(Adnkronos) - E' stato firmato questo pomeriggio al Tribunale di Palermo, il 'Protocollo per l’individuazione e l’utilizzo della “stanza di accoglienza' presso il Palazzo di Giustizia per le persone da escutere nel corso del giudizio che versino in condizioni di vulnerabilità”. “Il Tribunale di Palermo sarà uno dei primi Tribunali d’Italia ad allestire aree riservate per l’accoglienza e il sostegno psicologico di vittime di violenze di genere o in ambito domestico, chiamate a testimoniare nei relativi processi", dice il Presidente del Tribunale Piergiorgio Morosini. E’ il risultato fortemente voluto da Presidente del Tribunale di Palermo, Procuratore della Repubblica, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo, Presidente della Camera Penale di Palermo e dal Direttore del Dipartimento di Scienze Psicologiche e Pedagogiche dell’Università di Palermo, con la firma di un protocollo che si ispira alle raccomandazioni della convenzione di Istanbul per il contrasto a forme di vittimizzazione secondaria. "L’intesa adotta specifici accorgimenti per evitare che, per le donne chiamate a testimoniare, l’arrivo al palazzo di giustizia e l’attesa del processo siano momenti di forte stress emotivo e di pericolosi contatti con l’imputato o con persone a lui vicine- spiega-D’ora in poi, quelle in condizioni di particolare vulnerabilità, verranno citate con modalità tali da essere ricevute riservatamente al palazzo di giustizia da funzionari, adeguatamente formati per assisterle prima della deposizione, e potranno attendere il momento di essere ascoltate in un ambiente del Tribunale isolato e protetto, raggiungendo poi l’aula in cui si svolgerà l’esame con modalità idonee ad evitare contatti impropri". "Su base volontaristica, le persone offese potranno anche avvalersi del sostegno di psicologi del Dipartimento di Scienze Psicologiche e Pedagogiche dell’Università di Palermo. Si partirà con l’allestimento di due stanze di accoglienza. Una ubicata nell’edificio centrale di piazza V.E.Orlando e l’altra in quello di via Pagano. E’ una misura di “civiltà” a tutela della dignità della donna, frutto di una collaborazione ad ampio spettro tra diverse istituzioni e di una sensibilità diffusa verso soggetti deboli”, conclude Morosini.
(Adnkronos) - Il 69,6% di lavoratrici e lavoratori italiani ha un carico di cura: tra questi, il 36% ha la responsabilità di figli minorenni, il 46% segnala di occuparsi di familiari anziani o fragili (nel 16% dei casi si tratta di un impegno quotidiano) e il 30% si prende cura di altri minori della famiglia, come ad esempio i nipoti. Considerando chi affianca la responsabilità su figli minori e la cura di altri familiari anziano o fragili, è stato possibile identificare la cosiddetta “generazione sandwich”: si tratta del 18% dei lavoratori. Sono i principali risultati dell’Osservatorio Nazionale sui bisogni di welfare di lavoratrici e lavoratori con responsabilità di cura, di Welfare Come Te, in partnership con la Prof.ssa Elena Macchioni (Professoressa di Sociologia – Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali 'Università di Bologna’) e con il contributo dell’Istituto di Ricerca Ixè. Welfare Come Te – provider di welfare aziendale espressione della cooperazione sociale – oltre a servire numerose aziende nella progettazione di iniziative e servizi dedicate ai caregiver e al benessere personale, ha voluto anche creare questo spazio organico di osservazione sulle esperienze in atto di welfare aziendale, con una focalizzazione sulla condizione dei ‘lavoratori caregiver’. Il progetto si struttura a partire da un’indagine demoscopica quantitativa – realizzata su un campione rappresentativo di lavoratrici e lavoratori del settore privato. L’indagine monitora, con periodicità biennale, il welfare aziendale, fornendo una fotografia delle condizioni familiari, lavorative, dei bisogni e delle necessità di welfare dei lavoratori italiani, con un focus su quanti hanno una responsabilità di cura. La prima indagine è stata realizzata nel maggio 2024. Emergono altri dati interessanti: la conciliazione si basa prevalentemente sul “fai-da-te” degli stessi lavoratori, che in larga maggioranza (70%) dichiarano di riuscire a gestire gli impegni di lavoro e quelli personali e familiari grazie alla propria capacità organizzativa, aspetto rimarcato - per lo più - dalle donne e che si consolida con l’età delle rispondenti; sul fronte delle carenze i lavoratori lamentano innanzitutto (49%) la mancanza di servizi pubblici territoriali, particolarmente avvertita dai lavoratori residenti nelle regioni del centro e del sud Italia. Il 41% segnala anche la carenza di servizi di welfare aziendale. Nel groviglio di impegni da conciliare, i lavoratori trascurano, innanzitutto, il proprio benessere psicofisico, tema indicato dal 68%, e sottolineato per lo più dalle lavoratrici. Un lavoratore dipendente su tre sente di aver trascurato responsabilità familiari e il 19% il lavoro; chi è gravato da carichi di cura tende a giudicare se stesso con maggiore severità, sottolineando in misura significativamente più marcata le proprie mancanze sul fronte lavorativo e familiare. In questo scenario il welfare aziendale occupa uno spazio che appare ancora contenuto e non del tutto adeguato, il welfare offerto dalle imprese ha pochi elementi di utilità sociale, là dove presenti ricalcano i pillar del welfare state tradizionale (senza ricercare una vera e propria modalità di integrazione) e seguono una pratica di convenienza (ciò che la normativa permette di offrire con vantaggio fiscale), piuttosto che di convinzione (ciò che può essere realizzato tenendo conto dei reali bisogni di lavoratrici e ai lavoratori). Questo studio ha restituito la dimensione del fenomeno su scala nazionale ed ha evidenziato uno spazio ampio di lavoro e di intervento. È necessario promuovere una nuova narrazione del welfare, lo sviluppo di una prospettiva sociale e di personalizzazione degli interventi, attraverso un approccio plurale– preferibilmente sviluppato a partire dal livello territoriale – in cui imprese, PA e Terzo Settore possano cooperare in risposta ai bisogni crescenti di cura di lavoratrici e lavoratori.
(Adnkronos) - Valorizzare al meglio il proprio impegno per le comunità e la qualità dei servizi alle pubbliche amministrazioni. E’ l’obiettivo del gruppo Iren, presente all’interno della 41esima Assemblea annuale di Anci, che si svolge al Lingotto Fiere di Torino. La richiesta principale è quella di volgere lo sguardo ad un'economia circolare, di transizione energetica verso fonti rinnovabili. “E’ su questo - commenta l’amministratore delegato di Iren, Gianluca Bufo - che uniamo non soltanto la nostra competenza tecnologica, la nostra capacità finanziaria, nell'aiutare tutte le pubbliche amministrazioni, ad esempio, ad efficientare i propri edifici comunali, pubblici, le scuole, gli uffici, le palestre, che non soltanto consumano tanto, ma emettono tanto in termini di CO2; ovvero proponiamo e stiamo realizzando progetti, per esempio in Emilia, di comunità energetiche dove la produzione elettrica rinnovabile da fotovoltaico è messa a disposizione anche per quei consumi della pubblica amministrazione che diventano naturalmente più efficienti in termini di produzione green”.