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Non solo spot

22 Nov 2021

- Nel mio precedente intervento avevo cercato di spiegare la differenza, a mio avviso, tra la pubblicità commerciale e la comunicazione pubblica.
I pubblicitari mi scuseranno, ma vorrei tornare sull’argomento perché trovo questo uno dei tanti punti che separano in maniera netta queste due discipline.
Ovviamente e culturalmente parlando non ho nulla contro l’una o l’altra ma diffido fortemente di chi tende a mescolarle in un indistinto prodotto finale destinato a servire, come dicono dalle mie parti, come un cerotto su una gamba di legno.

Ma dove avviene la diversificazione tra queste due discipline?
Utilizzano gli stessi strumenti, usano spesso linguaggi simili, eppure profondamente diversi sono gli obiettivi che si prefiggono.
Mentre la pubblicità ci porta naturalmente e, direi, ovviamente in un mondo che non esiste fatto di famiglie sempre belle, giovani e sorridenti, di animaletti antropomorfi e di soluzioni, apparentemente definitive, la comunicazione pubblica è costretta a muoversi nell’unica e sola dimensione che le appartiene: quella della realtà.
Mentre la pubblicità solletica i nostri desideri e le nostre passioni (“Lasciati trascinare dalle tue passioni” ci propone in questi giorni una grande marca di automobili) la comunicazione pubblica deve (è costretta) dirci come stanno le cose.
Per cui un conto è lo spot che spiega, finiti i tempi delle Amministrazioni friendly, che utilizzare uffici e servizi è semplice come allacciarsi le scarpe, altro è raccontare che una Regione attiva la procedura per concedere alle categorie più deboli l’esenzione dai ticket sanitari e contestualmente mostrare a “Striscia la notizia” che per accedere a quel servizio occorre mettersi in fila dalle 23 della notte precedente.
Cercherò di essere ancora più chiaro.
Da dieci anni a questa parte non c’è amministratore pubblico che non citi i risultati dell'autocertificazione che negli anni ’90 cominciò a togliere il sistema pubblico dalle paludi medioevali e che lo racconti, appunto, come uno spot da vittoria totale. Il 19 giugno 2011 un bel servizio giornalistico ci dice che le anagrafi italiane hanno rilasciato nel corso del 2000 ancora 35 milioni di certificati, mentre il 70% di pratiche certificative potrebbe addirittura essere eliminato.
Se la comunicazione pubblica non lo spiega, se non dimostra che semplificazione e cambiamento non riguardano solo gli uffici pubblici ma anche, per restare al tema, banche, patronati e assicurazioni resteremo
Si potrebbe continuare all’infinito.
Ma la questione è e rimane quella di conoscere discipline e tecniche e di saperle usare a seconda dei risultati che si intende ottenere.
È evidente che ai comunicatori pubblici non è più di tanto consentito di giocare con le parole, con gli slogan, con la fantasia (anche per questo, benvenute le Facoltà di scienze della Comunicazione) ne va della loro professionalità, ma soprattutto della loro credibilità.
La credibilità è l’asse di equilibrio su cui dobbiamo muoverci.
Senza credibilità non si è ascoltati e, addirittura, si finisce per legittimare il “sentito dire” e il “chiacchiericcio da autobus”.
Senza credibilità gran parte della nostra costruzione comunicativa finisce per afflosciarsi su se stessa.
Allora altro che comportamenti virtuosi (raccolta differenziata dell’immondizia, pagamento dei biglietti su autobus e metrò) da raccontare come fossero prodotti gastronomici.
I servizi pubblici, evidentemente, sono tali se tutti pagano le tasse. Aggiungerei, però, se tutti pagano le tasse e li difendono dando valore al significato della parola “pubblico”. Ma quando lo usi da solo, ricorderai involontariamente uno dei giochi per ragazze più popolari a cui probabilmente hai giocato prima.
Rilanciare questo termine, restituire alle Amministrazioni la loro centralità tra servizi e utenti, sollecitare i cittadini ad una nuova e diversa partecipazione rappresentano altrettante tappe che la comunicazione pubblica deve percorrere per conquistare quel ruolo paritario a cui da sempre aspira.
Sono queste alcune delle competenze proprie della comunicazione pubblica.
Il resto appartiene all’antico vizio italico di non risolvere mai i problemi, ma, come i sofisti dell’antica Grecia, di discuterne all’infinito.

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