Pagine Si! spaPAGINE Sì! S.p.A. è una società operativa dal 1996 nel settore dell'editoria pubblicitaria multimediale, il cui core businiss è rappresentato dall'annuaristica telefonica. |
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(Adnkronos) - Il caldo non lascia tregua in questa estate rovente. Ma a parte il disagio immediatamente percepito cosa succede al nostro corpo e alla nostra mente quando le temperature si fanno davvero hot? A questa domanda risponde la scienza con diversi studi pubblicati in questi giorni, che mostrano anche gli effetti meno alla luce del sole, ad esempio come il caldo sia in grado di mettere a rischio un invecchiamento sano e di minare lo spirito di squadra sul lavoro. Con le ondate di calore che diventano sempre più frequenti e intense e la popolazione che continua a invecchiare, aumentando l’età media di diverse popolazioni del mondo Italia compresa, il rischio è che si crei un mix pericoloso spiega un team di ricercatori della University of California a Irvine. La ricerca, pubblicata sulla rivista ‘Science of the Total Environment’, offre informazioni su come questi due fattori lavorano insieme per indebolire il sistema immunitario, danneggiare l'intestino ed elevare il rischio di infezioni gravi. Il lavoro è stato sostenuto dal National Institute of Environmental Health Sciences. C'è attenzione crescente sul possibile impatto a lungo termine del riscaldamento globale. Con l'età, il caldo estremo causa molte malattie legate al calore che possono portare a gravi problemi di salute. Nel dettaglio, quello che hanno osservato gli autori è che gli effetti combinati dell'invecchiamento e delle ondate di calore stanno mettendo a maggior rischio la salute delle persone indebolendo la funzione intestinale e del sistema immunitario, il che aumenta per esempio il rischio di infezione da un batterio mortale di origine idrica chiamato Vibrio vulnificus, spesso definito 'batterio mangiacarne', che si trova sempre più nelle acque oceaniche più calde. Mentre in tutto il mondo si verificano ondate di calore da record a giugno, lo studio giunge in un momento cruciale nell'attuale sforzo per comprendere in che modo l'aumento delle temperature influisce sulla salute umana, spiegano gli esperti. "Sebbene le infezioni da Vibrio vulnificus rappresentino già una preoccupazione crescente nelle regioni costiere in via di riscaldamento, i nostri risultati mostrano che il caldo estremo, soprattutto negli anziani, può compromettere ulteriormente il sistema immunitario e il microbioma intestinale, rendendo le persone più suscettibili", evidenzia l'autore corrispondente Saurabh Chatterjee, professore di salute ambientale e occupazionale e medicina. "È un doppio colpo: l'invecchiamento indebolisce le difese immunitarie e lo stress da calore ne accelera il declino". Finora, i ricercatori non avevano una chiara comprensione di come il caldo prolungato influisse sul microbioma intestinale, sulla risposta immunitaria e sulla vulnerabilità alle infezioni nelle persone anziane. Per affrontare il problema, il team dell'Uc Irvine ha esposto topi giovani e anziani a temperature elevate, influenzate dal clima, e ha eseguito il sequenziamento del microbioma, oltre a test per l'integrità intestinale e la funzionalità immunitaria. I topi anziani hanno mostrato danni alla barriera intestinale, infiammazione sistemica, disfunzione immunitaria e geni resistenti agli antibiotici significativamente maggiori nel microbioma intestinale rispetto alle controparti più giovani. Ma nel mirino delle alte temperature finiscono anche gli effetti sulla produttività. Ed emerge che il caldo, secondo una ricerca dell'University of California San Diego, compromette il lavoro di squadra più delle prestazioni individuali. Con l'aumento delle temperature globali, lo studio della School of Global Policy and Strategy rileva che anche una lieve esposizione al calore può compromettere significativamente le prestazioni di un team, lasciando sostanzialmente inalterata la produttività dei singoli. I ricercatori hanno esplorato il ruolo delle dinamiche interpersonali in ambienti ad alta temperatura, che hanno profonde implicazioni per i luoghi di lavoro in tutto il mondo, soprattutto nelle regioni con accesso limitato al controllo del clima. Lo studio, di prossima pubblicazione sulla rivista Review of Economics and Statistics, include un esperimento condotto a Dhaka, in Bangladesh. Studenti universitari di informatica sono stati assegnati a lavorare da soli o in coppia su compiti di programmazione in stanze con temperature di 24 o 29 gradi. Mentre i singoli hanno mantenuto prestazioni costanti a entrambe le temperature, i team nelle stanze più calde hanno registrato un notevole calo di produttività. "Quando la situazione è critica, si verifica un'interruzione della comunicazione e dell'interazione tra i lavoratori - spiega Teevrat Garg, coautore dello studio - Quando la situazione è critica, si è più irritabili e infastiditi e quindi meno propensi a collaborare con gli altri, il che è essenziale per la creatività e l'innovazione".
(Adnkronos) - Bitget, società Web3 e uno dei principali exchange di criptovalute a livello globale, e Unicef stanno lavorando per costruire un modello scalabile e inclusivo che fornisca alle giovani donne gli strumenti per navigare e plasmare l'economia digitale di domani. Ne parla all’Adnkronos/Labitalia Gracy Chen, ceo di Bitget. "Le tecnologie emergenti - spiega - non dovrebbero essere riservate a pochi privilegiati, ma devono essere introdotte rapidamente e in modo equo. La blockchain, con i suoi casi d'uso nel mondo reale e il suo potenziale per il bene sociale, è uno degli strumenti più potenti che possiamo offrire alle giovani generazioni per creare prodotti in grado di cambiare il modo in cui guardiamo alla società moderna. Con Blockchain4Her, quella che è iniziata come missione per dare potere a centinaia di donne è diventata un movimento globale per educare migliaia di ragazze. Questo è il tipo di impatto e di portata per cui è stata creata la blockchain". "La partnership triennale tra Bitget e Unicef Lussemburgo mira a promuovere le competenze digitali e l’alfabetizzazione blockchain tra i giovani. Per farlo, Bitget entrerà a far parte della Game changers coalition (Gcc), guidata dall'Ufficio per l'Innovazione dell'Unicef (OOI) e, grazie al suo supporto, permetterà di raggiungere 300.000 persone, tra ragazze adolescenti, genitori, mentori e insegnanti e accrescere la loro preparazione in tema di Web3". In particolare Bitget academy, l’area educativa di Bitget, contribuirà allo sviluppo del primo modulo di formazione blockchain interattivo, online e dal vivo dell'Unicef, basato sullo sviluppo di competenze per la creazione di videogiochi, rivolto a insegnanti e giovani. “Questa partnership riflette la nostra convinzione condivisa che le competenze digitali siano un potente motore di opportunità e inclusione”, ha dichiarato Sandra Visscher, direttrice esecutiva di Unicef Lussemburgo. “Collaborando con Bitget, vogliamo dare ai giovani adolescenti gli strumenti, le conoscenze e la fiducia necessarie per plasmare il proprio futuro. L'innovazione dovrebbe essere una forza di inclusione, aprendo le porte, ampliando gli orizzonti e garantendo che la tecnologia funzioni per tutti, ovunque”. Come parte della Game Changers Coalition, Bitget si unisce alla Global video game coalition, alla Micron Foundation e ai builder dell’ecosistema Women in games con l'ambizione condivisa di raggiungere 1,1 milioni di ragazze entro il 2027, offrendo opportunità di apprendimento e di sviluppo delle competenze digitali.
(Adnkronos) - Riparte la campagna Ispra e Cnr-Irbim, 'Attenti a quei 4!', volta a tracciare la presenza sulle coste italiane di specie tropicali potenzialmente pericolose: pesce scorpione, pesce palla maculato, pesce coniglio scuro e pesce coniglio striato. Pescatori, subacquei e chiunque abbia osservato o catturato nei mari italiani un esemplare di queste specie sono chiamati nuovamente a fornire il loro supporto. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) e l’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Ancona (Cnr-Irbim), in collaborazione con il progetto AlienFish, rilanciano dunque la campagna 'Attenti a quei 4!' con indicazioni utili per riconoscerle, prevenire spiacevoli incidenti e contribuire al monitoraggio della loro diffusione e invitando a documentare con foto o video la specie e ad inviare la propria osservazione (tramite il link https://shorturl.at/JM87A oppure utilizzando WhatsApp al numero di telefono + 320 4365210 o i gruppi Facebook Oddfish - https://www.facebook.com/groups/1714585748824288/ - e Fauna Marina Mediterranea - https://www.facebook.com/groups/faunamarinamediterranea/?locale=it_IT - utilizzando l'hashtag: #Attenti4). La campagna segue le precedenti edizioni già svolte dal 2022, anche in considerazione delle crescenti segnalazioni e catture di specie aliene nelle acque italiane, soprattutto del pesce scorpione, ad opera di subacquei e pescatori. “L’aumento delle catture e segnalazioni da parte di pescatori e subacquei, da un lato conferma l’importante ruolo da loro svolto a supporto dei ricercatori nell’attività di sorveglianza della diffusione delle specie aliene, dall’altro evidenzia la necessità di ampliare il coinvolgimento degli operatori del mare e di promuovere una chiara attività di comunicazione alla cittadinanza sulle specie potenzialmente pericolose per la salute umana, senza creare allarmismi”, dice Manuela Falautano, ricercatrice dell’Ispra, coordinatrice per l’ente delle campagne 'Attenti a quei 4!'. Alla distribuzione del pesce scorpione in Italia e nel Mediterraneo è dedicato uno studio pubblicato sulla rivista Mediterranean Marine Science. Ernesto Azzurro è il ricercatore del Cnr-Irbim che ha coordinato la ricerca - sempre a cura di Cnr-Irbim e Ispra - che ha fornito un aggiornamento approfondito sulla distribuzione del pesce scorpione nel Mar Mediterraneo, aggiornato a marzo 2025, con un totale di 1.840 segnalazioni georeferenziate. “La maggior parte dei nuovi avvistamenti è concentrata nel Mar Ionio - spiega - una delle aree che, secondo le proiezioni climatiche, presenta il più alto rischio di aumento della vulnerabilità all’invasione da parte di questa specie tropicale, insieme alle regioni più meridionali del Mare Adriatico. I risultati dello studio offrono indicazioni significative sul continuo processo di espansione di Pterois miles, confermando l’affidabilità dei modelli e sottolineando l’urgenza di implementare strategie efficaci di monitoraggio e gestione”. La ricerca è stata realizzata con la collaborazione del progetto AlienFish, nell’ambito delle iniziative Useit e Nbfc: i dati sono stati visualizzati in nuove mappe di distribuzione e confrontati con le previsioni fornite dai modelli di distribuzione delle specie precedentemente realizzati. Tutte le nuove osservazioni sono state integrate nel dataset del portale Ormef (www.ormef.eu), costituendo così la raccolta più aggiornata di dati sulla presenza del Pterois miles (o pesce scorpione) nel Mar Mediterraneo. Pesce scorpione (Pterois miles) - Entrato dal Canale di Suez, è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 2016 ed è una tra le specie più invasive al mondo, conosciuta anche per aver colonizzato gran parte delle coste Atlantiche occidentali con imponenti impatti ecologici. La specie è commestibile ma bisogna fare attenzione alle spine, queste possono causare punture molto dolorose anche 48 ore dopo la morte dell’animale. Pesce palla maculato (Lagocephalus sceleratus) - Entrato dal Canale di Suez, segnalato per la prima volta in Italia nel 2013, è caratterizzato dalla presenza di macchie scure sul dorso grigio-argenteo. La specie possiede una potente neurotossina che la rende altamente tossica al consumo, anche dopo la cottura. Inoltre, ha una possente dentatura con la quale può infliggere morsi dolorosi. Pesce coniglio scuro (Siganus luridus) e Pesce coniglio striato (Siganus rivulatus) - Anch’essi entrati dal Canale di Suez, sono stati segnalati in Italia per la prima volta nel 2003 e nel 2015, rispettivamente. Specie erbivore particolarmente invasive, sono entrambe commestibili ma bisogna fare attenzione alle spine. Queste possono causare punture dolorose anche dopo la morte dell’animale.