Orgoglio & Storyboard
Di tanto in tanto il Dir. Mktg Livio De Nutis provava a tracciare un bilancio “qualitativo” dei suoi 20 anni nella grande multinazionale automobilistica. In fin dei conti,
commentava sfiduciato tra sé e sé, le cose non erano cambiate
più di tanto, nonostante tutta la buona volontà messa in campo
e qualche atto di vero e proprio “eroismo” aziendale dal quale
oggi si sarebbe ben guardato.
Prendiamo il rapporto con la clientela. Quanto più si cianciava di centralità del
cliente, si blaterava di delivery di eccellenza e di soluzioni personalizzate
in funzione delle specifiche esigenze (addirittura!) del singolo cliente, tanto
più il servizio era standardizzato,freddo ed impersonale.
La cultura del
nuovo non aveva mai permeato di sé i muri ingrigite della sede centrale
e delle strutture periferiche. Del resto, sarebbe stato ben sorprendente il contrario,
stante lo stato bradipico da demotivazione acuta in cui erano irrimediabilmente
sprofondati gli uomini del front line, disgustati da sistemi di incentivazione
quanto meno opachi e pratiche nepotistiche sconosciute persino nella prima repubblica. La
gestione della relazione con il cliente era deficitaria sin nei suoi fondamenti
concettuali: dicendola con l’analisi tradizionale, il rapporto con il customer
non era mai adulto-adulto, ma sempre sbilanciato, asimmetrico. Livio lo ricavava
dal tono delle proposte di comunicazioni alla clientela che gli venivano sistematicamente sottoposte,
vuoi per insicurezze ataviche vuoi per oggettivi deficit strutturali da semi-analfabetismo
meno desueto di quanto si possa immaginare nelle strutture aziendali (ed anche
nel top management), a tutte le latitudini. A comunicazioni che davano l’idea
di una azienda “in ginocchio”, implorante e ormai rassegnata al “bacio
della pantofola”, si affiancavano messaggi altezzosi, inutilmente ampollosi
e barocchi, involuti in una prosa burocratica e ridondante tale da tramortire
anche il lettore più resistente alla noia. Anche sul fronte della comunicazione
interna, restavano le clamorose carenze di sempre. Circolarismo, direttivismo,
monodirezionalità, ma soprattutto formalismo di timbro militaresco, deliberatamente
adottato per alimentare il dorato isolamento dei vertici prevenendo qualunque
forma di interazione con i pioli sottostanti della scala gerarchica. I
dirigenti apicali della filiale italiana, imbevuti di questa visione autoreferenziale
ed egocentrica, praticavano senza soluzione di continuità il culto della
personalità,la propria, con bizzarre derive di ispirazione caligoliana.
Parlavano di sé ormai in terza persona, come Giulio Cesare nel De bello
Gallico, e tutto il ceto dipendente si era, volente o nolente, ormai rassegnato
a questo andazzo. Vezzi e bizze da divi hollywoodiani, capricci da
semidei, che facevano dimenticare alla ciurma dei sottoposti che si trattava
pur sempre di bipedi, per quanto super pagati, chiamati ad espletare, con
soggettiva frequenza, funzioni fisiologiche da comuni mortali. Di questa
dimensione superomistica ed agiografica pornmobile.onlinenon poteva mancare traccia nel nuovo
, imponente monumento elevato al narcisismo aziendale: la Corporate Television. Il
progetto era stato avviato con le migliori intenzioni: omogeneizzare le culture
e le diverse “anime” aziendali, diffondere il know-how, conferire
ritmo e vivacità giornalistica ai fatti aziendali, dare spazio agli uomini
e alle donne sulle cui gambe si regge l’edificio aziendale, bla bla bla.
In realtà, nella prassi quotidiana, il nuovo medium si era trasformato
in una passerella neo-machista per i super-capi, con giornalisti vassalli che
ne esaltavano improbabili virtù e capacità visionarie, veri e propri
giganti del pensiero aziendale, talenti straordinari e benemeriti che una sorte
propizia aveva generosamente concesso in dote alle fortune del business. Quei
poveriCristi della redazione erano dunque sotto pressione, con la mission impossibile
di trovare continuamente nuovi spunti idonei a celebrare in modo degno
le mirabolanti gesta aziendali dei soliti noti. Inutile dire che ne scaturiva
una batteria pirotecnica di involontaria comicità, con incursioni imbarazzanti
in un privato fatto di figli pestiferi sulle ginocchia e first ladies in evidente
sovrappeso. E così, mentre il popolo aziendale si arrabattava con un salario
mortificante, i vertici innamorati di se’ e consapevoli dell’importanza
decisiva dei propri contributi audiovisivi, frequentavano corsi sempre più intensivi
di public speaking alternati ad interminabili ore in sala make-up. “Direttore,
mi scusi se la disturbo, siamo on air tra 5 minuti…”