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(Adnkronos) - Rita dalla Chiesa, ospite di 'Storie di donne al bivio' di Monica Setta, racconta il suo rapporto con Fabrizio Frizzi, morto nel 2018 dopo una lunga malattia. I due sono stati sposati dal 1992 al 1998. La conduttrice e parlamentare di Forza Italia racconta nella puntata, in onda lunedì 9 settembre in prima serata su Rai 2, il "grande amore tra me e Fabrizio. Dopo di me lui ha amato profondamente Carlotta (Mantovan, ndr.), ma le nostre storie appartengono a tempi diversi. Penso che se avessi saputo perdonare il mio matrimonio con Fabrizio probabilmente non sarebbe finito". Per la prima volta ammette di essersi pentita di aver lasciato Frizzi, dopo il tradimento del conduttore con la corista di Domenica In Graziella De Bonis. Reduce da una brutta polmonite, che l'ha bloccata a letto l'intera estate, racconta nella puntata anche un'altra liason "puramente intellettuale" con l'attore Franco Nero: "È un uomo bellissimo, ci siamo visti spesso a cena, frequentati amichevolmente ma i miei occhi non potevano competere con quelli di Vanessa Redgrave". Nella lunga intervista sentimentale Rita dalla Chiesa parla anche di Albano, che lei ha frequentato quando il cantante era stato lasciato da Romina Power e lei si era separata da Frizzi. "Mi hanno chiesto in molti se c'era mai stata la possibilità che il nostro rapporto diventasse qualcosa di più serio. Non c'è mai stata. Albano - ricorda - mi ha sempre aiutata e confortata in quel dolore da gentiluomo che ha profondi valori, in primis l'amicizia". Infine, Rita conferma alla Setta di essere pronta a innamorarsi di nuovo. Alla domanda "C'è già un uomo nella tua vita?", risponde: "Nessuna donna è mai sola. Se son fiori, fioriranno". Con la regia di Giacomo Necci, il programma fa parte della direzione approfondimento diretta da Paolo Corsini.
(Adnkronos) - Esperienza, innovazione e soprattutto made in Italy. Questo il segreto di Gruppo Caffo 1915 da cui nascono diversi prodotti, primo fra tutti il Vecchio Amaro del Capo, ma anche l’Elisir San Marzano Borsci e il Petrus Boonekamp. Una storia ultracentenaria che prende vita da Giuseppe Caffo, mastro distillatore, alla fine dell’Ottocento quando, ai piedi dell'Etna, inizia a distillare vinacce. Nel 1915, dopo averla gestita per anni in affitto, rileva una distilleria esistente a Santa Venerina, vicino a Catania, con una produzione basata soprattutto sui distillati, alcole e derivati della lavorazione del vino. Con il passare del tempo si inizia la produzione di liquori ottenuti da antiche ricette che, grazie ai sapienti dosaggi di erbe aromatiche ed officinali infuse in alcole di ottima qualità, ottengono immediatamente i favori dei buongustai e della raffinata clientela dell’epoca. La tradizione e l’abilità di mastro distillatore passano dal fondatore Giuseppe al figlio Sebastiano che, insieme ai fratelli tornati dall’Australia, costituiscono la società 'Fratelli Caffo-Distillerie di alcole, brandy e tartarici', riattivando un’antica distilleria in Calabria a Limbadi, località all’epoca famosa per la sua produzione di ottimo vino rosso. L’azienda, oggi in mano al nipote omonimo Giuseppe, presidente del Gruppo e suo figlio Sebastiano Giovanni, detto Nuccio, coniugando esperienza e innovazione, con le dovute trasformazioni alle apparecchiature di distillazione e alla lavorazione dei liquori per ottenere il risultato ottimale, è cresciuta rapidamente, anche aprendo filiali all’estero e diventando il punto fondamentale di un gruppo di aziende controllate dalla holding Caffo 1915 srl. "I nostri prodotti - spiega in un'intervista all'Adnkronos/Labitalia Nuccio Caffo, amministratore delegato di Gruppo Caffo 1915 - sono apprezzati a livello nazionale e internazionale. Anche quest'anno, per l'ottava volta, Vecchio Amaro del Capo ha conquistato il titolo come 'Migliore indice di rotazione nella categoria 'Bevande alcoliche e birre' al prestigioso concorso Brands Award 2024 e ha ottenuto un altro primo posto tra tutte le categorie con il Premio Retailer per Indice di rotazione. La qualità costante nel tempo viene premiata dai consumatori che ogni giorno scelgono Vecchio Amaro del Capo, l'amaro più amato e consumato in Italia. Ora la priorità per l'azienda è quella di replicare questo successo anche sui mercati internazionali dove stiamo costruendo il nostro progetto per il futuro". "All'origine - sottolinea - era un prodotto tipico della Calabria e leader a livello regionale poi l’espansione fuori dalla regione ha aperto i confini per una vera e propria categoria degli amari a base di erbe calabresi che sta sicuramente avendo un momento felice. Anche perché Limbadi, in provincia di Vibo Valentia dove viene prodotto, è una terra ricca di materie prime, di tante erbe officinali, di frutti, di radici come per esempio la liquirizia e il finocchio selvatico, che permettono di ottenere a chilometro zero prodotti di qualità sicuramente importanti e consentono all'azienda di poter lavorare partendo appunto dalle materie prime fresche". "Noi - racconta Nuccio - all'interno della nostra distilleria prepariamo tutte le infusioni stagionali. Siamo in un piccolo comune di campagna di circa 2000 abitanti e siamo circondati dalla natura quindi, da questo punto di vista, non abbiamo difficoltà a reperire quelle che sono le materie prime non solo per l’Amaro del Capo ma per tutti i nostri prodotti. Ci sono, infatti, anche tanti marchi chiamiamoli più locali legati al territorio come per esempio il Liquorice che è stato il primo liquore a base di liquirizia calabrese a uscire sul mercato". "Ormai da oltre 25 anni - sottolinea - abbiamo aperto la categoria di liquore di liquirizia che prima non esisteva; la liquirizia era considerata solo un ingrediente soprattutto negli amari con noi, invece, è diventata una categoria di liquore a sé stante. Noi lavoriamo le radici in un nostro stabilimento dedicato, a pochi chilometri dalla distilleria, dove vengono conferite fresche. Poi le trinciamo e facciamo bollire secondo un metodo che in Calabria si utilizza dal Settecento. Gestiamo direttamente la filiera delle materie prime, principalmente gli agrumi, infatti abbiamo un'azienda agricola di circa 16 ettari a tre chilometri dalla distilleria quindi tracciamo tutto quello che poi va a finire nostre bottiglie". "Oltre all'Amaro del Capo - spiega - c'è anche la Ferro China Bisleri che nei secoli passati veniva considerato un medicinale contro l'anemia nei periodi di carestia quando magari si mangiava poca carne perché non c'erano possibilità economiche. E' un liquore amaro aperitivo di fama mondiale a base di citrato di ferro e china. Si può bere a qualsiasi ora del giorno, preferibilmente prima dei pasti, secco o allungato con acqua semplice o minerale. Ferro China Bisleri è stato il primo liquore in assoluto ad essere realizzato con il sale di un metallo, guadagnando il posto di precursore degli integratori e dei ricostituenti. Una formula segreta che prevede infusi tutti naturali di erbe rare, erbe benefiche e gradevoli, dalle proprietà digestive e aperitive e due ingredienti principali: la corteccia di china calissaya, nota a farmacisti ed erboristi per la sua azione antimalarica e febbrifuga e il citrato di ferro. Ingredienti che si ritrovano nella bevanda analcolica Robur Bisleri classificata come integratore alimentare di ferro dal ministero della Salute". "La storica ditta F. Bisleri e C. - continua Nuccio Caffo - ha contribuito a curare la malaria infatti l'inventore Felice Bisleri acquistata da un farmacista maremmano una ricetta di pillole risultanti dall'associazione di farmaci noti, quali il chinino, l'arsenico e il ferro, migliorò il preparato, cui dette il nome di 'esanofele' per sottolineare l’azione antianofelica, e chiese al malariologo G. B. Grassi di sperimentarlo (1899). Il farmaco dette buoni risultati e si diffuse anche all'estero. Infatti l’attività di Bisleri poté a buon diritto inserirsi nella lotta antianofelica allora in pieno svolgimento. In tale occasione Bisleri organizzò non solo ricerche sperimentali, ma promosse anche la raccolta della letteratura scientifica sulla malaria e curò la stampa e la diffusione, sempre a sue spese, di vari volumi sull’argomento, con passione che prescindeva da ogni immediato successo industriale". "Queste - fa notare - sono solo alcune delle innumerevoli storie legate alla produzione Caffo che con artigianalità e innovazione porta avanti la tradizione di una 'terra'". "Al sud - dice - si può fare impresa con ottimi risultati. Perciò rimboccandoci le maniche lavorando con costanza senza mollare alle prime difficoltà si può superare ogni traguardo. Tante aziende che stanno emergendo nel sud Italia devono capire che si può andare oltre. Noi siamo a Limbadi, un paesino di circa duemila abitanti in provincia di Vibo Valentia, eppure da qua abbiamo contatti quotidiani con tutto il mondo. Questo è un po' il miracolo avvenuto al sud, qualcosa del genere in passato sarebbe stato anche più difficile se non impossibile per le barriere date dai collegamenti materiali e immateriali che però piano piano stanno cadendo, dando così la possibilità anche al sud di emergere". "Noi ad esempio - ricorda - da qua siamo connessi con tutte le nostre sedi sia in Italia che all'estero, come fossimo vicini di stanza, grazie a delle Vpn che ci permettono di scambiarci dati in tempo reale sincronizzando le nostre filiali con il nostro service centrale anche semplicemente passando una telefonata ricevuta in Calabria direttamente ai nostri uffici periferici sparsi in Germania e Stati Uniti. Oltre alle barriere immateriali già cadute ci vuole uno sforzo maggiore per far cadere anche le barriere materiali, ottimizzando trasporti e logistica in modo da accorciare le distanze e sfruttare al meglio le potenzialità del posto di Gioia Tauro collegandolo alla rete ferroviaria. Bisogna sfruttare quindi al meglio i collegamenti ferroviari in modo creare le condizioni per uno sviluppo più veloce per il Sud del Paese accorciando le distanze con i grandi mercati europei. Sono sicuro che ci sarà, è solo una questione di tempo e di lungimiranza politica".
(Adnkronos) - Cinque milioni di tonnellate di rifiuti umidi raccolti da cucine e mense, 1,9 milioni di tonnellate di compost prodotto, 410mila tonnellate di carbonio organico riportato nei terreni agricoli, 5,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente/anno risparmiate rispetto all’avvio in discarica, 409 milioni di metri cubi (Nm3) di biogas prodotti (411 GWh di energia elettrica, 169 GWh di energia termica e 167 milioni di Nm3 di biometano). E ancora, 9,4 milioni di euro distribuiti tra i Comuni e i soggetti gestori della raccolta differenziata in tutta Italia, 436mila euro di investimenti in ricerca e sviluppo e 37mila studenti coinvolti in attività educative. Sono i numeri, in termini di impatto ambientale, sociale ed economico, resi possibili dal sistema Biorepack e dalla filiera degli imballaggi in bioplastica compostabile, contenuti nel primo Rapporto di Sostenibilità di Biorepack, realizzato dalla School of Management dell’Università Bocconi di Milano. “Il rapporto di sostenibilità - spiega Francesco Bertolini, docente della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, che da più di 30 anni svolge attività di insegnamento e ricerca in ambito internazionale sui temi della sostenibilità - è un documento che riporta le performance di un'organizzazione rispetto a questioni ambientali, sociali ed economiche. Fornisce un resoconto delle attività e degli impatti dell'azienda su tali tematiche in un determinato periodo di tempo. Rappresenta quindi uno strumento chiave per comunicare in modo trasparente con gli stakeholder, siano essi investitori, dipendenti, clienti, autorità regolatorie, comunità locali o cittadini. Attraverso di esso, si possono infatti documentare gli sforzi dell’organizzazione per operare in modo responsabile, riducendo l'impatto ambientale, promuovendo il benessere sociale e governando in modo etico”. In particolare, il Rapporto 2023 realizzato per Biorepack è il primo strumento completo che affronta il tema della sostenibilità, calato nel contesto dell’azione del Consorzio: gli analisti Bocconi hanno incentrato la rendicontazione sull’anno 2023 (o sul 2022 laddove non fossero ancora disponibili i dati più recenti) e hanno preso il 2021 come 'anno zero' per valutare i progressi fatti. Il rapporto Sda Bocconi ha messo inoltre in correlazione le attività della filiera delle bioplastiche compostabili con gli Sdgs dell’Onu (Obiettivi di sviluppo sostenibile). Dall’analisi emerge che la scelta del packaging biodegradabile e compostabile incide positivamente su molti degli obiettivi individuati come globali dalle Nazioni Unite. Tra di essi, in particolare si segnalano impatti positivi sul fronte della sicurezza alimentare, della crescita economica sostenibile, della lotta al cambiamento climatico e dello sviluppo di città e comunità sostenibili. “Nei suoi primi 3 anni di attività, il nostro consorzio ha consentito alla filiera delle bioplastiche di gestire al meglio il riciclo organico dei propri imballaggi, contribuendo positivamente ai risultati di riciclo in Italia e promuovendo il corretto conferimento dei manufatti da parte dei cittadini nella raccolta differenziata dell’umido domestico e la loro corretta etichettatura e riconoscibilità - commenta Marco Versari, presidente di Biorepack - In questo modo abbiamo potuto valorizzare la raccolta della frazione umida dei rifiuti che, attraverso il compostaggio, diventa una risorsa biologica strategica per mantenere la salute del suolo”. Il Rapporto di Sostenibilità di Biorepack è stata anche l’occasione per fotografare le performance ambientali, sociali ed economiche dei propri consorziati. Nei mesi scorsi è stato sottoposto un questionario ai 222 consorziati e ai potenziali utilizzatori finali degli imballaggi compostabili. Dai dati emerge che il 64% di loro conosce gli Sdgs, la metà dei consorziati mette in atto strategie per ridurre le proprie emissioni, il 35% reintroduce gli scarti di lavorazione nei processi produttivi e il 30% calcola le proprie emissioni di CO2. L’84% inoltre adotta iniziative e buone pratiche per la gestione dei propri dipendenti. Più indietro invece è l’adozione di un report di sostenibilità (adottato da appena il 16% delle aziende) anche se un ulteriore 24% intende predisporlo a breve. “Il passaggio da un'economia lineare a una circolare è iniziato, ma è un percorso lungo, complesso e articolato. In questa complessità Biorepack vuole giocare un ruolo di facilitatore - spiega Carmine Pagnozzi, direttore generale di Biorepack - Da un lato vuole aiutare la crescita di un settore innovativo come quello delle bioplastiche. Dall’altro intende favorire uno sviluppo nel quale gli indicatori di performance non siano più solo quelli economici, ma quelli compatibili con un equilibrio tra l’ecosistema e la società. Il piano strategico di Biorepack si inserisce in questa cornice valoriale. Ci impegneremo per consolidare questo approccio con tutti i nostri consorziati, siano essi produttori o utilizzatori di bioplastica”.