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(Adnkronos) - La nazionale nigeriana di calcio ha vissuto un incubo. Lookman e compagni sono volati in Libia nella giornata di ieri per giocare la partita valida per le qualificazioni alla Coppa d'Africa contro i padroni di casa, in programma domani. Il volo nigeriano doveva atterrare a Bengasi, a 20 chilometri da Benina, dove si sarebbe dovuto disputare il match, ma è stato dirottato ad Al Abraq, dove le uscite dall'aeroporto sono state bloccate e i giocatori lasciati per tutta la notte senza cibo, acqua o un posto dove dormire. A raccontare una situazione che sta diventando drammatica ci ha pensato il capitano ed ex Serie A Troost-Ekong: "Quando abbiamo iniziato la discesa, ci hanno dirottato su un altro aeroporto: è stata una decisione delle autorità locali. Il governo libico ha annullato il nostro atterraggio a Bengasi senza motivo. Hanno chiuso i cancelli dell'aeroporto e ci hanno lasciato senza linea telefonica, cibo o bevande. Tutto per fare giochi mentali", ha scritto sul proprio profilo X. "Il pilota del nostro volo, tunisino, è uscito e tornato diverse ore dopo. Gli è stato detto che in tutti gli hotel vicini avrebbero accettato solo lui e nessun altro, nemmeno gli altri membri dell’equipaggio, che erano nigeriani. Abbiamo chiesto al nostro governo di intervenire e salvarci. Insieme alla squadra abbiamo deciso che non giocheremo questa partita. La CAF dovrebbe esaminare cosa sta succedendo qui. Anche se decidessero di consentire lo svolgimento della partita, rinunceremmo ai punti. Non accetteremo di viaggiare da nessuna parte qui, non è sicuro. Possiamo solo immaginare come sarebbe l'hotel o il cibo", ha concluso l'ex difensore di Udinese e Salernitana. I giocatori, tra cui ci sono anche i Serie A Okoye (Udinese), Dele-Bashiru (Lazio) e Lookman (Atalanta), hanno trascorso la notte arrangiandosi come potevano, come testimoniato da diverse foto pubblicate dagli stessi calciatori sui propri profili social. Altri video mostrano invece le forze dell'ordine locali bloccare le uscite: "Abbiamo paura. Prendetevi pure i punti, vogliamo solo tornare a casa", ha scritto su X Victor Boniface, attaccante del Bayer Leverkusen. Le sue preghiere sono state esaudite nel primo pomeriggio di oggi, quando è stato ancora Troost-Ekong a condividere un aggiornamento con i suoi preoccupati follower: "Il potere dei social media. A quanto pare il nostro aereo è in rifornimento mentre parliamo e dovremmo partire per la Nigeria a breve. Grazie a tutti per il supporto! Non tratteremmo mai una nazione ospite per una partita in questo modo. Gli errori capitano, i ritardi capitano. Ma mai di proposito!", ha concluso.
(Adnkronos) - L’economia blu è una delle principali leve di sviluppo per il futuro economico dell’Italia, dell’Europa e del mondo, ma solo il 15% delle aziende a livello globale considera pienamente la blue economy un’opportunità di crescita. È il risultato di un’analisi che verrà presentata in anteprima il 16 ottobre a Blue Planet Economy Expoforum, la manifestazione che dal 16 al 18 ottobre a Fiera Roma accende i riflettori su ambiente, sviluppo e innovazione nel maxi comparto produttivo che è l’economia blu, con un focus particolare sul ruolo strategico delle comunità locali e delle piccole e medie imprese nel promuovere pratiche sostenibili e innovative. L’Italia si conferma una delle maggiori potenze marittime in Europa, accanto a Germania, Francia e Spagna. I dati più recenti (XII Rapporto sull’economia del mare, Unioncamere 2024) mostrano che l’economia del mare contribuisce al 10,2% del Pil nazionale, generando un valore di oltre 178 miliardi di euro, con più di un milione di lavoratori e circa 228 mila imprese attive. Per consentire una crescita sostenibile dell’economia blu, è cruciale preservare gli ecosistemi marini e costieri. Tuttavia, molte aziende a livello globale non sono ancora consapevoli delle pressioni dirette e indirette che esercitano su tali ecosistemi, né dei rischi che ne derivano per il loro business a causa del degrado dell’oceano. Solo una piccola percentuale di imprese sta realmente sfruttando il potenziale offerto dall’economia blu per creare valore. One Ocean Foundation, organizzazione no-profit dedicata alla tutela degli ecosistemi marini e dell’oceano, riconosciuta a livello internazionale come piattaforma leader per lo sviluppo sostenibile, ha svolto un’analisi su circa 2500 aziende globali, che rappresentano oltre il 70% del Pil mondiale. Lo studio rivela che solo il 15% delle aziende prese a campione a livello globale e il 33% a livello europeo vede l’economia blu come un motore per innovazione, mitigazione delle pressioni ambientali e lo sviluppo di soluzioni basate sulla natura. La ricerca, effettuata con l’utilizzo di tecniche innovative come l’elaborazione del linguaggio naturale (Nlp) e l’intelligenza artificiale generativa (GenAI), evidenzia che i settori più attivi includono quelli di energia marina, pesca e acquacoltura sostenibile. Eppure le opportunità sono ingenti: dall’ecoturismo costiero alla produzione di blu food, fino all’energia eolica offshore, le imprese che adottano pratiche sostenibili possono ridurre costi, migliorare l’efficienza, creare nuove fonti di reddito e rafforzare la loro reputazione. “L’economia blu - spiega Jan Pachner, segretario generale di One Ocean Foundation, che presenterà la ricerca - non è quindi solo una questione ambientale, ma un’opportunità strategica che le aziende italiane devono cogliere per garantire un futuro prospero e sostenibile. La sfida è ora quella di accelerare l’adozione di pratiche che tutelino l’oceano, contribuendo al contempo alla crescita economica del Paese”. Accanto all’area espositiva dove istituzioni, enti di ricerca e aziende portano in mostra l’innovazione e l’eccellenza nel settore, la manifestazione propone un articolato programma di conferenze, workshop e appuntamenti di approfondimento. Dopo l’apertura inaugurale, il primo giorno - mercoledì 16 ottobre - prevede, a cura della sezione Energia di Unindustria, il focus 'Decarbonizzare: modelli a confronto nella Blue Economy - II edizione', con testimonianze e progetti di sostenibilità sui temi dell’energia e dell’economia del mare; un approfondimento, organizzato dall’Associazione MAR, sulla Lazio Blue Route, per esplorare nuovi scenari per la valorizzazione del patrimonio marittimo italiano all’insegna di un turismo sostenibile. Alle 16 Ocean One Foundation approfondisce il tema di come generare valore per le aziende proteggendo l’oceano, con un focus su blue food, energia eolica offshore e turismo marittimo sostenibile. Giovedì 17 ottobre sono centrali l’appuntamento, a cura dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale – Ogs, dedicato al Marmed, la figura del maritime cluster manager sempre più motore della blue economy nel Mediterraneo e oggetto di progetti di formazione professionale altamente qualificata e i due panel dedicati alla dissalazione, organizzati da Westmed Initiative e Aidara. Il primo propone un focus sulla circolarità del ciclo della dissalazione, quale soluzione sostenibile nella lotta alla crisi idrica e nell’approvvigionamento di materiali critici; il secondo approfondisce la partnership Italia-Marocco nel settore della dissalazione e del riuso delle acque depurate. Il terzo e ultimo giorno, venerdì 18 ottobre, sono protagoniste le biotecnologie blu e le loro enormi potenzialità, con un approfondimento a cura di Enea, e la finanza blu cui sono dedicati due appuntamenti, a cura di LazioInnova. Nel primo, si esplorano gli strumenti finanziari diretti e indiretti per promuovere un’economia sostenibile e proteggere gli ecosistemi marini; nel secondo i principali attori della finanza si confrontano sui temi della blue economy. In tutti e tre i giorni la formazione è protagonista con il format Business to Students, un programma di incontri per mettere in collegamento diretto studenti e aziende. Particolarmente strategico è anche il programma di networking internazionale, che offre agli espositori l’opportunità di consolidare la loro presenza nei mercati del Mediterraneo e dell’Africa Settentrionale. Chiude la manifestazione la cerimonia di premiazione del 'Blue Ambassador Award 2024'. Il premio, a cura dell’associazione MAR, in collaborazione con la Fondazione Xcellence – Servizi alle Imprese ed Enea, tributa un riconoscimento all’impegno di manager, ricercatori, operatori del terzo settore e studenti, che si sono distinti per progetti e studi innovativi nel campo della Blue Economy. Blue Planet Economy Expoforum si svolge in concomitanza con Zeroemission Mediterranean 2024, manifestazione internazionale per la transizione energetica.
(Adnkronos) - In 50 anni (1970-2020) c'è stato un calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici oggetto di monitoraggio: in America Latina e nei Caraibi il calo più marcato (-95%) seguite da Africa (-76%) e Asia-Pacifico (-60%). E' quanto emerge dal Living Planet Report (Lpr) 2024 del Wwf. Il Living Planet Index (Lpi), fornito dalla Zsl (Zoological Society of London), si basa sui trend di quasi 35mila popolazioni di 5.495 specie di vertebrati dal 1970 al 2020. Il calo più forte si registra negli ecosistemi di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e poi marini (-56%). Il report avvisa che, mentre il Pianeta si avvicina a pericolosi punti di non ritorno che rappresentano gravi minacce per l’umanità, nei prossimi cinque anni sarà necessario un enorme sforzo collettivo per affrontare la duplice morsa della crisi climatica e biologica. "La perdita e il degrado degli habitat, causati principalmente dai nostri sistemi alimentari, rappresentano la minaccia più frequente per le popolazioni di specie selvatiche di tutto il mondo, seguita dallo sfruttamento eccessivo, dalla diffusione delle specie invasive e di patologie. Il cambiamento climatico rappresenta un’ulteriore minaccia in particolare per la biodiversità in America Latina e nei Caraibi, regioni che hanno registrato un impressionante calo medio del 95%. Il calo delle popolazioni di specie selvatiche è un indicatore di allerta precoce del crescente rischio di estinzione e della potenziale perdita di ecosistemi sani", avverte il Wwf. Quando gli ecosistemi vengono danneggiati, "cessano di fornire all’umanità i benefici da cui dipendiamo, aria pulita, acqua e terreni sani per il cibo, e possono diventare più vulnerabili e sempre più vicini al punto di non ritorno. Un ‘tipping point’, infatti, si verifica quando un ecosistema viene spinto oltre una soglia critica, determinando un cambiamento sostanziale e potenzialmente irreversibile. I tipping point globali, come il deperimento della foresta amazzonica e lo sbiancamento di massa delle barriere coralline, creerebbero onde d’urto che andrebbero ben oltre l’area interessata, provocando un impatto sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza. Il segnale d’allarme è arrivato con gli incendi in Amazzonia che ad agosto hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi 14 anni, mentre all’inizio di quest’anno è stato confermato un quarto evento globale di sbiancamento di massa dei coralli". Per Kirsten Schuijt, direttrice generale del Wwf Internazionale, "la natura sta lanciando un vero e proprio Sos. Le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti, con pericolosi punti di non ritorno globali che minacciano di danneggiare i sistemi che supportano la vita sulla Terra e di destabilizzare le società. Le conseguenze catastrofiche della perdita di alcuni dei nostri ecosistemi più preziosi, come la foresta amazzonica e le barriere coralline, colpirebbero le persone e la natura di tutto il mondo”. "Il sistema Terra è in pericolo, e noi con lui - dice Alessandra Prampolini, direttrice generale del Wwf Italia - Il Living Planet Report ci avverte che le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti. Le decisioni e le azioni dei prossimi cinque anni segneranno il futuro della nostra vita sul pianeta. La parola chiave è trasformazione: dobbiamo cambiare il modo in cui tuteliamo la natura, trasformare il sistema energetico, il sistema alimentare, uno dei motori principali della perdita di biodiversità globale, il sistema finanziario, indirizzandolo verso investimenti più equi e inclusivi. La Conferenza sulla biodiversità di fine ottobre e quella sul clima a novembre sono occasioni preziose: servono azioni coraggiose e leadership forti da parte dei governi. Servono piani nazionali più ambiziosi per il clima e la natura e chiediamo al governo italiano di riconoscere la centralità di questa sfida che riguarda il futuro di tutti". Tra le popolazioni di specie monitorate nell’Lpi è segnalato, ad esempio, un calo del 57% tra il 1990 e il 2018 nel numero di femmine nidificanti di tartaruga marina embricata sull’isola Milman, nella Grande Barriera Corallina in Australia; un calo del 65% dell’inia (un delfino di fiume) nel Rio delle Amazzoni e un calo del 75% della più piccola sotalia tra il 1994 e il 2016 nella riserva di Mamirauá sempre in Amazzonia. Lo scorso anno, durante un periodo di caldo estremo e siccità, oltre 330 inie sono morte in soli due laghi. L’indice rivela anche come alcune popolazioni animali si siano stabilizzate o siano aumentate grazie agli sforzi di conservazione, come è accaduto per la sottopopolazione di gorilla di montagna, aumentata di circa il 3% all’anno tra il 2010 e il 2016 all’interno del massiccio del Virunga nell’Africa orientale, e per il bisonte europeo, che ha visto un ritorno delle popolazioni in Europa centrale. Tuttavia, questi successi isolati non sono sufficienti. Kirsten Schuijt, continua: “Nonostante la situazione sia disperata, non abbiamo ancora superato il punto di non ritorno. Disponiamo di accordi e soluzioni globali per portare entro il 2030 la natura sul percorso di ripresa, ma finora ci sono stati pochi progressi sia in termini di risultati che di urgenza. Le decisioni e le azioni intraprese nei prossimi cinque anni saranno cruciali per il futuro della vita sulla Terra". Per Andrew Terry, direttore Conservation Policy presso la Zsl, "il Living Planet Index evidenzia a livello globale la continua riduzione delle popolazioni animali selvatiche e questo assottigliamento dell’albero della vita rischia di farci arrivare a pericolosi punti di non ritorno. In questa perdita non siamo inermi. Sappiamo cosa fare e sappiamo che, se ne ha la possibilità, la natura può riprendersi: ciò di cui abbiamo bisogno ora è un aumento dell’azione e dell’ambizione. Abbiamo cinque anni per raggiungere gli impegni internazionali volti a ripristinare la natura entro il 2030. I leader mondiali si riuniranno presto per la Cop16 e abbiamo bisogno di vedere risposte forti da parte loro e un aumento immediato delle risorse necessarie a raggiungere tali impegni e rimetterci sul percorso verso la ripresa”.