Orgoglio & Storyboard
Quando era particolarmente scazzato, cosa che gli capitava con crescente frequenza
negli ultimi tempi, il Dir. Mktg Livio De Nutis si lasciava andare a divagazioni
a schema libero in bilico tra l’amarezza e l’“impegno antagonista
contro l’omologazione ottenebrante”. Uno dei temi che maggiormente
lo appassionavano era da tempo quello del semi-analfabetismo di ritorno nelle
Aziende. Ammesso, si diceva Lidio, che di mero ritorno si potesse parlare,
perchè questo avrebbe presupposto che per qualche tempo si fosse allontanato
(cosa su cui c’era da nutrire più di un dubbio). Ad ogni buon
conto, se Livio avesse diretto un periodico specializzato nella comunicazione,
sulla prima pagina avremmo visto campeggiare a caratteri cubitali la seguente
(non-)notizia:
“IL SEMI-ANALFABETISMO ENTRA TRIONFALMENTE IN AZIENDA”
(ed in primis negli Uffici Comunicazione…)
No, non era pigrizia da gerarchia delle priorità, non era il frutto perverso dello slang markettaro imperante, un misto tra un Kotler quattordicenne e FabriFibra, o il portato sgradevole dello slidismo imperante che tutto amalgama e banalizza in nomine PowerPoint. No, era solo ignoranza, addizionata di una certa non poco irritante strafottenza. Ma dico, si chiedeva Livio, avete mai dato un’occhiata a certe lettere, ai testi affrettati e malsani di certi leaflet e brochure? sembrano scritti “non con i piedi ma con le protesi”, sono defocalizzati e deprivati di qualunque senso ed obiettivo, inanimati (= spossessati di ogni anima), spenti di qualunque partecipazione e passione (“composti con il pennino digitale intinto nel bromuro”, aveva detto una volta De Nutis). Ma dove avevano studiato, quale casa d’appuntamento para-accademica aveva insignito di un diploma di laurea questi peraltro incolpevoli ragazzotti che Lidio vedeva tremolare, trasecolare di fronte alla semplice richiesta di predisporre una comunicazione per il Magazzino sul tema topico dell’approvigionamento di risme di carta? quasi che ad attendere di minuto in minuto quelle poche, sapide e decisive righe, fosse una giuria tecnica presieduta dal bardo di Stratford-upon-Avon in persona?
E non si trattava tanto dei congiuntivi, basta con questa storia dei congiuntivi, diceva Livio, aboliamoli una
volta per tutte, guardateli, sono essi stessi che ci implorano sfiniti, al termine della loro dolorosa parabola esistenziale. No, il problema non era più il congiuntivo, ma l’indicativo, diventato improvvisamente un figlio di puttana portatore di terribili insidie. Per non parlare dei “trans”, nulla a che fare col sesso, per carità: li pornmobile.onlinechiamava così Lidio, i verbi intransitivi disinvoltamente transitivizzati. Per un po’ si erano affacciati timidamente, in punta di piedi, poi avevano fatto orgogliosamente outing, e ormai imperversavano, nelle videoconferenze, nelle conference call, perfino nei Comitati di Direzione e nei Consigli di Amministrazione. Sì, perché il fenomeno degenerativo non era confinato ai piani bassi, nei corridoi densi di giovinotti brufolosi, ma anche nelle stanze ovattate delle seniority più conclamate e dei 730 paperoniani. Ogni volta che Livio, ghost writer ufficiale, buttava giù quegli speech sovradimensionati per le occasioni buone, la cosa professionalmente più avvilente era assistere all’arroganza farsesca del relatore. De Nutis era ormai rassegnato, eppure al pensiero ogni volta gli si raggelava il cuore: c’era un momento preciso, allucinante e surreale, in cui il super-top manager aziendale, pur di non dare a vedere di essere null’altro che un megafono sfiatato, sollevava immancabilmente gli occhi dal foglio denutisiano e se ne allontanava orgoglioso, guardando negli occhi il suo pubblico come una rockstar camaleontica: persuaso, per assurdo, di essere non solo un libero pensatore, ma addirittura un retore ateniese del IV° secolo a.C., si inerpicava lungo ardite e tortuose perifrasi, per incespicare e precipitare subito dopo nel baratro dell’ignominia oratoria, tra le gomitate degli astanti ,roba da traduzione immediata dietro la lavagna con le orecchie da asino e la faccia rossa per la vergogna. Solo gli applausi prezzolati mettono a tacere l’imbarazzo. Sono passati pochi minuti quando Livio si imbatte nello sguardo flamboyant della reincarnazione aziendale di Demostene: vezzoso come una diva del cinema muto, occhiolino da mattatore figlio di puttana che la sa lunghissima, l’irresistibile animale da palcoscenico non ha alcun bisogno di ulteriori conferme della sua grandezza…