INFORMAZIONIAIDP - Associazione Italiana per la Direzione del Personale Ordini e Associazioni Ruolo: Membro del CD (AIDP Liguria) Area: Top Management Michele Bergese |
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(Adnkronos) - Federigo Argentieri, professore di scienze politiche e direttore del Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University, è stato nel comitato redazionale di “Limes”, la rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, sin dalla sua fondazione nel 1993. Ma il mese scorso ha inviato un telegramma, insieme a Franz Gustincich e Giorgio Arfaras (che faceva parte del consiglio scientifico), per chiedere di essere rimosso. Un piccolo scossone nella prima pagina della rivista, che finora era stata piuttosto immutabile, così immutabile che si possono contare almeno tre morti (Furio Colombo dal 2025, Luigi Vittorio Ferraris dal 2018 e Luciano Antonetti addirittura dal 2012), senza che i nomi siano accompagnati da una piccola croce o una losanga come si usa in questi casi. Professore, partiamo dalla notizia. Lei ha deciso di uscire dal consiglio redazionale di Limes. Perché proprio ora? Siamo in una fase cruciale, probabilmente la più difficile per l’Ucraina dall’inizio della guerra, non tanto sul piano militare quanto su quello diplomatico e internazionale. Con gli Stati Uniti che si svincolano dalla Nato, che attaccano l’Unione europea apertamente, e con un allineamento sempre più evidente tra America e Russia, questo è il momento in cui bisogna fare scelte chiare, senza ambiguità. In questo contesto ho ritenuto che non fosse più ammissibile che il mio nome comparisse nel tamburino di Limes. Parla di una decisione politica e morale, non personale. Non si tratta di opportunismo né di “saltare sul carro del vincitore”, anche perché l’Ucraina oggi non è certo il vincitore. È una scelta di coerenza. Io ho scritto poco per Limes, anche perché il suo approccio geopolitico – centrato quasi esclusivamente sui rapporti di forza – non mi è mai stato del tutto congeniale. Ma il punto non è questo. Il vero problema è il pregiudizio strutturale che la rivista ha nei confronti dell’Ucraina da oltre vent’anni. Vent’anni sono tanti. Quando individua la svolta? La svolta è chiarissima: 2004, la Rivoluzione arancione. Da lì in poi Limes assume una postura costantemente diffidente, se non apertamente ostile, verso l’Ucraina. È lo stesso momento in cui esce in Italia “Raccolto di dolore” di Robert Conquest sulla carestia staliniana, libro che ho curato e prefato dopo averlo letteralmente fatto uscire da un cassetto dove era stato relegato per anni. E cosa fa Limes? Pubblica a puntate – poi per fortuna solo una – “L’autobus di Stalin” di Antonio Pennacchi: un’orrenda apologia cinica del dittatore, mascherata da allegoria grottesca. Un bravo scrittore che conosce bene le dinamiche dell’Agro pontino ma ben poco quelle sovietiche, che si inerpica in un esercizio davvero incomprensibile. Un affronto personale? Lo fu. Non solo sul piano scientifico e morale, ma anche umano. All’epoca io e Lucio Caracciolo eravamo amici da vent’anni. Non una conoscenza superficiale. Vedere ridicolizzata la tragedia della collettivizzazione e della carestia ucraina in quel modo fu per me inaccettabile. Ci fu una protesta formale dell’Associazione italiana di studi ucrainistici e anche pressioni interne: la seconda puntata non uscì. Ma la linea non cambiò. Lei però è rimasto dentro Limes per altri vent’anni. E nella rivista hanno scritto spesso autori decisamente non filo-russi. Per una combinazione di fattori. Perché si potevano trovare anche analisi condivisibili, perché nessuno ha mai messo in discussione la mia presenza. I legami personali, come spesso accade, sono duri a morire. E poi c’era sempre la speranza, forse ingenua, di un cambio di rotta. Cambio che non c’è mai stato, anzi: dal 2014 in poi le cose sono peggiorate. Si riferisce all’annessione della Crimea e alla guerra nel Donbas. Da allora Limes ha iniziato a pubblicare sistematicamente mappe con la Crimea colorata come Russia, spesso anche il Donbas. Alla protesta ripetuta dell’ambasciatore ucraino, Caracciolo rispondeva: “Se cambierà la realtà, cambieremo il colore della cartina”. È un’assurdità cartografica prima ancora che politica. Le aree contese si rappresentano come tali. Qui invece si faceva una scelta netta. Dopo il 2022 la frattura diventa definitiva. Alla vigilia dell’invasione del 24 febbraio 2022, Caracciolo dichiara in televisione che la Russia non avrebbe mai invaso. Una previsione clamorosamente sbagliata. Qui entra in gioco un tema fondamentale: l’accountability, una parola che in italiano non ha traduzione e forse si capisce perché. Se sei un esperto geopolitico e sbagli in modo così macroscopico, in qualche modo dovresti renderne conto. In Italia questo non accade. E secondo lei questo ha contribuito all’attuale approccio televisivo alla guerra, in cui si cerca una specie di par condicio tra chi difende l’Ucraina e chi gli interessi di Mosca? È una nube tossica mediatica che avvelena il pubblico e finisce per influenzare anche la politica. Limes e Caracciolo hanno una responsabilità maggiore di tanti ciarlatani televisivi proprio perché il loro livello culturale è elevato. Quando una fonte autorevole contribuisce alla disinformazione, il danno è più grave. Negli altri paesi europei, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, non c’è la carrellata di figure improponibili che oggi trovano grande spazio in certi programmi. Neanche Fox News è così schierata, solo in Russia si vedono le trasmissioni che ci sono in Italia. I miei colleghi stranieri sono stupefatti davanti a questa, chiamiamola, unicità. Però non tutta l’informazione televisiva ospita filo-russi o figure impreparate. Si salvano alcuni programmi del mattino, quando però l’audience totale è un quarto di quella serale, come a dire: tra pochi si possono fare riflessioni più sensate, mentre quando il pubblico cresce bisogna sparare panzane. Per fortuna ci sono i due canali all news, Rainews24 e Skytg24, e soprattutto la radio, con in testa l’ottima Rai Radio1, seguita da Radio24 e altri canali che fanno informazione in modo corretto. La sua non è l’unica uscita da Limes. Franz Gustincich, giornalista, fotografo e analista geopolitico, storico collaboratore della rivista e profondo conoscitore dell’Europa centro-orientale, lascia il consiglio redazionale. Giorgio Arfaras, economista, membro del comitato scientifico del Centro Einaudi, esce invece dal consiglio scientifico. In conclusione: è una rottura definitiva o un atto di testimonianza? È un atto di coerenza. Non mi interessano le rotture simboliche, ma le responsabilità intellettuali sì. In un momento come questo, non si può restare dentro una cornice che contribuisce a deformare la comprensione della realtà. Per me, semplicemente, non era più ammissibile. (di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - "L’Europa è sicuramente in una fase di difficoltà, lo riscontriamo giorno per giorno, ora per ora, però sappiamo anche che non basta criticarla: bisogna cercare di farla ripartire con le idee dei Paesi fondatori". Lo ha affermato Giorgio Fossa, presidente della Luiss, intervenendo alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Ateneo. Fossa ha sottolineato che, oltre a indicare cosa fare, "bisogna anche dire qual è la strada per farlo", richiamando in questo ruolo la responsabilità del sistema universitario. "Le università, non solo la Luiss ma anche la Luiss, sono a disposizione per formare sempre più i giovani che porteranno al cambiamento dell’Europa verso l’Europa che tutti vogliamo e desideriamo". Il presidente ha evidenziato come, valorizzando il pensiero accademico, emergeranno giovani capaci di guidare non solo il futuro del continente, ma anche di interpretare un mondo "sempre più interconnesso". Fossa ha concluso con un appello diretto agli studenti: "Devono tornare a credere prima di tutto in loro stessi per portare il cambiamento e migliorare il mondo che hanno trovato, lasciandolo ai loro figli meglio di come lo hanno ricevuto".
(Adnkronos) - Il finanziamento da 40 milioni di euro accordato dalla Banca europea per gli investimenti alla Commercianti indipendenti associati (Cia), una delle cooperative socie del Consorzio nazionale Conad, "punta a efficientare le attività dei nostri punti vendita" e si inserisce nel piano complessivo da 80 milioni promosso da Cia. Lo sottolinea all'Adnkronos Luca Panzavolta, amministratore delegato di Cia-Conad, spiegando che uno dei principali interventi sarà quello di moltiplicare gli impianti fotovoltaici presenti nel punti vendite. "Già oggi abbiamo già un'ottantina di negozi dotati di impianti fotovoltaici ma vorremmo superare quota 100, quindi vicini al 50% della nostra rete associata" continua. Ma si vuole - aggiunge - anche "intervenire sul raffreddamento dei negozi, dal gas non inquinante all'efficientamento dei sistemi, che non solo consentono un risparmio energetico importante ma migliorano anche il microclima dentro il punto vendita". Panzavolta ricorda come Cia-Conad "produce un bilancio di sostenibilità già da 2 anni, lo facciamo per l'impegno che abbiamo assunto nei confronti dei nostri soci e dei nostri stakeholder. Con il bilancio 2025, che presenteremo nel prossimo maggio, illustreremo gli impegni che ci siamo assunti e presenteremo una rendicontrazione di quanto fatto nei nostri impianti". "D'altronde - ricorda - per una azienda la sostenibilità non è più una scelta ma un obbligo. E noi lo sentiamo come tale anche dal punto di vista sociale, del territorio, delle nostre comunità e dei nostri soci". Grazie agli interventi attuati e a quelli in corso, aggiunge, " per l'impatto sull'ambiente di un nostro punto vendita crediamo di essere vicini a -30% rispetto a dieci anni fa. Senza dimenticare che questo lavoro rende più sostenibile il business dei singoli punti vendita: certo gli interventi di efficientamento costano, ma è un investimento da cui i nostri associati rientrano nel corso degli anni". "Il nostro modello - sottolinea - è la dimostrazione che si possono ottenere ottimi risultati quando si è inseriti in una rete efficiente : noi forniamo aiuti ai nostri soci con finanziamenti per gli impianti fotovoltaici e convenzioni con le aziende installatrici, e questo consente ai soci di massimizzare i risparmi possibili, senza contare altri vantaggi come l'economia di scala, gli acquisti collettivi e le attività di marketing comuni". Il manager riconosce come "c'è poi un ritorno di immagine verso i clienti perché oggi l'attenzione a queste cose da parte dei consumatori, soprattutto quelli più giovani, è molto forte". " Panzavolta evidenzia poi i risultati ottenuti sulla riduzione degli imballaggi inutili grazie alla forte presenza di prodotti a marchio Conad: "La nostra cooperativa è fra quelle con la quota più alta in Italia di prodotti con il nostro marchio, quest'anno abbiamo superato il 41% di fatturato". Questo offre un duplice beneficio "da una parte perché il prodotto a marchio costa meno mediamente di quello 'industriale' e poi perché in questi anni abbiamo fatto molto per rendere riciclabili o recuperabili gli imballaggi o comunque limitarli. Credo che sia vicino il traguardo del 75% di imballaggi biodegradabili o riciclabili, che era il nostro obiettivo". "Certo, non puo' essere solo un impegno della distribuzione ma deve essere anche delle industrie: credo però - conclude- di poter dire che su questo in generale la sensibilità è molto aumentata "