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Licenziamento per superamento del comporto

07 Lug 2020

Lo spunto per una riflessione sul tema oggetto della trattazione ci è dato da una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7946 del 7 aprile 2011, la quale è intervenuta in materia  stabilendo che “in ipotesi di licenziamento per superamento del comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità sia imputabile a responsabilità delle stesso datore di lavoro”.

Il nostro ordinamento è particolarmente attento alla salute ed ai problemi che ne derivano; infatti, l'art. 32 della Costituzione definisce la salute come diritto fondamentale dell'individuo e come interesse della collettività. Con riguardo ai rapporti di lavoro, l’articolo 2110 del codice civile dispone che, in caso di malattia (oltre che in caso di infortunio, gravidanza o puerperio), il rapporto di lavoro venga sospeso e che il datore di lavoro possa licenziare il lavoratore malato solo quando sia scaduto il termine di conservazione del posto (cosiddetto termine di comporto) appositamente previsto dai contratti collettivi, che ne disciplinano sia la natura che la durata.

In altre parole, durante il periodo di comporto vige il divieto di licenziamento del lavoratore, il quale ha, quindi, diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro, nonostante l'esecuzione della prestazione venga sospesa per fatto inerente alla sua persona. Nei casi espressamente previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, quindi, il contratto non si risolve e si verifica una sospensione del rapporto di lavoro. Alla delimitazione della durata del periodo di comporto provvedere, di norma, la contrattazione collettiva di categoria o aziendale, con disposizioni che stabiliscono termini differenti a seconda delle qualifiche, delle anzianità di servizio e delle relative categorie aziendali, o in mancanza provvede il giudice secondo equità.

In particolare, il comporto può essere di due tipi:

- comporto secco: tale istituto ricorre quando la contrattazione collettiva si limita a prevedere il periodo di comporto soltanto con riferimento alla malattia unica;
- comporto per sommatoria: la contrattazione collettiva prevede un ampio arco temporale entro il quale non possono essere superati i periodi massimi complessivi di conservazione del posto di lavoro.

Il licenziamento eventualmente intimato durante il periodo di comporto è inefficace, ma solamente per il periodo stesso in cui sussista la causa impeditiva della sua operatività; il diritto alla conservazione del posto di lavoro alla scadenza di tale periodo, implica un regime speciale di irrecedibilità, destinato a prevalere sia sulla disciplina generale della risoluzione dei contratti per impossibilità sopravvenuta della prestazione, parziale o temporanea, sia su quella del licenziamento per giustificato motivo. Durante il periodo di comporto rimane, peraltro, precluso sia il licenziamento ad nutum, che quello rapportabile ad esigenze dell'imprese, risultando irrilevanti anche gli eventuali effetti negativi della assenza, anche se reiterata, sulla organizzazione del lavoro e del suo regolare svolgimento; rimane praticabile il licenziamento per giusta causa.

Tornando all'argomento del licenziamento per superamento del periodo di comporto, è opportuno specificare che solamente al termine del periodo di comporto viene ammesso, quindi, il licenziamento, e l'onere della prova, in tema di assenze dal lavoro per malattia e infortunio, integranti il periodo di comporto, grava sul datore di lavoro, autore del recesso. E' sufficiente che sia stato superato il periodo di comporto e che tale circostanza sia invocata dal datore di lavoro a giustificazione del recesso. Non è richiesto che il datore di lavoro specifichi i giorni di assenza; a meno che il lavoratore non ne faccia richiesta ai sensi dell'art. 2 della legge n. 604 del 1966, che prevede il diritto di conoscere la motivazione del licenziamento. Ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto, devono essere computati nel calcolo del periodo di comporto anche i giorni festivi o comunque non lavorativi che cadono durante il periodo di malattie indicato dal certificato medico, operando, in difetto di prova contraria, che è onere del lavoratore fornire, una presunzione di continuità dell'episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa di assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta.

Tali principi vengono ripresi dalla sentenza in commento ove si ribadisce che la fattispecie del recesso del datore di lavoro - per l’ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (c.d. eccessiva morbilità) - si inquadra nello schema previsto ed e soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 c.c., che prevalgono - per la loro specialità - sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa (art. 1256 c.c., comma 2, e art. 1464 c.c.), sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali (L. n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970 e successive modifiche), con la conseguenza che, in dipendenza della prospettata specialità e del contenuto derogatorio di dette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (c.d. periodo comporto) - predeterminato dalla legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi oppure, nel difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa - e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all'uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo (L. n. 604 del 1966, art. 3), né della sopravvenuta impossibilità dellapornmobile.online prestazione lavorativa (art. 1256 c.c., comma 2, e art. 1464 c.c.), né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali (v., ex multis, Cass. 5413/2003).

Tuttavia, fatte le premesse sopra riportate, la Corte di Cassazione ha dichiarato che le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, il recesso del datore di lavoro - in ipotesi di superamento del periodo di comporto - ove l’infermità sia, comunque, imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro - in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) o di specifiche norme. Il Supremo Collegio ha inoltre precisato che incombe sul lavoratore l’onere di provare il collegamento causale fra la malattia che ha determinato l’assenza e il superamento del periodo di comporto, e le mansioni espletate.

Nella fattispecie, è stata ritenuta corretta la decisione della Corte d’Appello che aveva escluso che fosse imputabile dal datore la malattia della lavoratrice – che aveva determinato il non contestato superamento del periodo del comporto – essenzialmente in base al rilievo secondo cui non era risultato provato, dalla lavoratrice medesima, che il periodo di assenza fosse ricollegabile ad una malattia contratta per ragioni lavorative.

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