Storytelling - dalle origini al Web
Consideriamo come punto di partenza di questo post l’inizio del secolo scorso, cioè quando, tra il 1930 e ‘40, lo storytelling (in italiano narrazione) incontra, nella radio prima e nella televisione dopo, il marketing e la comunicazione. In quegli anni, in America, i primi “Mad men” strutturano, nei brevi passaggi pubblicitari, piccole storie (generalmente a puntate) che raccontano qualcosa di un brand, al di là delle semplici caratteristiche tecniche, in modo da creare, nel pubblico, curiosità, aspettative, suspense e una forte fidelizzazione, precedente all’acquisto o alla prova del brand, contribuendo a creare e/o a consolidare la reputazione dello stesso. Il caso più emblematico di questo genere di storytelling è rappresentato dalle “Soap Opera”. Nate, in America, come semplici pubblicità a puntate finanziate dalle società produttrici di detersivi, nel giro di pochi anni, divengono veri e propri format indipendenti, fino a rappresentare un pilastro della programmazione del Piccolo schermo a livello mondiale.
L’Italia, arrivata con ritardo ai livelli americani, anche a causa degli effetti devastanti sul territorio della Seconda Guerra mondiale, prima, e della crisi petrolifera, poi, vede l’apice dello storytelling a metà degli anni settanta, con la diffusione massiccia nelle case dell’apparecchio televisivo e con il consacrarsi del Carosello (1957-1977), contenitore di storie (non solo pubblicità), che per 20 anni, dalle 20.50 alle 21.00, “blocca” ed interessa intere generazioni di fronte al Piccolo schermo.
Con gli anni ottanta, a causa del boom tecnologico ed economico-culturale (diffusione di internet negli States, da un lato, e crescita improvvisa e quasi senza regole del settore terziario nell’economia mondiale, dall’altro), il successo dello storytelling vede, nell’ambito del marketing e della comunicazione, una piccola flessione fino a quando il pubblico e lo stesso advertising non virano prepotentemente, spostando il loro centro di interesse ed economico sul Web. In un mondo che si muove a ritmi quasi insostenibili, la stessa comunicazione si adegua e la pubblicità diventa di tipo spot fatta di immagini e claim, atta a “colpire” (quasi stendere) chi guarda.
Alla fine degli anni novanta nulla, alla radio, in televisione, sul Web, dura più di un battito di ciglia. Le canzoni e lo storytelling vengono sostituite da claim, immagini accattivanti e dai famigerati banner, poiché ora è la quantità che conta, poiché il numero di persone che possono essere raggiunte in pochi istanti è assolutamente inimmaginabile. Nel 1999 gli utenti del web, ad esempio, sono stimati intorno ai 200 milioni.
Così sono la New Age e il Web2.0 che salvano lo storytelling e la comunicazione di qualità riportando, grazie anche alla massiccia diffusione della banda larga e dei Social Network, i ritmi ed i modi ad un livello sostenibile, esaltando nuovamente i contenuti e le cosiddette storie a puntate. La quantità concede il giusto spazio alla qualità e la struttura stessa della comunicazione si modifica. Il pubblico, da semplice fruitore di informazioni, diviene in un attimo anche creatore delle stesse, potendo assecondare, con poche semplici azioni (qualche click), quella voglia irresistibile di condivisione ed interazione che da sempre domina l’animo dell’uomo, nella sua veste di animale sociale.
Oggi l’enorme incremento del numero di autori porta ad avere all’interno di tutti i media, web in testa, un notevole affollamento di contenuti, tanto che le stesse regole dello storytelling si sono inevitabilmente dovute adattare. Se all’inizio del secolo scorso, come visto, basta avere una storia da raccontare , ora, la storia stessa deve essere raccontata seguendo delle regole ben precise che coinvolgono, non solo la durata, la forma, ma anche la nomenclatura stessa delle parole, dando vita a nuovi stili.
In televisione, alla radio, sui siti video sharing, lo storytelling a puntate impazza in maniera virale, poiché il brand non è più il soggetto della comunicazione, ma solo il punto a cui la storia stessa deve giungere per comunicare il messaggio giusto. Così si diffondono le storie fantastiche, imprevedibili, articolate, nella maggior parte dei casi intrise di effetti speciali in grado di catturare il pubblico per la loro trama prescindendo dal brand stesso. Si va, dunque, dal video realizzato interamente al computer che racconta di notebook che si animano, dando vita a lotte sanguinarie di fronte ai proprietari attoniti ed inconsapevoli - come nel caso della campagna virale sul web di Apple (Mac vs Pc); per passare alla serie di spot radiofonici della BMW Mini che raccontano un’eterna paradossale scommessa di due amici circa il prezzo sensazionale della macchina del famoso brand tedesco (“Se mi trovi una mini che costa meno di 15k € lavoro per un mese in un circo”… “signori e signore ecco a voi il mungitore di elefanti”); per giungere alla geniale campagna “ADIDAS - Impossible is nothing” che racconta semplici e commuoventi storie di campioni affidando il legame con il brand al semplice logo che si dissolve un attimo prima che le immagini svaniscano.
Sul web anche le regole dei testi si modificano. Con la diffusione dei web-log (più comunemente chiamati blog) e dei social network (facebook in primis, seguito a ruota da twitter) ogni singolo utente diviene editore e pertanto lo storytelling sublima nella sua forma più pura: quella scritta. I testi divengono racconti privati o esperienze di vita vissute, che possono andare dalla ludica vacanza, alla seria e drammatica rivoluzione. Lo storytelling acquista in questa sua forma una importanza storica che va al di là del marketing e della stessa comunicazione, permettendo alle nuove generazioni di acquisire un nuovo luogo dove poter compiere quelle rivoluzioni pornmobile.onlinesocio-culturali ed economiche che i loro genitori avevano saputo condurre solo attraverso le piazze, oppure arricchire, semplicemente, le conoscenze altrui attraverso la diffusione delle proprie professionalità (tutorial blog), acquisite nel corso del tempo. In questo contesto i Social Media (blog, Facebook, Twitter, Friendfeed, etc.) diventano trampolino di lancio di campagne di marketing e comunicazione personalissime, rappresentando veri e propri aggregatori di notizie, che invadono la scena del web, lasciando agli utenti il solo imbarazzo della scelta.
In questo scenario, in cui il surplus di offerta informativa è tale da poter mettere, addirittura, in crisi lo stesso web, un ruolo fondamentale lo hanno i motori di ricerca (primo su tutti Google) e i relativi algoritmi, i soli veramente in grado di consegnare agli utenti gli strumenti giusti per permettere loro la scelta ottima. Così anche il modo di presentare i contenuti dello storytelling cambia la sua forma, assumendo quella tipica del web, che partendo, comunque, da fattori indiscussi come la qualità ed originalità vede l’aggiunta di concetti quali keyword, popolarità, affidabilità, reputazione. Quest’ultima, in particolar modo, prerogativa e filiazione immediata dello storytelling, contribuisce, in maniera massiva, ad accrescere la visibilità di un brand all’interno del web, amplificando esponenzialmente le connessioni, dello stesso, con gli stakeholders, e determinando, prima, una più incisiva penetrazione all’interno del mercato e, successivamente, posizioni privilegiate, di lungo periodo, nei confronti di eventuali competitors.