(Adnkronos) - Lunedì 20 gennaio la Corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilità della richiesta di sei referendum popolari su temi di grande rilevanza politica, sociale ed economica: Autonomia, cittadinanza e lavoro. Alle 9.30 i giudici costituzionali si riuniranno a Palazzo della Consulta in Camera di consiglio cosidetta 'partecipata', cioè nella sontuosa Sala di udienze pubbliche ma a porte chiuse, alla presenza esclusiva di comitati promotori ed alcune associazioni interessate al referendum, sia contrarie che favorevoli. Quindi, finita la discussione, la Corte prenderà la decisione ed emetterà sentenza, secondo quanto si apprende nello stesso pomeriggio di lunedì (avrebbe tempo fino al 10 febbraio). A decidere su temi che sono stati al centro del dibattito pubblico da mesi sarà una Corte in formato ridotto, composta da 11 giudici invece che 15, cioè dal numero minimo legale richiesto per poter deliberare. Non si è infatti trovata la quadra a Montecitorio martedì scorso quando il Parlamento si è riunito per la tredicesima volta in seduta comune per l'elezione dei 4 giudici mancanti di nomina parlamentare che dovranno sostituire Silvana Sciarra (decaduta nel novembre 2023), Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti, eletti il 16 dicembre 2015 e decaduti il 21 dicembre 2024. Prima di approdare a Palazzo della Consulta, la regolarità del procedimento e dei requisiti formali di richiesta dei sei referendum (numero di firme, validità delle firme, documentazione e modalità di raccolta delle firme) è stata valutata dalla Corte di cassazione. L'Ufficio centrale per i referendum del Palazzo di Giustizia si è pronunciato dopo la sentenza della Corte costituzionale (192/2024) sull'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario (depositata lo scorso 14 novembre) ed il 12 dicembre ha ritenuto conformi a legge tutte le richieste di referendum a parte una delle due del pacchetto Autonomia, relativa all’abrogazione parziale della stessa legge n. 86 del 2024. La palla quindi è passata a Palazzo della Consulta dove lunedì prossimo sarà esaminata l'ammissibilità dei quesiti referendari, cioè la loro compatibilità con i requisiti richiesti dalla Costituzione per questo tipo di iniziativa popolare. I giudici costituzionali dovranno valutare, tra l’altro, se i quesiti ledono la libertà di voto dell’elettore garantita dall’art. 48 della Costituzione. Sono intellegibili? Sono chiari? Non sono contraddittori? Costringono o non costringono l'elettore a dire sì, o no, a un intero 'pacchetto' di domande, impedendogli di rispondere in modo differenziato all’una o all’altra domanda contenuta nel 'pacchetto'? Il referendum sull'Autonomia differenziata Il referendum contro l'Autonomia differenziata è il più dibattuto ed osteggiato. Proposto da partiti di opposizione e associazioni civili, da Cgil, Uil, dai consigli regionali di Campania, Sardegna, Toscana, Puglia ed Emilia Romagna contro il dl Calderoli, approvato nel giugno 2024, in due quesiti che proponevano rispettivamente l'abrogazione totale della legge e l'abrogazione parziale della medesima, approda a Palazzo della Consulta in un unico quesito, quello che chiede l'abrogazione totale del della legge 86. In un'unica ordinanza la Corte di cassazione aveva infatti dichiarato lo scorso dicembre non conforme a legge la richiesta di abrogazione parziale mentre aveva dato il via libera al quesito per l'abrogazione totale. L'ordinanza della Cassazione era arrivata dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Calderoli ed è stata secondo alcuni giuristi un implicito riconoscimento da parte della Suprema Corte che la Consulta con la sentenza 192 non ha smantellato la legge: se la sentenza della Corte costituzionale avesse modificato sostanzialmente i principi ispiratori del dl Calderoli o il contenuto essenziale dei precetti in esso contenuti la Cassazione avrebbe infatti dovuto impedire il procedimento referendario (come stabilì la stessa Corte costituzionale in una sentenza del 1978) per entrambi i quesiti. Ma l'opposizione politica e sindacale alla legge è ferma. Il Comitato promotore del referendum per l'abrogazione dell'autonomia differenziata, guidato dal presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, sostiene che "il dl Calderoli spaccherà l’Italia in tante piccole patrie, aumenterà i divari territoriali e peggiorerà le già insopportabili diseguaglianze sociali, a danno di tutta la collettività e, in particolare, di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, giovani e donne". Contestati anche i criteri scelti per definire i lep (livelli essenziali delle prestazioni) che potrebbero creare diseguaglianze. La legge è stata inoltre accusata di avere esautorato le Camere che potevano solo prendere o lasciare, punto su cui la Corte costituzionale si è espressa ribadendo che il Parlamento deve avere un ruolo fondamentale nel procedimento di formazione e approvazione delle leggi. "Volete Voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, 'Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione'?" è il quesito. I giudici costituzionali dovranno decidere se viola l'articolo 48 della costituzione: E' chiaro? E' omogeneo? Ha cioè una ratio unitaria che non costringe l'elettore a dire sì, o no, a un intero 'pacchetto' di domande? Un interrogativo quest'ultimo che potrebbe essere decisivo ai fini del verdetto di ammissibilità o inammissibilità e centrale nel dibattimento del Comitato lunedì prossimo dal momento che è stata la stessa Corte nella sentenza 192/2024 sull'Autonomia differenziata a scrivere al punto 29.1: "Le censure relative all’intera legge vanno dichiarate inammissibili .......riguardo a una legge contenente molte norme eterogenee". Referendum sulla Cittadinanza Promosso da diverse organizzazioni, tra cui Più Europa, il referendum sulla cittadinanza propone di modificare le leggi relative all’acquisizione della cittadinanza italiana e chiede il "dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana". L’Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato il quesito conforme. "Abbiamo fiducia nella Corte Costituzionale perchè siamo convinti delle ragioni di questo referendum, ma sappiamo anche che il momento dell'ammissibilità è sempre imprevedibile. Questa è una Corte che arriva a un momento importante senza plenum e con il minimo dei membri per cui possa lavorare. Noi siamo molto convinti della solidità di questo referendum", diceva giovedì scorso Riccardo Magi in una conferenza stampa alla Camera, discorrendo del quesito al vaglio della Corte: "Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?". Il testo del quesito, temono i promotori, potrebbe risultare critico ai fini dell'ammissibilità per la cosidetta manipolatività. Spesso infatti nella giurisprudenza costituzionale gli interventi eccessivamente manipolativi, che trasformano quindi un referendum abrogativo in propositivo, sono dichiarati inammissibili. Ma secondo i promotori, "la disposizione che risulterebbe dall'espunzione di alcune parole è una disposizione già presente nel tessuto normativo perché in realtà la misura dei 5 anni di residenza è oggi adottata per talune categorie di stranieri maggiorenni, anche apolidi, rifugiati, si tratta solo di estenderla a tutti". "E' un requisito abbastanza ordinario comune. Previsto in altri ordinamenti". Insomma, secondo i promotori "questo referendum non serve a introdurre una norma nuova ma ad estendere a un numero maggiore di persone un requisito già previsto per altre categorie per chiedere la cittadinanza". I 4 Referendum sul Lavoro Sul tema lavoro sono quattro i quesiti che arrivano a Palazzo della Consulta: tre per abrogare alcuni punti del Jobs Act, riforma del lavoro introdotta nel 2014; uno sul tema sicurezza che mira ad abrogare le norme che limitano la responsabilità dell'impresa appaltante in caso di infortuni sul lavoro. Le proposte referendarie sono state promosse dalla Cgil e da una vasta rete di associazioni laiche e cattoliche. Questi i quesiti di referendum abrogativo inerenti al Jobs act: “Contratto di lavoro a tutele crescenti - disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione”, per ripristinare la possibilità di reintegro nel posto di lavoro per i licenziamenti illegittimi, secondo quanto previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. “Piccole imprese- Licenziamenti e relativa indennità: abrogazione parziale”, per estendere l'articolo 18 alle Piccole Imprese ed applicare le tutele contro i licenziamenti illegittimi anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. “Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi”, per reintrodurre l'obbligo di indicare una motivazione specifica per l’utilizzo di contratti a tempo determinato. Infine per quanto riguarda lo scottante tema della sicurezza sul lavoro, i promotori chiedono "abrogazione" dell'"esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrice", cioè l'eliminazione della norma per cui l’impresa committente può evitare di assumersi la responsabilità per i danni legati ai possibili rischi determinati dalle aziende appaltatrici o subappaltatrici. (di Roberta Lanzara)
(Adnkronos) - Ha citato il compianto rettore Franco Anelli, scomparso lo scorso 23 maggio e il sociologo Fausto Colombo, scomparso martedì scorso, 14 gennaio, la rettrice dell'università Cattolica di Milano, Elena Beccalli, nel suo discorso inaugurale del nuovo anno accademico: In qualità di rettore dell'università Cattolica del Sacro Cuore per oltre un decennio -ha detto- Anelli ha operato in modo da consolidare il prestigio dell'Ateneo e rafforzarne la proiezione interna e internazionale. Tutta la nostra comunità universitaria ne serba un ricordo grato, che il tempo sono certa non sbiadirà". In questi giorni, poi, "la nostra comunità è stata toccata da un'ulteriore perdita; consentitemi di ricordare con affetto il professor Fausto Colombo, di cui tutti abbiamo apprezzato il tratto umano e il contributo come docente e pro-rettore di questo Ateneo". Dopo i saluti istituzionali, la rettrice è quindi entrata nel vivo della cerimonia: "E' con il cuore aperto e non privo di emozione che pronuncio il mio primo discorso inaugurale -ha affermato-. Ciò che rende unica e unitaria la nostra 'grande famiglia' è proprio la logica di sinergia che ne orienta i rapporti, una sinergia da preservare e rafforzare". "Per coloro che mi ascoltano per la prima volta - ha aggiunto - risulterà forse inconsueto che abbia utilizzato la parola 'famiglia' per identificare l'intera università Cattolica: ebbene, si tratta di un termine che uso abitualmente perché credo che renda in maniera vivida qual è la nostra identità, quella cioè di un organismo che necessita di una cooperazione tra le diverse sensibilità che lo animano. Solo con questa cooperazione creativa e responsabile è possibile sentirsi una famiglia con il compito primario di formare con qualità e rigore le studentesse e gli studenti che ci hanno scelto, e che saluto con particolare affetto". "La valorizzazione della proiezione internazionale - ha continuato- è un tratto che ha caratterizzato in maniera particolare l'anno accademico appena trascorso: in base agli ultimi dati, si è registrato un aumento di circa il 18% nel numero di studenti internazionali provenienti da tutti i continenti che hanno scelto di iscriversi nei nostri percorsi". "Virtuosa -ha aggiunto- è anche la circolarità globale della comunita studentesca: secondo l'ultimo Qs Europe Ranking, l'università Cattolica del Sacro Cuore si classifica al primo posto in Italia per outbound students, pari a circa 3.000 studenti in uscita. Altrettanto rilevante è la presenza di inbound students, che colloca l'Ateneo al terzo posto in Italia, con circa 2.000 studenti che scelgono dall'estero di studiare in Cattolica". Dunque, "possiamo affermare che la nostra è un'università a dimensione nazionale che si qualifica come un 'microcosmo internazionale'. Estesa è la rete di partner a livello globale con oltre 600 università in 82 Paesi; in particolare sottolineo le collaborazioni consolidate con 36 dei primi 100 atenei del mondo (Qs University Ranking 2024). Sono qualificati e numerosi i programmi di doppia laurea (attualmente 112 accordi), come pure gli scambi di docenti e i progetti di ricerca congiunti. Tutte iniziative che consolidano la nostra reputazione globale e potenziano le opportunità per gli studenti". Altri indicatori di linee progettuali innovative riguardano l'offerta formativa che si è arricchita con nuovi corsi di laurea, raggiungendo oggi un totale di 107, con 29 corsi di laurea o profili erogati in lingua inglese: "Tra quelli avviati dal carattere interdisciplinare e in dialogo con i territori - ha sottolineato Becalli - spiccano i programmi in Business and Finance attivato nella sede di Brescia in inglese, in Medicine and Surgery a Bolzano sempre in inglese, e in Medicina e Chirurgia a indirizzo tecnologico con l'Università di Roma Tre". Complessivamente, "nell'anno accademico 2024/25, gli iscritti sono 45.441, di cui 13.596 nuovi immatricolati nei corsi di laurea, segnando una crescita sulle magistrali. E sempre notevole e convinto il sostegno dell'Ateneo al diritto allo studio per rendere accessibili a tutti percorsi di qualità: solo nel 2022/23, l'investimento destinato ad agevolazioni economiche e borse di studio è stato di 22,3 milioni di euro". "La sfida più impegnativa e impellente è capire come l'intelligenza artificiale possa contribuire a perfezionare i metodi di insegnamento tradizionali, individualizzando l'approccio pedagogico per renderlo più adeguato al contesto senza, però, snaturare la conformazione epistemologica di istituzioni accademiche come la nostra". Per la rettrice, "è necessario un approccio integrato e interdisciplinare che coniughi la conoscenza degli aspetti tecnici con la complessità dei processi e dei contesti cognitivi e sociali". Da questo punto di vista, "l'università Cattolica è il luogo ideale per far dialogare le discipline umanistiche e sociali con l'intelligenza artificiale attraverso corsi rivolti a studenti, come anche a sviluppatori e fruitori della stessa". "Un'università che vuole essere la migliore per il mondo non può ignorare alcuni dati allarmanti relativi alle disuguaglianze educative: l'educazione è giustamente considerata un mezzo per offrire parità nelle opportunità, ma il livello di istruzione presenta spesso una persistenza intergenerazionale, si tramanda, cioè, da una generazione all'altra perpetuando le disuguaglianze". A confermarlo, i dati Ocse (Education at a glance 2024): "A livello globale -ha evidenziato Beccalli- il 30% degli adulti i cui genitori non hanno raggiunto il grado di istruzione secondario persiste nel non conseguire tale livello di istruzione. Ancora, a causa delle guerre, delle migrazioni e delle povertà, circa 250 milioni di bambini e giovani non hanno accesso all'istruzione. E sono proprio le bambine e le giovani a essere le più penalizzate. Sono i sintomi di una emergenza se non di una vera e propria catastrofe educativa, come ha denunciato Papa Francesco". Ecco perché "un'università come la nostra non può restare indifferente e deve proporre linee di intervento volte a garantire un accesso equo a un'istruzione di qualità, anche digitale". "Ciò che propongo -avverte- è un patto educativo per le nuove tecnologie e l'intelligenza artificiale; il presupposto del Patto è che l'educazione può trarre benefici dalle nuove tecnologie quando queste fungono da mediatori, senza che esse diventino un fine in sé. Sulla base di tale considerazione di fondo, indico tre questioni aperte che trovano un approfondimento nell'ultimo numero della nostra storica rivista Vita e Pensiero". Il Patto educativo per le nuove tecnologie e l'intelligenza artificiale "dovrà necessariamente coinvolgere studenti, ricercatori, attori istituzionali e società civile. Il richiamo al patto educativo globale promosso da Papa Francesco è evidente e la nostra proposta si inserisce nel solco tracciato dal Santo Padre". Il primo banco di prova dell'efficacia del patto educativo per le nuove tecnologie e l'intelligenza artificiale potrà essere il Piano Africa dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. "Si tratta -afferma- di una struttura d'azione che mira a porre il continente africano al cuore delle progettualità educative, di ricerca e di terza missione. Secondo uno spirito di reciprocità, l'Ateneo intende ampliare i percorsi per la formazione di giovani africani in loco o nel nostro Paese, diventare polo educativo per i giovani africani di seconda generazione che vivono in Europa, spesso ai margini, pur rappresentando una parte rilevante del nostro futuro, nonché rendere sempre più sistematiche le esperienze curriculari di volontariato per i nostri studenti". L'obiettivo è "diventare l'uiversità europea con la più rilevante presenza in Africa, attraverso partnership con atenei e istituzioni locali, nell'ottica di un arricchimento vicendevole, per la formazione integrale delle persone e la promozione della fratellanza e, non da ultimo, della pacifica convivenza sociale". "Per quanto le proiezioni indichino per il continente africano una notevole crescita demografica, che si assocerà a un rilevante aumento della forza lavoro -osserva la rettrice Beccalli- il livello di istruzione resta basso: la non scolarizzazione, infatti, interessa 98 milioni di giovani africani. E, questo, un ostacolo da rimuovere, anche per accompagnare uno sviluppo economico sostenibile. Con lo spirito del reciproco interesse tra l'Europa e l'Africa, la logica è quella di una condivisione di idee, valori, progetti educativi, lontana dalla tendenza all'approvvigionamento di risorse naturali e di capitale umano. La prospettiva che immaginiamo si basa sull'education power, cioè sulla capacità di aiutare un paese attraverso piani educativi incisivi e rispettosi. L'impegno che ci assumiamo è proseguire e potenziare le iniziative con l'Africa in stretta sinergia con le realtà che già vi operano, da quelle cattoliche a quelle internazionalmente riconosciute come Unesco e Fao".
(Adnkronos) - A Ravenna il primo progetto CCS-Carbon Capture and Storage in Italia. Ovvero il processo che attraverso cattura, trasporto e stoccaggio della CO2 ha come obiettivo la decarbonizzazione delle industrie, in particolare dei settori cosiddetti ‘hard to abate’, evitando l’emissione in atmosfera di importanti quantità di anidride carbonica. Negli scenari Iea, la CCS e la Cdr-Carbon Dioxide Removal (processo di rimozione attiva dell’anidride carbonica dall’atmosfera che comprende soluzioni tecnologiche e basate sulla natura) contribuiranno a una riduzione dell’8% delle emissioni di CO2 globali tra il 2020 e il 2050. A sua volta, The European House-Ambrosetti stima che elettrificazione, efficienza energetica, bioenergie, idrogeno e variazione delle materie prime potranno, utilizzate insieme, contribuire a una riduzione non superiore al 52% di tali emissioni. Per poter decarbonizzare il restante 48%, pari a 30,8 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, sarà dunque necessario ricorrere a soluzioni CCS. (AUDIO) Ma in cosa consistono queste soluzioni? La prima fase è quella della cattura, durante la quale l’anidride carbonica viene separata dagli altri gas con i quali è mescolata, ad esempio in seguito ad un processo di combustione. Una volta separata dagli altri gas, la CO2 viene compressa per permetterne il trasporto, solitamente tramite condotte ma anche via mare (nave) o via terra (trasporto su gomma o ferroviario). A questo punto può essere utilizzata per usi industriali, come ad esempio nella produzione di materiale cementizio o di biomassa per l’industria alimentare, e si parla allora di CCU (Carbon Capture and Utilization), oppure stoccata all’interno di formazioni geologiche sotterranee, come per esempio i giacimenti di idrocarburi esauriti o acquiferi salini: in questo caso si parla quindi di CCS (Carbon Capture and Storage). “La fase 1 del progetto Ravenna CCS è stata avviata ad agosto 2024; è il primo progetto di questo tipo operativo in Italia e uno dei primi della nuova generazione in Europa. È un progetto articolato in più fasi ed entro il 2030 raggiungeremo la capacità di iniezione di 4 milioni di tonnellate all'anno. Ravenna CCS contribuirà in modo determinante alla decarbonizzazione dell'industria sia italiana che europea, candidandosi a diventare l'hub di riferimento per il sud Europa e per il Mediterraneo”, spiega Roberto Ferrario, responsabile Soluzioni Innovative di CCUS di Eni. Il progetto, nato da una Joint Venture paritetica Eni-Snam e operato da Eni, si esplica mediante la conversione dei giacimenti esausti di gas, operati da Eni, situati nell’alto Mar Adriatico. L’hub di Ravenna diventerà il sito di riferimento del Mediterraneo per lo stoccaggio permanente della CO2 con una capacità totale ad oggi valutata in oltre 500 milioni di tonnellate. La Fase 1 è partita nell’agosto del 2024 con l’iniezione ai fini dello stoccaggio permanente nel giacimento esausto di gas di Porto Corsini Mare Ovest, al largo di Ravenna, di circa 25mila tonnellate all'anno di CO2, catturate dalla centrale a gas Eni di Casal Borsetti. La successiva fase industriale permetterà alle industrie energivore interessate di catturare e stoccare la loro CO2: entro il 2030 sarà possibile raggiungere una capacità di stoccaggio di 4 milioni di tonnellate all’anno; successivamente ulteriori espansioni potranno portare i volumi a più di 16 milioni di tonnellate di CO2, in base alle richieste provenienti dal mercato. Snam ha promosso, in collaborazione con Eni e con Confindustria, un’indagine sul potenziale mercato della CCS, per individuare gli emettitori potenzialmente interessati al progetto e a conoscerne le esigenze: sono state raccolte manifestazioni di interesse non vincolante da parte di 61 aziende, per un totale di 172 siti industriali sul territorio italiano. I volumi di CO2 per cui è stato espresso interesse al trasporto e allo stoccaggio nel sito sono pari a 27 Mton/anno al 2030 e 34 Mton/anno al 2040. Un interesse che va anche oltre confine. ‘Ravenna CCS’ è parte, infatti, del progetto Callisto (Carbon LIquefaction transportation and STOrage) Mediterranean CO2 che mira a realizzare il più grande network nel Mediterraneo per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio di CO2 offrendo una soluzione di decarbonizzazione dei distretti industriali di Ravenna, Ferrara, Porto Marghera, oltre a Fos sur Mer (Marsiglia) e Valle del Rodano in Francia. Secondo lo Studio Strategico ‘Carbon Capture and Storage: una leva strategica per la decarbonizzazione e la competitività industriale’ realizzato nel 2023 da The European House - Ambrosetti, l’utilizzo della CCS contribuirà a preservare la competitività dei settori hard to abate in Italia (acciaierie, cementifici, chimica, carta, vetro, ecc...), che rappresentano 94 miliardi di euro di Valore Aggiunto (5% del Pil italiano, dato 2021) e 1,25 milioni di occupati (4,5% della forza lavoro nazionale, dato 2021) e che, al contempo, emettono 63,7 milioni di tonnellate di CO2, di cui il 22% connesse intrinsecamente al processo produttivo e che non sono, quindi, evitabili attraverso l’elettrificazione. Settori che sono fondamentali per le nostre economie e per la società in generale e che in Italia sono responsabili di oltre il 60% delle emissioni di gas serra dell’industria e del 13% circa del totale nazionale. La CCUS nel mondo. Ai due progetti di CCS già operativi da molti anni in Norvegia (Sleipner dal 1996 e Snohvit dal 2008) oggi se ne sono aggiunti molti altri in via di sviluppo. Tra questi, il progetto Northern Lights, sempre in Norvegia, che a partire dal 2025 stoccherà sotto il Mare del Nord progressivamente fino a circa 5 milioni di tonnellate di emissioni l’anno, provenienti da numerosi emettitori del Nord Europa. In Danimarca è in fase avanzata il progetto Greensand, con avvio previsto nello stesso anno, mentre in Olanda sono in via di sviluppo il Progetto Porthos nell’area del porto di Rotterdam ed il progetto Aramis. Il Regno Unito punta a sviluppare 4 hub di cattura entro il 2030 mentre numerosi altri progetti stanno nascendo in Europa anche grazie al sostegno dei fondi comunitari. La strategia di Eni verso la neutralità carbonica è articolata in un piano di trasformazione industriale che si basa su più soluzioni. La CCUS è una di queste, assieme a rinnovabili, biocarburanti, efficienza energetica, un mix energetico che privilegi le fonti meno emissive come il gas in sostituzione di carbone e petrolio, vettori ‘low-zero carbon’ e carbon offset per quelle emissioni residuali che non si riusciranno ad evitare. Eni è già partner del progetto Sleipner in Norvegia. In UK, Eni è partner del progetto HyNet North West che prevede la trasformazione del distretto industriale nell’area della Liverpool Bay sulla costa nord-occidentale nel primo cluster a basse emissioni di anidride carbonica al mondo.