INFORMAZIONIMelissa PalazziMelissa Palazzi |
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(Adnkronos) - Cosa perderebbe (o guadagnerebbe) Fratelli d'Italia in caso di addio alla fiamma tricolore? Si tratterebbe di una mossa vantaggiosa o controproducente? Dopo le parole del ministro Luca Ciriani al Foglio, l'Adnkronos ha provato a chiedere al giurista Gabriele Maestri, esperto di simboli di partito, che effetti potrebbe avere sulla forza politica fondata da Giorgia Meloni lo 'spegnimento' della storica fiamma, eredità del Msi: "I militanti dalla storia più lunga - osserva il blogger, autore del libro 'I simboli della discordia' - potrebbero sentire mutilata quell'esperienza politica, non vedendo più il simbolo delle origini, ma difficilmente abbandonerebbero il partito solo per questo". Per i simpatizzanti di FdI che hanno iniziato a votare Meloni in un secondo momento, il superamento della fiamma potrebbe essere un elemento positivo: "I militanti e gli elettori arrivati in seguito, potrebbero non avvertire nessun particolare cambiamento concreto; anzi, apprezzerebbero soprattutto il venir meno di un argomento utilizzato spesso contro Fdi, con l'idea di costruire anche sul piano grafico un partito conservatore contemporaneo", prosegue Maestri, ricordando come in origine il simbolo di Fdi non contenesse la fiamma: "Il partito era nato senza. La fiamma fu chiesta alla Fondazione An per evitare che altri utilizzassero quel simbolo: ora, oltre dieci anni dopo averne ottenuto l'uso, quel bisogno probabilmente si è affievolito. Sarebbe interessante, piuttosto, immaginare se si troverà un simbolo nuovo, magari lavorando sul leone dei Conservatori e riformisti europei, o se si rinuncerà del tutto a raffigurare quelle idee politiche", conclude Maestri.
(Adnkronos) - "Qualcuno dice che fra qualche anno che i programmatori non serviranno più, ma secondo me continueranno a servire e saranno molto aiutati dall'intelligenza artificiale. Il programmatore sarà una sorta di supervisore, di controllore di ciò che fa l'intelligenza artificiale, vedendo se ciò che è stato fatto preventivamente è stato rispettato. Noi stiamo formando le nostre risorse, perché oggi diventa complicato trovare persone che siano già pronte per lavorare nel nostro ambiente". Così, in un'intervista all'Adnkronos/Labitalia Fulvio Duse, direttore generale di Aton IT, azienda che sta sul mercato dal 2014. "In dieci anni - spiega - abbiamo raggiunto traguardi lusinghieri, siamo passati attraverso varie configurazioni aziendali, l'ultima è datata qualche mese fa nella quale abbiamo diviso l'azienda per business unit, cercando di interpretare quelle che sono le spinte del mercato; abbiamo creato le business unit che in qualche modo rispondono alle richieste del mercato. C'è la business unit digital analytics nella quale noi crediamo tanto, abbiamo investito tanto e che ci sta dando anche soddisfazioni soprattutto nel mondo finance". "Abbiamo - precisa - la business unit sviluppo software nella quale confluiscono, al di là dello sviluppo e della produzione di procedure, pacchetti e prodotti software, anche l'intelligenza artificiale e tutto quello che è la parte innovativa relativa allo sviluppo del codice, abbiamo la business unit cyber security che è un'altra business unit. Abbiamo accordi con i maggiori produttori di soluzioni per gli antivirus, per il firewall. Abbiamo la business unit dati dal punto di vista dello sviluppo di tutto quello che è la business intelligence e quindi tutto ciò che sovraintende le aziende. Abbiamo poi la business unit della consulenza informatica. Oggi contiamo circa 170 unità produttive, alla fine del 2026 contiamo di uscire con circa 250-260 persone e diventare a quel punto anche una realtà economica di un certo peso, di un certo rilievo per poterci poi confrontare con aziende pari a noi, magari facendo delle partnership e partecipare a qualche progetto per la Pubblica amministrazione piuttosto che progetti di ricerca importanti". A proposito dei progetti di ricerca continua: "Abbiamo una business unit che è dedicata esclusivamente ai progetti di ricerca che per noi rappresenta tra l'altro anche una visibilità significativa perché collaboriamo con il mondo universitario, con le regioni e con tutti i bandi relativi appunto a questa materia specifica. E anche questa contiamo di farla crescere, di utilizzarne i risultati all'interno delle altre business unit perché tutto quello che viene prodotto qua poi deve essere sviluppato, rimesso sul mercato e venduto, comunque proposto a quelli che sono i nostri clienti". E David Iarriccio, responsabile business unit manager software development & system integration di Aton IT, racconta il core business della sua attività in Aton. "Ci occupiamo fondamentalmente di sviluppo software - spiega - quindi di produzione di prodotti ad hoc, verticali se vogliamo, in vari ambiti, soprattutto in ambito automotive e sanitario attualmente, però in generale si occupa di integrazione di sistemi eterogenei sviluppando orchestratori che mettono in comunicazione sia questi sistemi sia per creare interfacce verso prodotti gestionali, come per esempio il sistema informativo aziendale e la gestione di lavori". "Aton - spiega - già da un po' di tempo vuole introdurre l'intelligenza artificiale, in parte l'abbiamo già fatto, per esempio, in ambito più sviluppo software lo stiamo già facendo attraverso una maggiore efficienza nell'utilizzo dei strumenti, per esempio nello sviluppo software questa cosa si declina concretamente con l'utilizzo di co-pilot, quindi una maggiore efficientazione, maggiore sicurezza, pulizia, manutenibilità del codice che viene prodotto. I software che abbiamo già sviluppato in ambito automotive li vorremmo arricchire con moduli che permettono, una manutenzione predittiva, per cui il prodotto che abbiamo già realizzato sarà poi in grado di prevedere la richiesta di manutenzione delle vetture, per cui, per esempio, attraverso l'analisi di certi dati, è possibile prevedere,delle stagionalità, delle fasce d'età, diciamo così, esigenze ad hoc sui vari brand delle macchine, perché non tutte le autovetture hanno, diciamo così, le stesse caratteristiche, alcune vetture soffrono di alcuni difetti di fabbrica, altri di altri e così via. Ecco, l'intelligenza artificiale può aiutare a prevedere questo".
(Adnkronos) - Più di un milione di chili di plastica riutilizzata ogni anno nelle proprie produzioni, arrivando a coprire fino al 90% della produzione totale. È il caso studio di Ifaba, presentato da Omnisyst a Ecomondo, evento di riferimento in Europa per nuovi modelli di economia circolare, terminato l'8 novembre a Rimini. Il caso vede protagonisti gli stabilimenti produttivi di Ifaba, multinazionale tascabile milanese specializzata nella fornitura di forme per la produzione di scarpe ai principali marchi mondiali del lusso. Affiancata da Omnisyst, attiva nella gestione circolare dei residui di produzione, Ifaba ha intrapreso un progetto che unisce logistica inversa, simbiosi industriale e responsabilità estesa del produttore per un riutilizzo virtuoso dei materiali plastici. Nel dettaglio, l’azienda ha richiesto supporto a Omnisyst per ridurre il quantitativo di residui in un ambito specifico: la produzione di forme in plastica per calzature, che hanno una vita molto breve. Queste forme, diverse per ogni collezione, modello di scarpa e taglia, non possono essere riutilizzate per le produzioni successive, incrementando così la quantità di rifiuti. È nato, così, un approccio che prevede il ritiro e il recupero delle forme di plastica ormai esauste dai clienti del lusso di Ifaba e il loro conferimento in un impianto che le riduce in granuli per essere reimpiegate nella produzione di nuove forme di scarpe, creando un ciclo virtuoso che minimizza l’impronta ambientale. “Le esigenze sono quelle di avere dei livelli di servizio, di professionalità e di struttura dell’azienda - afferma l’amministratore delegato di Ifaba Luca Giani - che devono essere sempre di più ricercate nell’eccellenza. Solo in innovazione, macchinari e attrezzature, nel piano industriale di Ifaba, investiamo tra il 7 e il 9% dei ricavi”. Ifaba decide, così, di assumersi la responsabilità del destino di residui industriali che non erano più in loro gestione: questo concetto di responsabilità estesa del produttore va oltre gli obblighi normativi e rappresenta un nuovo impegno per l’ambiente. La logistica inversa, che ha inizio alla fine del ciclo di vita delle forme per calzature e che mira a restituire valore al prodotto per un suo riutilizzo, rappresenta una soluzione di grande impatto nell’ambito della gestione sostenibile dei materiali, permettendo di chiudere il ciclo di vita dei prodotti riducendo gli sprechi. “Omnisyst ha supportato Ifaba in questo percorso - spiega Antonino Rapisardi, direttore Commerciale, Strategia e Sviluppo di Omnisyst - studiando il flusso di rifiuti plastici generati alla fine del ciclo di vita delle forme per calzature e progettando un processo per il recupero e la riduzione in granuli della plastica. Il modello operativo sviluppato è il risultato di un Waste Check-Up approfondito, che ha permesso di ottimizzare le soluzioni di riutilizzo con un approccio data-driven, monitorando al contempo le emissioni”. L'intervento ha portato a risultati tangibili: in due soli carichi, sono stati recuperati oltre 25mila chili di prodotto e compensati 540 kg di emissioni di CO2, monitorati con algoritmo proprietario e certificato Omnisyst, garantendo un processo carbon neutral. Questo modello integrato è stato reso possibile grazie alla digitalizzazione e a un’accurata gestione dei dati. Rapisardi continua: “Questi processi sono già in essere in Italia in certi ambiti da trent’anni. Se parliamo di riciclo, l’Italia è campione europeo, come dimostrato dal recente report GreenItaly. Qui si tratta ora di diffondere il messaggio e fare in modo che diventi una pratica sempre più diffusa. La sensibilità delle aziende a questo tipo di pratiche è fondamentale, altrimenti queste eccellenze restano dei silos pur virtuosi a livello europeo, ma che non si propagano in tutto il tessuto industriale”. Sono stati seguiti, dunque, i principi di simbiosi industriale, che puntano alla creazione di un circuito chiuso, in cui i cosiddetti 'scarti' di lavorazione possono essere riutilizzati all’interno di altri processi, che siano di un’azienda prossima o della stessa azienda che li ha generati. La simbiosi industriale consente alle aziende di condividere risorse e know-how, ottimizzando l’efficienza dei processi e abbattendo i costi.