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(Adnkronos) - La corruzione in Vaticano, il covid, le critiche e il rapporto con Benedetto XVI: questi alcuni dei temi al centro dell'intervista che l'allora direttore dell'Adnkronos Gian Marco Chiocci fece a Papa Francesco il 30 ottobre 2020. Fu un evento storico, la prima intervista rilasciata da Bergoglio a un'agenzia di stampa italiana, e fece il giro del mondo. *** (di Gian Marco Chiocci) - Un filo di voce accompagnato dal sorriso. ”Buongiorno, benvenuto…”. Il Santo Padre mi accoglie così nelle stanze vaticane dove ha acconsentito a rispondere agli interrogativi che tanto stanno scuotendo la Chiesa, preoccupando le porpore, angustiando i fedeli, dividendo gli addetti ai lavori che lo osannano o lo criticano a seconda della parrocchia d’appartenenza. Incontrare un Papa non è cosa di tutti giorni, regala emozioni rare, intense, fortissime anche se il padrone di casa fa di tutto per mettere l’ospite non solo a proprio agio ma – ed è davvero paradossale - sullo stesso piano. Parlare con Lui in una stanza spoglia, due sedie, un tavolo e un crocifisso, mentre fuori tracima l’apprensione per la pandemia, accresce quel desiderio di speranza e di fede di fronte all’ignoto, fede che per alcuni starebbe venendo meno a causa degli scandali, degli sprechi, delle continue rivoluzioni di Francesco e financo del virus, e di questi temi il Papa parlerà nel colloquio con l’Adnkronos. L’occasione è utile innanzitutto per mettere un punto e tirare la riga sull’annosa questione morale fra le mura al di là del Tevere che il Papa stesso non fatica a definire un “male antico che si tramanda e si trasforma nei secoli”, ma che ogni predecessore, chi più chi meno, ha cercato di debellare coi mezzi e le persone sulle quali in quel momento poteva contare. “Purtroppo la corruzione è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione”. Certo, nella vita millenaria della Chiesa non si ricorda un Papa così, tanto coraggioso quanto incurante di inimicarsi la potente curia romana con il mondo affaristico che le scodinzola intorno: Francesco è deciso a fare piazza pulita di ecclesiastici propensi a mettere il denaro (“i primi padri lo chiamavano lo sterco del diavolo e pure San Francesco” dice) prima della Croce. Coerente col suo dettame francescano il Vicario di Cristo fa quel che nessuno ha mai avuto la forza di fare per una Chiesa che sia davvero una casa di vetro, trasparente, com’era quella delle origini, votata agli ultimi, al popolo. In una Chiesa per i poveri, più missionaria, però – ed è questo il credo di Francesco - non c’è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l’abito talare. “La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All’inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: 'qui dentro c’è tutto – disse -, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te'. Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera”. Già, Benedetto XVI. Una narrazione tradizionalista e conservatrice racconta di un Papa emerito perennemente in guerra con quello regnante, e viceversa: dissidi, dissapori, spigolosità, diversità di vedute su tutto e tutti, trame sotterranee e pettegolezzi. C’è del vero? Il Santo Padre si prende qualche secondo e poi sorride: “Benedetto per me è un padre e un fratello, per lettera gli scrivo 'filialmente e fraternamente'. Lo vado a trovare spesso lassù (con il dito indica la direzione del monastero Mater Ecclesiae proprio alle spalle di San Pietro, ndr) e se recentemente lo vedo un po' meno è solo perché non voglio affaticarlo. Il rapporto è davvero buono, molto buono, concordiamo sulle cose da fare. Benedetto è un uomo buono, è la santità fatta persona. Non ci sono problemi fra noi, poi ognuno può dire e pensare ciò che vuole. Pensi che sono riusciti perfino a raccontare che avevamo litigato, io e Benedetto, su quale tomba spettava a me e quale a lui”. Il Pontefice riannoda le fila del discorso partito da lontano, ripensa a quando arrivò al soglio di Pietro e di cosa pensava allora dei mali materiali della Chiesa, nulla rispetto a quel che poi ritroverà affondando le mani nella gestione opaca delle finanze vaticane, l’obolo di San Pietro, l’imprudenza di certi investimenti all’estero, l’attivismo poco caritatevole di pastori d’anime trasformatisi in lupi di rendite. Bergoglio si rifà a Sant’Ambrogio, vescovo, teologo e santo romano, per sintetizzare la sua linea guida: “La Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice. Diciamo meglio: una parte di essa, perché la stragrande maggioranza va in senso contrario, persegue la giusta via. Però è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici della Chiesa, hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli. A me colpisce il Vangelo quando il Signore chiede di scegliere: o segui Dio o segui il denaro. Lo ha detto Gesù, non è possibile andare dietro a entrambi”. Da Sant’Ambrogio il Papa passa alla nonna dispensatrice di buoni consigli: “Lei, che certo non era una teologa, a noi bambini diceva sempre che il diavolo entra dalle tasche. Aveva ragione”. Come aveva ragione quella vecchina incontrata in una sterminata baraccopoli di Buenos Aires il giorno in cui morì Giovanni Paolo II: “Mi trovavo in un autobus – ricorda Francesco - stavo andando in una favela, quando venni raggiunto dalla notizia che stava facendo il giro del mondo. Durante la messa, chiesi di pregare per il Papa defunto. Finita la celebrazione mi si avvicinò una donna poverissima, chiese informazioni su come si eleggeva il Papa, le raccontai della fumata bianca, dei cardinali, del conclave. Al che lei mi interruppe e disse: senta Bergoglio, quando diventerà Papa per prima cosa si ricordi di comprare un cagnolino. Le risposi che difficilmente lo sarei diventato, e se nel caso perché avrei dovuto prendere il cane. “Ogni volta che si troverà a mangiare – fu la sua risposta - ne dia un pezzettino prima a lui, se lui sta bene allora continui pure a mangiare”. Questo pensa la gente del Vaticano? Che la situazione è fuori controllo che può succedere di tutto? “Era ovviamente una esagerazione” taglia corto il Santo Padre. “Ma dava conto dell’idea che il popolo di Dio, i poveri fra i più poveri al mondo, aveva della Casa del Signore attraversata da ferite profonde, lotte intestine e malversazioni”. La lotta pubblica e senza sconti al malaffare vaticano di questi tempi regala l’immagine di un Pontefice molto concreto, deciso, risoluto, un eroe solitario osannato dalle folle ma osteggiato da un nemico invisibile. Un Papa che appare solo nei palazzi del piccolo Stato, ma che solo non è avendo dalla sua la quasi totalità degli osservanti e dei devoti. Francesco inarca le sopracciglia, allarga lentamente le braccia cercando al contempo lo sguardo del suo ospite. Sono secondi interminabili. “Sarà quel che il Signore vuole che sia. Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c’è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta. Ci sono stati esempi di malaffare, di tradimenti, che feriscono chi crede nella Chiesa. Queste persone non sono certo suore di clausura”. Sua Santità ammette di non sapere se vincerà o meno la battaglia. Ma con amorevole risolutezza si dice certo di una cosa: “So che devo farla, sono stato chiamato a farla, poi sarà il Signore a dire se ho fatto bene o se ho fatto male. Sinceramente non sono molto ottimista (sorride, ndr) però confido in Dio e negli uomini fedeli a Dio. Ricordo di quand’ero a Cordoba, pregavo, confessavo, scrivevo, un giorno vado in biblioteca a cercare un libro e mi imbatto in sei-sette volumi sulla storia dei Papi, e anche tra i miei antichissimi predecessori ho trovato qualche esempio non proprio edificante”. Oggi la miglior difesa dei nemici giurati del Papa è l’attacco a Francesco attraverso i continui richiami a quel che presto, sperano, verrà dopo di lui. Una sorta di liberazione e di resurrezione per un pontificato dato già per archiviato perché troppo divisivo, politicamente scorretto, ideologicamente schierato da una parte sola. Sul toto-papa che impazza nei passaparola, Bergoglio la prende con ironia: “Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo. Recentemente, nello stesso giorno, mi sono sottoposto a degli esami medici di routine, i medici mi hanno detto che uno di questi si poteva fare ogni cinque anni oppure ogni anno, loro propendevano per il quinquennio, io ho detto facciamolo anno per anno, non si sa mai (il sorriso stavolta si fa più generoso, nda)”. Papa Bergoglio ascolta con attenzione l’elenco delle critiche che gli sono state rivolte nel tempo, non fa trasparire insofferenza sulla sortita del cardinal Ruini (“criticare il Papa non significa essergli contro”) sembra segnarsele a mente una per una le contestazioni, dalle unioni civili all’accordo con la Cina. Ci pensa su una decina di secondi e infine consegna un pensiero a tutto tondo: “Non direi il vero, e farei torto alla sua intelligenza se le dicessi che le critiche ti lasciano bene. A nessuno piacciono, specie quando sono schiaffi in faccia, quando fanno male se dette in malafede e con malignità. Con altrettanta convinzione però dico che le critiche possono essere costruttive, e allora io me le prendo tutte perché la critica porta a esaminarmi, a fare un esame di coscienza, a chiedermi se ho sbagliato, dove e perché ho sbagliato, se ho fatto bene, se ho fatto male, se potevo fare meglio. Il Papa le critiche le ascolta tutte dopodiché esercita il discernimento, capire cosa è a fin di bene e cosa no. Discernimento che è la linea guida del mio percorso, su tutto, su tutti. E qui – continua Papa Francesco – sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare la verità su quel che sta succedendo all’interno della Chiesa. E’ vero che poi se nella critica devo trovare ispirazione per fare meglio non posso certo lasciarmi trascinare da ogni cosa che di poco positivo scrivono sul Papa”. Il tempo di elaborare la domanda successiva e il Santo Padre anticipa ancor di più la risposta: “Non credo possa esserci una sola persona, dentro e fuori di qui, contraria ad estirpare la malapianta della corruzione. Non ci sono strategie particolari, lo schema è banale, semplice, andare avanti e non fermarsi, bisogna fare passi piccoli ma concreti. Per arrivare ai risultati di oggi siamo partiti da una riunione di cinque anni fa su come aggiornare il sistema giudiziario, poi con le prime indagini ho dovuto rimuovere posizioni e resistenze, si è andati a scavare nelle finanze, abbiamo nuovi vertici allo Ior, insomma ho dovuto cambiare tante cose e tante molto presto cambieranno”. Fatta salva la presunzione di innocenza per chiunque sia finito o finirà nel mirino della magistratura vaticana, è sotto gli occhi di tutti quanto di buono stia facendo Francesco camminando sul filo del dirupo dell’immoralità diffusa in settori precisi della Chiesa. Ci chiediamo, e con un po’ di timidezza chiediamo al Santo Padre: ma il Papa ha paura? La replica stavolta è più ponderata. Il silenzio sembra non finire mai, sembra in attesa di trovare le parole giuste. Sembra. “E perché dovrei averne?” si domanda e ci domanda il Santo Padre. “Non temo conseguenze contro di me, non temo nulla, agisco in nome e per conto di nostro Signore. Sono un incosciente? Difetto di un po’ di prudenza? Non saprei cosa dire, mi guida l’istinto e lo Spirito Santo, mi guida l’amore del mio meraviglioso popolo che segue Gesù Cristo. E poi prego, prego tanto, tutti noi in questo momento difficile dobbiamo pregare tanto per quanto sta accadendo nel mondo”. Il coronavirus è tornato fra noi, si trascina dietro inquietudine, morti e paura. Il Sommo Pontefice si prende la parola e non la lascia più, e parla quasi tenendoti per mano, come non ti aspetteresti mai dal pastore in terra della chiesa universale. “Sono giorni di grande incertezza, prego tanto, sono tanto, tanto, tanto vicino a chi soffre, sono con la preghiera a chi aiuta le persone che soffrono per motivi di salute e non solo”. Il riferimento va ai famosi eroi, i “santi della porta accanto” come ebbe a definirli due settimane dopo l’appuntamento globale del 27 marzo, quand’era solo in piazza San Pietro, sotto la pioggia, in preghiera per la fine della pandemia ai piedi del crocifisso inondato dalle lacrime piovute dal cielo. Padre Santo, gli chiediamo, si prospettano nuovi lockdown, si riparla di restrizioni per il culto, c’è un rischio di ripercussioni per la Chiesa? “Non voglio entrare nelle decisioni politiche del governo italiano ma le racconto una storia che mi ha dato un dispiacere: ho saputo di un vescovo che ha affermato che con questa pandemia la gente si è 'disabituata' – ha detto proprio così - ad andare in chiesa, che non tornerà più a inginocchiarsi davanti a un crocifisso o a ricevere il corpo di Cristo. Io dico che se questa 'gente', come la chiama il vescovo, veniva in chiesa per abitudine allora è meglio che resti pure a casa. E’ lo Spirito Santo che chiama la gente. Forse dopo questa dura prova, con queste nuove difficoltà, con la sofferenza che entra nelle case, i fedeli saranno più veri, più autentici, Mi creda, sarà così”. L’incontro termina qui, il commiato è semplice e commovente più del benvenuto. Diceva San Francesco che un solo raggio di sole è sufficiente a cancellare milioni di ombre. Nella stanza improvvisamente vuota la luce di speranza dell’unico Papa che ha preso il nome dal fraticello d’Assisi resta incredibilmente accesa. E per un istante con l’oscurità del virus si spegne anche il buio del peccato dei consacrati del Signore.
(Adnkronos) - "L'annuncio dei dazi ha messo in difficoltà le imprese ed il commercio internazionale. Lo studio legale Fortunata Giada Modaffari ha attivato una task force per analizzare gli impatti caso per caso e valutare possibili soluzioni strategiche per le aziende che ne saranno più colpite. I punti su cui bisogna svolgere uno studio e ricerca con estrema attenzione riguardano le riorganizzazioni dei flussi logistici". E' quanto si legge in una nota. "Nel frattempo - spiega - l’Ue intende negoziare, ma in subordine stabilire, delle contromisure. Il rischio, però, è che si entri in un circolo vizioso in cui ogni nuova barriera genera una contro-barriera, in un’escalation che danneggia proprio coloro che il commercio dovrebbe proteggere: le imprese e i consumatori. Pertanto le imprese dovranno prepararsi sul piano strategico e operativo mantenendo altresì alta l’attenzione sulle evoluzioni normative e politiche internazionali, che potrebbero cambiare radicalmente gli scenari da un giorno all’altro". "Il nostro team di esperti effettuerà, su richiesta delle aziende, l’analisi dell’impatto dei nuovi dazi statunitensi sulle esportazioni e stabilirà una strategia operativa e doganale per mitigarne gli effetti", conclude.
(Adnkronos) - Il Giro d’Italia della Csr, l’evento itinerante del Salone della Csr e dell’Innovazione sociale, continua il suo viaggio attraverso l’Italia per promuovere il confronto e condividere esperienze e progetti legati alla sostenibilità. Il prossimo appuntamento è a Roma, il 14 aprile alle 9.30 all'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, per un incontro dal titolo 'Consapevolezza, inclusione, co-creazione'. L’evento, organizzato in collaborazione con l’ateneo romano, i master executive Maris e Memis e con l’associazione Anima per il sociale nei valori d’Impresa, è incentrato sull’importanza di fare rete. “È in atto in processo di trasformazione che richiede la collaborazione dei diversi attori sociali - dichiara Rossella Sobrero, del Gruppo promotore del Salone - Ormai è chiaro che quando un progetto è condiviso negli obiettivi, nel modo di operare e di comunicare, i risultati positivi arrivano con soddisfazione per tutti i soggetti coinvolti e soprattutto per i beneficiari”. Ad aprire i lavori della tappa romana, che si svolgerà in presenza nella Sala del Consiglio della Facoltà di Economia, via Columbia 2, sarà Rossella Sobrero insieme a Nathan Levialdi Ghiron, Rettore dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. “In un mondo che cambia con velocità crescente - dichiara il Rettore - le università hanno il compito non solo di formare competenze, ma di attivare connessioni. Collaborare al Giro d’Italia della Csr significa valorizzare la nostra vocazione pubblica: unire saperi, territorio e responsabilità sociale. Non è solo una tappa, è un passo in avanti nella direzione di un’università sempre più aperta, inclusiva e consapevole del proprio ruolo trasformativo”. Anche Sabrina Florio, presidente di Anima per il sociale nei valori d’impresa, porta il suo contributo all’apertura dei lavori. “Il difficile momento storico che stiamo attraversando ci pone di fronte alla necessità di mettere la sostenibilità al centro, accelerando la trasformazione del business e cogliendo nuove opportunità di investimento e di crescita - commenta - Le sfide di enorme portata del prossimo futuro richiedono l’impegno e la collaborazione di tutti. Valori come consapevolezza, inclusione, co-creazione, devono essere i pilastri fondamentali attraverso cui agire, per costruire un modello di business capace di conciliare competitività economica con benessere socio-ambientale, utilizzando al meglio le risorse disponibili”. La tappa di Roma del Giro d’Italia della Csr è l’occasione per presentare diversi progetti avviati sul territorio, che hanno coinvolto attivamente anche giovani studenti. È il caso del progetto di co-housing intergenerazionale 'Insieme siamo migliori', nato per unire le esigenze degli universitari fuori sede in cerca di un alloggio a costi sostenibili e quelle delle famiglie, delle coppie e degli anziani disposti a condividere spazi poco utilizzati della loro abilitazione a fronte di un contributo alle spese, di un piccolo aiuto domestico o di semplice compagnia. A raccontare l’esperienza, che grazie alla cassa di risonanza del Salone punta a essere replicata in altre città, sarà Bianca Sulpasso, delegata all’Internazionalizzazione dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Sempre in tema di emergenza abitativa, punta invece a ripopolare i piccoli borghi il progetto del comune di Artena, a 30 km da Roma nell’alta valle del fiume Sacco, esempio di resilienza e di capacità di rinnovamento che entra a far parte di 'Insieme siamo migliori', e che sarà raccontato da Livia Latini, assessore all’Urbanistica e Architettura del Comune di Artena. Il suo contributo sarà seguito dalla presentazione della nuova 'Guida per comunità coraggiose - Rimedi contro lo spopolamento' presentata da Dario Poligioni, Business Developer di Next - Nuova Economia per Tutti. Diversi altri progetti di inclusione e rigenerazione sociale e urbana saranno presentati da Stefano Bani, membro del Consiglio Direttivo di Retake Roma, e da Dario Nanni, presidente della Commissione Giubileo. Il secondo panel dedicato ai progetti sul territorio sarà incentrato sul caso 'Welfare di Comunità Colombi', un progetto pensato per i migranti ma non solo, che riguarda la struttura di accoglienza per minori di Via dei Colombi 190 a Roma, diventata oggi un luogo aperto capace di entrare in connessione con il territorio. Il progetto nasce dalla necessità di valorizzare l’abitare e il capitale sociale del quartiere, Torre Maura, e della periferia dove si trova la struttura di accoglienza. Grazie ad un importante lavoro di co-progettazione con il Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale, il Programma Integra e le cooperative Fai, Il Cammino, Parsec e Spes contra Spem, sono state attivate una serie di attività e laboratori aperti a tutti, che puntano a promuovere la coesione sociale e la partecipazione attiva dei cittadini e dei Minori Stranieri Non Accompagnati attraverso lo sviluppo dell’empowerment giovanile, comunitario e della mediazione sociale. Il progetto coinvolge anche le organizzazioni e realtà presenti nel Municipio VI, tra cui l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, grazie all’impegno del Master di secondo livello Maris-Rendicontazione Innovazione Sostenibilità diretto dalla professoressa Gloria Fiorani. A raccontare il 'Welfare di Comunità Colombi' saranno Stefania Milone, dirigente U.O. Protezione Persone minore età Roma Capitale; Valentina Fabbri, presidente del Programma Integra; Lorenzo Guerra, studente dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. “Il successo di un master come il Maris si misura anche dalla capacità di stimolare la collaborazione intersettoriale e la nascita di progetti innovativi di sviluppo sostenibile in risposta ai bisogni dell’amministrazione, dell’azienda, dell’ateneo, dell’istituto scolastico, del territorio, del cittadino, con un approccio win-win in grado di coinvolgere attivamente e valorizzare talenti e competenze di allievi, docenti e partner - commenta Gloria Fiorani, direttrice dei Master Maris e Memis - Scoprire che Roma Capitale aveva inserito i Master come partner privilegiati nell’Avviso pubblico di co-progettazione con Enti del Terzo Settore 'Welfare comunità Colombi' è stato motivo di grande soddisfazione e orgoglio perché significa che è riconosciuta la concreta capacità di creare valore sul territorio”. Per continuare a favorire la comunicazione tra istituzioni e i cittadini, anche la tappa di Roma ospiterà alle 11.30 una sessione di dialogo con le istituzioni, moderata da Rossella Sobrero, a cui prenderanno parte Carmela Pierri, Responsabile Uos Formazione e Comunicazione Inpm - Istituto Salute Migranti; Romano Amato, assessore ai Servizi Sociali del Municipio VI di Roma Capitale; Manuel Onorati, presidente del Cus Roma Tor Vergata e Luana La Bara, ricercatrice Rome Technopole. La conclusione della tappa sarà invece affidata a Marco Meneguzzo, professore onorario dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. I lavori proseguiranno nel pomeriggio, dalle 14 alle 18, con il seminario di presentazione della ricerca coordinata dalla professoressa Fiorani nell’ambito del progetto Grins - Growing Resilient, INclusive and Sustainable 'Mitigazione e adattamento al rischio climatico. Le imprese e le istituzioni della Regione Lazio sono pronte?'. Il prossimo appuntamento con il Giro d’Italia della Csr sarà invece a Torino il 12 maggio 2025.