(Adnkronos) - Dovrebbe essere un paradiso e invece è l'inferno. Almeno, per i dipendenti che si occupano del giardino di re Carlo, l'ambiente di lavoro di Highgrove House è tossico, un posto terribile in cui prestare servizio. La colpa non è dei fiori che ne fanno parte o, come si potrebbe pensare, dei diserbanti e dei prodotti chimici altamente inquinanti che spesso vengono utilizzati nelle colture floreali. Anzi: da questo punto di vista, il parco è coltivato secondo i principi dell'agricoltura biologica tanto cari al sovrano. E nemmeno venga in mente che si tratti di un giardino spettrale, perché quello della residenza privata del re nel Gloucestershire è quanto di più lontano si possa immaginare da un posto infestato da mostri e fantasmi. Prati, alberi, fiori, fontane e laghetti sono infatti idilliaci, come possono testimoniare anche le migliaia di persone che dal 1996 ogni anno visitano il parco. Il problema vero, stando ai giardinieri, è invece proprio Sua Maestà e il suo modo 'dispotico' di trattare i dipendenti. Un'inchiesta del Sunday Times di Londra ha portato alla luce accuse mosse dal tormentato team presso la residenza privata del re. Sostiene che, dei 12 dipendenti a tempo pieno addetti al giardinaggio, che lavoravano a Highgrove nel 2022, 11 si sono dimessi e sono stati sostituiti, inclusi non uno, ma ben due capo giardinieri. Il rapporto dipinge un quadro condizionato da una cultura aziendale tossica proprio nel cuore dell'amato santuario del re. Ex membri dello staff descrivono Charles come "intensamente esigente", incline a inviare note critiche scritte con inchiostro rosso spesso e a lasciarsi coinvolgere in minuziosi dettagli orticoli, riporta il Times. Di un giardiniere che commise un semplice errore, disse: "Non mettete più quell'uomo davanti a me". In un promemoria si legge che Sua Maestà avrebbe ordinato al personale di rimuovere una singola erbaccia infestante vicino al perimetro di una piscina. In un altro ha rimproverato il personale per errori grammaticali, e in un altro ancora lo ha rimproverato dopo un raccolto di delphinium andato a male. Nel 2023, un ex dipendente presentò un reclamo formale in cui descriveva un team "sopraffatto e in difficoltà nel soddisfare le richieste del re". Nella stessa denuncia si affermava: "C'è poca gestione delle aspettative di Sua Maestà il re e so che non mi sarebbe permesso dire che siamo a corto di personale". A complicare il problema ci sono i bassi stipendi (endemici nelle case reali). Molti giardinieri di Highgrove vengono pagati solo il salario minimo, una fonte di frustrazione per il personale che lavora sotto forte pressione e con aspettative complesse da parte di un capo esigente. La King's Foundation, l'ente di beneficenza responsabile della gestione di Highgrove e delle sue operazioni, ha risposto all'elevato tasso di turnover del personale commissionando un'indagine esterna sulla questione. Sorprendentemente, la revisione ha concluso che l'ambiente di lavoro era così scadente che si raccomandava di fornire "supporto e consulenza per la salute mentale" al personale, un colpo di scena profondamente ironico, dato che i giardini di Highgrove dovrebbero rappresentare serenità, equilibrio e pace. L'inchiesta ha anche evidenziato un suggerimento particolarmente insensibile, a quanto pare avanzato dal re all'indomani dell'invasione russa dell'Ucraina. Secondo il Sunday Times, Carlo avrebbe lanciato l'idea di utilizzare rifugiati ucraini o anziani come volontari nei giardini. Un giardiniere ha detto che il personale veniva trattato come "spazzatura", aggiungendo: "C'era rabbia che ribolliva in superficie... molta impazienza, nessuna cortesia". Un'altra persona ha dichiarato che la posizione del re rendeva impossibile parlare: "Era come se dovessi essere grato che ti avessero dato un lavoro, e tu lavori per il re, la persona più importante del Paese". In una breve dichiarazione al Sunday Times, la King's Foundation ha sostenuto che la soddisfazione del personale è elevata, citando i sondaggi condotti tra i dipendenti, e ha anche sottolineato l'implementazione di "cambiamenti per migliorare il lavoro di squadra e le comunicazioni".
(Adnkronos) - Agrifuture, l’azienda agricola sperimentale di MartinoRossi Spa interamente dedicata alla ricerca e al test in campo di tecniche agronomiche e soluzioni innovative finalizzate a una agricoltura sostenibile di alta qualità, si conferma sede di importanti progetti condivisi con partner dell’industria alimentare. In alcune porzioni dei 30 ettari di Agrifuture situati a ridosso della sede centrale di MartinoRossi a Malagnino, infatti, sono in corso sperimentazioni di tecniche di precision farming, agricoltura rigenerativa e agricoltura consociativa condotte per conto e in stretta collaborazione con nomi eccellenti dell’agroalimentare nazionale come Gruppo Amadori e Galbusera, che riconfermano così nuovamente il concreto impegno in ambito di sostenibilità, diretto a contribuire alla creazione di modelli agricoli più resilienti, efficienti e rispettosi dell’ambiente. In particolare, MartinoRossi, fornitore del Gruppo Amadori con materie prime e ingredienti destinati alla produzione della linea di prodotti finiti plant-based, sta portando avanti un progetto sperimentale in uno dei campi di Agrifuture, in collaborazione con l’azienda romagnola. L’attività si concentra sulla consociazione colturale e sulla tecnica di precision farming, con l’obiettivo di applicare pratiche agricole rigenerative e ridurre l’uso di acqua e fertilizzanti. Il progetto si basa sulla consociazione del mais vitreo con leguminose, coltivate in file alternate secondo lo schema del 'corridoio solare'. Questa tecnica mira a trarre vantaggio dalla naturale complementarità tra le colture: il mais, che ha un elevato fabbisogno di azoto, può trarre beneficio dalla presenza delle leguminose, che grazie a batteri del genere Rhizobium fissano l’azoto atmosferico direttamente nel terreno, riducendo l’impiego di fertilizzanti sintetici. Le leguminose, a loro volta, ricevono un vantaggio dall’ombreggiamento fornito dallo sviluppo verticale del mais, che può proteggerle dalle alte temperature favorendone lo sviluppo. Il campo è suddiviso in due parcelle con differenti combinazioni: una con fagiolo cannellino, l’altra con pisello giallo, una leguminosa scelta in funzione delle esigenze del Gruppo Amadori, che la impiegherà nello sviluppo dei propri prodotti plant-based. Per questa seconda parcella, MartinoRossi ha selezionato una varietà particolarmente tollerante al caldo, con l’obiettivo di verificare in condizioni reali se il mais possa contribuire a mitigare lo stress termico della leguminosa durante i periodi più caldi. Il progetto si propone dunque di verificare in che misura la consociazione sia in grado di rendere più sostenibile la produzione di mais riducendo l’utilizzo di concimi chimici e di acqua. A supporto di questo obiettivo, vengono applicate anche tecniche di sub-irrigazione di precisione e la somministrazione di bioinduttori per via radicale, entrambe realizzate attraverso il sistema Underdrip®. "Abbiamo aderito con entusiasmo - commenta Tommaso Chiappa, direttore Consumer Marketing Amadori - a questo progetto. La scelta di collaborare con MartinoRossi per la fornitura delle proteine vegetali destinate alla nostra linea plant-based è motivata principalmente dalla profonda attenzione che l’azienda dedica alla ricerca e sviluppo, anche sul campo, alla sostenibilità e alla gestione integrata della propria filiera, dalla coltivazione alla raccolta e produzione. L'adozione di una filiera 100% italiana per le proteine vegetali nella nostra gamma Veggy, introdotta da pochi mesi, ha rappresentato un tassello cruciale della strategia di sviluppo della linea. Questa scelta continua a giocare un ruolo fondamentale nell'affermare il Gruppo Amadori come la Protein Company Italiana più sostenibile e innovativa". MartinoRossi, punto di riferimento dell’industria alimentare nella fornitura di farine, granelle e ingredienti funzionali senza glutine, allergeni e Ogm da cereali e legumi coltivati in filiera controllata, ha avviato inoltre insieme a Galbusera un progetto di studio volto a misurare la produttività del mais bianco coltivato con apporti minimi sia di concimi azotati sia di acqua. La sperimentazione ha avuto inizio a metà maggio con la semina del mais su un campo gestito in agricoltura conservativa dove Ersaf Lombardia monitora nell’evolversi nel tempo la quantità di sostanza organica. La porzione seminata, inoltre, è servita dal sistema di sub-irrigazione di precisione Underdrip, che rilascia quantità ottimizzate di acqua e bioinduttori a diretto contatto con l’apparato radicale, evitando in questo modo gli sprechi d’acqua per evaporazione e riducendo i prelievi di risorsa idrica. MartinoRossi, nell’ambito di questa sperimentazione, ha utilizzato droni per somministrare biostimolanti fogliari, ovvero microrganismi che entrano in simbiosi con le colture favorendone lo sviluppo radicale e la capacità di assunzione di nutrienti. L’impiego dei droni da un lato ha migliorato la qualità della nebulizzazione grazie alla forte turbolenza generata dalle eliche; dall’altro, i limiti di carico dei droni hanno condotto a sperimentare, con esito positivo, l’efficacia di un quantitativo sensibilmente inferiore (circa il 70% in meno) di soluzione irrorata. Inoltre, sempre allo scopo di utilizzare solo l’acqua necessaria, MartinoRossi sta testando in campo da qualche anno delle particolari microsonde, che monitorano sia la temperatura sia il flusso della linfa all’interno della pianta, rilevando in tempo reale eventuali situazioni di stress idrico. “Per noi di Galbusera questa sperimentazione è un esempio concreto di come qualità eccellente, innovazione e sostenibilità possano intrecciarsi in un progetto condiviso lungo tutta la filiera. Con MartinoRossi stiamo lavorando sul mais bianco, uno degli ingredienti dei nostri biscotti senza glutine, contribuendo a ridurre i fertilizzanti, consumi idrici ed emissioni. È un modello virtuoso, che ci vede non solo come acquirenti ma come parte attiva di una filiera che genera impatto reale”, dichiara Giovanna Solito, direttore Marketing di Galbusera. Parallelamente alle sperimentazioni in partnership con Galbusera e Amadori, MartinoRossi sta conducendo presso Agrifuture altri progetti in collaborazione con Campi d’Italia, Underdrip, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Milano, Lilas4Soild (relativamente al Carbon Farming) ed Ersaf. In particolare, con UniMi è in corso lo sviluppo di un modello Ai per la gestione automatizzata dell’irrigazione.
(Adnkronos) - L’88% degli italiani ritiene importante integrare fonti rinnovabili nei propri sistemi di riscaldamento domestico. Un dato che conferma la crescente attenzione verso tecnologie capaci di coniugare rispetto ambientale, risparmio e comfort abitativo. Sono i dati della recente indagine Bva Doxa per Ariston, condotta su un campione rappresentativo di cittadini italiani tra i 25 e i 64 anni; analizzando le percezioni e le preferenze degli italiani riguardo agli impianti di riscaldamento. Secondo lo studio, in particolare, il 58% degli intervistati individua nelle pompe di calore e nei sistemi ibridi le soluzioni ideali, in sostituzione delle caldaie tradizionali, mentre il 68% identifica l’efficienza energetica come il criterio principale nella scelta di un nuovo impianto. Ulteriormente, il 37% si orienta verso i sistemi ibridi, apprezzandone la versatilità, mentre un aggiuntivo 21% predilige pompe di calore autonome. Scelte che dimostrano come il tema della sostenibilità sia ormai radicato nella nostra quotidianità, anche grazie a una forte fiducia nella tecnologia: l’86% reputa questi impianti affidabili, e il 77% è convinto che garantiscano un comfort superiore rispetto ai sistemi convenzionali. Ma l’interesse non si ferma al solo aspetto ambientale. L’innovazione è sempre più vista come un’opportunità di valorizzazione economica del proprio immobile: l’85% del campione riconosce che l’adozione di un impianto innovativo può accrescere il valore della casa. Un investimento consapevole, dunque, che riflette una nuova sensibilità verso l’efficienza energetica come leva concreta di risparmio e miglioramento della qualità della vita. Tuttavia, permangono alcune barriere: il costo iniziale elevato è percepito come ostacolo dal 66% degli italiani, seguito dalla difficoltà di installazione (32%) e dalla scarsa conoscenza degli incentivi disponibili (30%).