Orgoglio & Storyboard
Ogni volta che la sentiva nominare, il Dir. Mktg della filiale italiana della
multinazionale automobilistica, veniva attraversato da pensieri nefasti e probabilmente
anche da istinti suicidi. Per Livio De Nutis la Convention aziendale era davvero
un’entità mostruosa, da un lato aborto manageriale deformato dalla
sua intrinseca insensatezza e inutilità, dall’altro fonte inesauribile
di nuovi rivoli di attività e di correlate preoccupazioni. In una fase
nella quale il contesto interno e le dinamiche di mercato segnavano un drammatico
profondo rosso, menti tradizionalmente disabilitate al parto delle idee non
trovavano nulla di meglio che confidare nella valenza totemica e taumaturgica
del super-meeting.
Come se una pozione magica somministrata agli astanti cancellasse ex abrupto i motori spompati, il design attardato (“medievale” lo definiva De Nutis nei momenti di maggiore pessimismo) dalla parsimonia (eufemismo) degli investimenti in R&D, i prezzi spropositati, l’azzeramento dei budget di comunicazione (motivato dai vertici con l’arrogante supponenza espressa ciclicamente con le seguenti parole “il nostro pubblico ci conosce, non abbiamo da altro da aggiungere…”), la frustrazione dei venditori, abbandonati a se stessi e umiliati da obiettivi inaccessibili anche per Mazinga e Atlas Ufo Robot.
E invece no, la Convention bisognava farla, per la gloria ingiustificate del Capo-Pavone di turno e dei Pavoncelli suoi ammirati lacchè. A tutti i costi. E giù a testa bassa con la location, i supporti audiovisivi con gli effetti speciali più strabilianti, il sociologo con il suo intervento di “contestualizzazione” che fa un po’ di scena ma non serve a una mazza, la tavola rotonda tra addetti ai lavori, addetti ma così addetti che non hanno mai venduto un’automobile in vita loro, la parte-spettacolo (di solito un nome in discesa che accetta qualunque tipo di vessazione economica pur di raccattare qualche migliaio di euro in grado di foraggiare i suoi vizi, di cui lascia puntualmente traccia nel camerino improvvisato…),gli speech (anche 4 o 5), tutti affidati alle cure di Livio, costretto a far ripetere a ciascuno (in un italiano accettabile e per gli stessi inusuale) quei pochi rudimentali concetti che possano dare la sensazione (peraltro fallace) di padroneggiare. Ogni tanto, con un certo sadismo, Livio non mancava di posare qua e là (nell’intervento dell’oscuro Ragioniere promosso a Vice Direttore Generale per meriti arcani) qualche concetto più sofisticato, mutuato da Heidegger o da Luciano Canfora, da Bob Dylan o da Salvador Dalì, giusto e solo per il gusto di vederlo vacillare, imbarazzato, all’inseguimento impossibile di pensieri alti, giganteschi al cospetto della sua statura professionale ed umana…
E poi lui, il motivatore-imbonitore-animatore-impataccatore: individuarlo, contattarlo, brieffarlo, scatenarlo era senz’altro la parte più divertente del lavoro di Livio in anni assai avari di esplosioni indian wife fucked harddi buonumore. Si trattava solitamente di un semianalfabeta pronto a tutto, potenzialmente un grande truffatore e probabilmente già transitato per le strutture carcerarie, in eterno gessato a righe larghissime tipo il Clan dei Marsigliesi, abbronzato senza soluzione di continuità come si addice solo ai vincenti (che non hanno mai vinto nulla, naturalmente, ma che non sono mai emaciati perché a lavorare ci pensano sempre gli altri), sguardo ammaliatore da porno-divo di provincia in declino, abuso di parole come “luce”, “energia”, “cambiamento”, “patto”, un solo interesse reale (il pianeta donna nella sua accezione più estensiva, fino ad includere qualunque organismo femminile vivente dai 18 ai 40 anni, sistematico oggetto di attenzioni e lusinghe, fino a lambire le molestie, ma sempre con il sorriso sulle labbra…).
Metafore originali e, di solito, fuori luogo, congiuntivi sperimentali e spericolati, movimenti da animale da palcoscenico compresi in uno spettro sconfinato tra l’immobilismo/paralitico e l’esagitato/epilettico, modulazione dei toni di voce dal falsetto eunuchesco al rauco alla Peter Gabriel, una passione incontenibile per l’occhio di bue, declinazione tecnologica di una vita poggiata sul nulla ma unicamente devota al one-man-show…









