi ordina sushi per sentirsi cosmopolita, chi finge che la lasagna arrivi dal proprio forno, chi semplicemente non ha voglia di cucinare, e non se ne vergogna affatto. Con il nuovo Osservatorio Just Eat, realizzato con Toluna, si fornisce una fotografia sulle abitudini, le emozioni e i piccoli rituali che trasformano ogni ordine in un gesto culturale. Città diverse, tre generazioni e un unico filo conduttore: il cibo consegnato a domicilio come specchio fedele del nostro modo di vivere, tra praticità, piacere e un pizzico di strategia sociale. Con una media di 1,5 ordini a settimana, ordinare a casa è ormai un’abitudine consolidata, più simile a un rituale che a un’emergenza da frigo vuoto. Chi ordina lo fa principalmente in compagnia (92%), spesso in coppia (55%) o in famiglia (49%), e non è raro dover scendere a compromessi sui gusti. La Gen Z lo usa come estensione della propria socialità - spesso si ordina in gruppo, si litiga sui gusti e si risolve con 'ordini paralleli' da ristoranti diversi (succede a più di metà dei giovani), confermandosi la generazione più inclusiva e democratica. I Millennials alternano momenti di convivialità a serate di comfort e binge watching, mentre la Gen X resta fedele ai propri locali di fiducia, quelli 'di sempre', spesso sotto casa. Quindi il delivery è il nuovo tempo per sé: condiviso o solitario, ma sempre meritato. Una curiosità quando si parla di convivialità? Napoli è la città più 'delivery social': il 70% ordina in compagnia, contro il 59% della media nazionale. Il delivery permette anche di fare cose che altrimenti sarebbero complicate: ordinare quando non si può uscire (45%), provare piatti nuovi o cucine insolite (33%) e mangiare a orari non convenzionali (24%). L’umore e il contesto influenzano fortemente la scelta: il gusto, con le papille gustative, guida il 47% delle decisioni, il 30% con la pancia ordinando qualcosa che sia in grado di saziare, il cervello per il 13% con alimenti sani e nutrienti e l’estetica, con gli occhi, l’11%. Come dimostra la nuova campagna di Just Eat, che mette in scena con ironia la vera battaglia che succede “dal cervello alle papille gustative, è proprio quel momento in cui tutti noi siamo divisi... fino a premere 'Ordina'”. Per i più attenti alle texture e ai suoni del cibo, il trend Asmr (Autonomous Sensory Meridian Response) si fa sentire: il 19% cerca piatti con consistenze particolari e il 22% si lascia attrarre dall’estetica del piatto. Chi sceglie cosa ordinare, poi, lo fa guidato da praticità e gusto: velocità (50%), costi di consegna (47%) e prezzo dei piatti (45%) sono i principali driver. Chiamare per ordinare divide nettamente le generazioni: la Gen X non lo vive come un problema, mentre Gen Z e Millennials preferiscono le app digital-first, più rapide e comode. Non tutti però giocano a carte scoperte: quasi 4 italiani su 10 ammettono di aver spacciato, almeno una volta, un piatto da asporto per una propria creazione. È il fenomeno del delivery camouflage, e riguarda soprattutto contesti informali, come cene con amici, aperitivi casalinghi, pranzi in famiglia. Le 'coperture' più frequenti? Lasagne, pasta al forno e dolci, piatti abbastanza credibili da sembrare homemade ma troppo impegnativi da voler davvero cucinare. E mentre la Gen Z lo vive con leggerezza e ironia, tra i Millennials prevale ancora il senso di 'furbizia': il 60% non lo ammette mai apertamente. Insomma, c’è chi cucina e chi sa solo ordinare bene. E se qualcuno chiede la ricetta? Sorriso, pausa tattica e cambio argomento: la consegna è già arrivata. Se un tempo ordinare cibo a casa era sinonimo di pigrizia, oggi è diventato un piccolo gesto di cura personale. Per il 57% degli italiani rientra nelle proprie routine di self-care: una serata film, il plaid, la pelle che respira grazie alla skincare e il cibo che arriva da solo. È una coccola low effort ma ad alto rendimento emotivo, che unisce comfort e benessere. La cucina ordinata non è più solo nutrimento, ma parte di un rituale che mette insieme tempo per sé, relax e gratificazione sensoriale. La Gen Z è la più 'wellness-oriented': per molti di loro, ordinare diventa quasi un mood stabilizer, il modo più semplice per sentirsi bene. Contano la forma e il colore, ma non per fare colpo su Instagram. Il 67% degli italiani dichiara di curare l’estetica del cibo che serve a tavola, ma solo il 42% ammette di scegliere in base al potenziale 'instagrammabile'. Più che esibizione, è questione di cura e atmosfera: voglia di rendere speciale anche una cena a casa, di apparecchiare bene, di dare valore al momento. In fondo, il piacere non è solo nel gusto, ma anche nella scena che si costruisce intorno, quella che unisce la comodità di non cucinare alla soddisfazione di 'fare bella figura' con zero stress. Nel 2025, anche il cibo diventa genderless: il 61% degli italiani è d’accordo nel dire che non esistono più piatti 'da uomini' o 'da donne'. Il sushi non è più femminile, la bistecca non è più maschile: è solo una questione di gusto, umore e voglia del momento. A guidare molte scelte, poi, c’è l’universo digitale. Il 46% si lascia ispirare da serie Tv o film (e chi non ha ordinato ramen dopo aver visto un anime giapponese o mangiato un croissant dopo un format tutto parigino?) e il 57% ammette di aver copiato una ricetta o un trend dai social. Social network, piattaforme di streaming e Just Eat: la nuova triade del food pop contemporaneo. Le nuove abitudini del delivery italiano si inseriscono in un contesto globale in cui il cibo è sempre più linguaggio culturale, benessere e identità. Nel 2025 cresce la ricerca di equilibrio tra corpo e mente: il trend del 'mindful eating' guida la riscoperta di alimenti come matcha, kefir e cibi fermentati, protagonisti di un aumento delle ricerche online superiore al +50% negli ultimi due anni. Parallelamente, l’esperienza gastronomica si fa multisensoriale: suoni, consistenze e colori conquistano i social che porta anche l’Asmr nel mondo del gusto. L’influenza della cultura coreana continua a crescere, trasformando piatti come kimchi e tteokbokki in veri simboli pop (+44% e +61% di contenuti TikTok in Italia nell’ultimo anno). Nell’ultimo anno, infatti, analizzando i dati della piattaforma, la cucina coreana ha avuto un boom tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, con un incremento di ordini di piatti tipicamente coreani come Kimchi (+76%), Bibimbap (+21%), fried chicken (+31%). La Corea è ormai entrata nelle case (e nei carrelli digitali) degli italiani, unendo comfort e curiosità globale. Allo stesso tempo cresce la voglia di casa e autenticità: la 'conscious home cooking' è il nuovo modo per prendersi cura di sé e dove cucinare o ordinare diventa un gesto di creatività e cura. Infine, cibo e bevande si legano sempre più al mondo del self-care, tra beauty routine, comfort food e la nuova 'water bottle culture', che trasforma anche l’idratazione in un segno di stile. Il risultato è un ecosistema in cui il delivery si afferma come vero osservatorio culturale, capace di connettere tendenze globali e quotidianità italiana, trasformando ogni ordine in un gesto di espressione personale e benessere. Guardando al futuro, il mondo del delivery si muove su più direzioni. Secondo Grand View Research, il mercato italiano continuerà a crescere nei prossimi anni, passando da circa 1,3 miliardi Usd nel 2024 a 1,8 miliardi Usd entro il 2030 (+4,8% annuo). Ma non è solo una questione di volumi: le nuove abitudini si intrecciano sempre più con il benessere, la sostenibilità e l’esperienza emotiva legata al cibo, ridefinendo il modo in cui gli italiani vivono il delivery. La convenienza si fa sempre più integrata e personalizzata: non si ordina solo per fame o mancanza di tempo, ma per ascoltare il proprio stato d’animo, condividere un momento o cercare conforto. In parallelo, cresce l’attenzione verso scelte alimentari più consapevoli e sostenibili, che uniscono valori e identità, perché ciò che si ordina racconta sempre di più chi siamo e come ci vogliamo sentire. A sostenere questa evoluzione interviene la tecnologia: dati, logistica e nuovi modelli come le cloud kitchen rendono l’esperienza più fluida e vicina ai bisogni reali delle persone. Il risultato è un ecosistema maturo, dove il delivery non è più solo un servizio ma una forma di espressione quotidiana, capace di unire praticità, emozione e innovazione. Per dare forma e colore ai principali insight emersi dall’Osservatorio, Just Eat ha collaborato con SantoManifesto, collettivo creativo che ha interpretato i risultati della ricerca in chiave visiva. Nascono così due manifesti illustrati, veri e propri 'quadri del quotidiano', che raccontano con ironia e autenticità come gli italiani vivono oggi il delivery: tra convivialità, comfort e identità. I manifesti saranno disponibili in edizione limitata e acquistabili online, per portare a casa, letteralmente, una rappresentazione delle nuove abitudini del gusto. In sintesi, il delivery è ormai molto più di un servizio: è un linguaggio quotidiano del benessere e dell’identità. Racconta chi siamo, come ci sentiamo e cosa vogliamo (anche senza dirlo). Tra la lasagna 'camouflage' e il poke del mercoledì, tra l’estetica curata e la pizza di conforto, l’Italia 2025 ha riscritto le sue abitudini del gusto, con ironia, autenticità e una buona dose di appetito per la vita, perché dietro ogni ordine c’è una piccola storia di tempo, appartenenza e voglia di sentirsi bene. Ordiniamo per fame, ma in realtà stiamo ordinando emozioni.
(Adnkronos) - 'Fare impresa e ricerca negli Stati Uniti'. Questo il titolo dell'evento che si è tenuto a Roma, nella sede del Centro Studi Americani, nell'ambito della IV edizione del Festival della Cultura Americana. In un mondo in continuo cambiamento come bisogna adattarsi a livello lavorativo e sociale per affrontare le sfide del futuro? Questa è la domanda alla quale cercano di rispondere tante realtà imprenditoriali differenti, in Italia e negli Usa, confrontandosi in un dialogo che arricchisce di spunti e di esperienze. Domanda anche al centro dei lavori moderati da Gianni Todini, direttore Askanews. Al tavolo hanno partecipato Davide Allegra, advocacy & Business Services Manager, American Chamber of Commerce in Italy, Clara Andreoletti, Ad Eni Next, Erica Di Giovancarlo, direttrice coordinatrice Rete Usa - Italian Trade Agency, Paolo Gaudenzi, consigliere per la Cooperazione Scientifica presso il Consolato Generale d’Italia a Boston, Matteo Lai, Ceo e fondatore di Empatica, Giorgio Resta, prorettore pro-tempore delegato al coordinamento delle attività di internazionalizzazione, Università degli Studi Roma Tre e Alessandro Vespignani, direttore fondatore del Northeastern Network Science Institute. Paolo Gaudenzi ha affermato che "l’impostazione di lavoro che hanno al Consolato Generale d’Italia a Boston risiede nel fatto di aver immaginato scienza, tecnologia e business come tre elementi strettamente collegati tra loro. La scienza attraverso lo strumento tecnologico dona un servizio alla Comunità, producendo benessere". L’esperienza progettuale 'Eni Next' è stata raccontata da Clara Andreoletti direttamente da Boston, indicando come vi sia “un dialogo continuo che gli scienziati hanno con i professori, sebbene gli scienziati siano molto formati e come si sia così arrivati alla creazione di nuove energie pulite sul mercato”. Matteo Lai ha riportato l’idea di un rapporto più stretto tra tecnologie e persone e di come, nel contesto di Empatica, azienda di cui è fondatore, siano riusciti a sviluppare strumenti innovativi in diversi ambiti. "La condivisione e il fare insieme" sono le fondamenta da cui partire secondo Erica Di Giovancarlo. “Il Sistema Italia, ricomprendente il ministero degli Affari Esteri, Ice, Sace, Simest Cassa Depositi e Prestiti, Camere di Commercio, agisce insieme proprio per dare massima assistenza alle aziende italiane in modo che possano inserirsi nei mercati esteri”. Davide Allegra ha introdotto la realtà di 'American Chamber of Commerce'. Specialmente per quanto riguarda la cooperazione ha segnalato “l’area della rappresentanza degli interessi guardando al piano transatlantico in cui aziende sia dal lato americano che italiano si riuniscono sei o sette volte in maniera ibrida per produrre alla fine dei lavori un paper dove evidenziano le prospettive e le problematiche”. Il punto di vista universitario è stato trattato da Giorgio Resta. “L’idea che il sistema dell’istruzione americano insegna l’idea di dover cambiare il mondo, il think out of the box, che, in giurisprudenza ad esempio, si differenzia dal nostro sistema basato sul conoscere e applicare le regole piuttosto che ripensarle”. Alessandro Vespignani ha puntato il dito sul problema del 'Brain Drain', in italiano i 'cervelli in fuga', affermando che “il problema non è perché le persone vanno via dal Paese, ma perché mancano le opportunità”. Riprendendo poi il discorso del 'think out of the box', ha affermato come “negli Stati Uniti il fare impresa è cultura, mentre in Italia ancora non abbiamo sanato il problema delle due culture, in cui la cultura umanistica continua ad essere considerata superiore a quella scientifica e quindi imprenditoriale”.
(Adnkronos) - "Con una media di 24 alberi ogni 100 abitanti, calcolata sui capoluoghi italiani, l’Italia mostra nel 2024 una presenza di verde urbano ancora insufficiente. Anche i dati nel dettaglio indicano che occorre migliorare: solo otto su 93 capoluoghi, di cui si hanno dati aggiornati, superano la soglia dei 50 alberi ogni 100 abitanti e, tra questi, tre superano i 100 alberi ogni 100 residenti. All’opposto, 27 capoluoghi contano meno di 20 alberi ogni 100 abitanti e più della metà di questi non raggiunge nemmeno i 10". A scattare questa fotografia è Legambiente sulla base dei dati Ecosistema Urbano 2025, sottolineando "la distribuzione disomogenea del verde urbano nel Paese" e "l’importanza di attuare interventi mirati di forestazione nelle aree cittadine". "Un’importante opportunità arriva dalla legge n. 10/2013, che disciplina lo sviluppo degli spazi verdi urbani", osserva l'associazione in occasione del trentennale della Festa dell’Albero, la storica campagna dedicata alla messa a dimora di piante e arbusti, che quest’anno si terrà dal 21 al 23 novembre, in partnership con AzzeroCO2, Frosta, Inwit e Biorepack come partner tecnico. Nei giorni della Festa dell’Albero, che cade in concomitanza con la Giornata nazionale degli alberi (istituita proprio dalla legge n. 10/2013 e celebrata ogni anno il 21 novembre), si terranno in 14 regioni oltre 120 iniziative di forestazione urbana organizzate da Legambiente insieme a cittadini, scuole, aziende e amministrazioni uniti dallo slogan 'Gli alberi ci danno tanto, ora tocca a noi'. Sulla base delle informazioni raccolte attraverso i questionari di Ecosistema Urbano 2025 di Legambiente, elaborate su dati comunali relativi al 2024, l’associazione traccia un quadro complessivo sullo stato di attuazione della legge n. 10/2013, valutando l’applicazione delle principali misure previste: la pianificazione e regolamentazione del verde urbano, la redazione del bilancio arboreo alla fine di ogni mandato amministrativo e il censimento del verde urbano. Tra i 93 capoluoghi analizzati, 30 città (32%) dichiarano di aver adottato un Piano del Verde, mentre in 26 casi (28%) risulta attivo un Regolamento del Verde Urbano. La misura più diffusa è il censimento del verde urbano, realizzato in 75 capoluoghi su 93 (80%). Meno diffusa invece la pubblicazione del Bilancio Arboreo comunale: solo 44 città (47%) lo hanno reso disponibile al termine del mandato del sindaco uscente. “Un dato significativo emerso dall’analisi di Legambiente sull’applicazione della legge n. 10/2013 riguarda la Giornata nazionale degli alberi, promossa da quasi l’80% dei capoluoghi italiani, ben 74 su 93 - commenta Giorgio Zampetti, direttore generale Legambiente - Si tratta di una percentuale incoraggiante ma che rischia di rimanere un impegno simbolico se la gestione strutturale del verde urbano è marginale. Lo dimostrano, ad esempio, le percentuali relative al numero di città che non hanno ancora adottato un regolamento o un piano formale per la gestione del verde. Anche sul fronte della trasparenza, i dati mostrano come la diffusione del Bilancio Arboreo rimanga ancora limitata, ostacolando una visione chiara e condivisa delle politiche verdi messe in atto dalle amministrazioni comunali. Per questo motivo lanciamo un appello ai Comuni, invitandoli a un impegno più deciso e concreto nell’attuazione della legge n.10/2013”.