Da uno slogan all'altro.
Avete fatto caso come la campagna elettorale che ormai lambisce i muri e le
cassette postali di molte città italiane,offra, quasi ogni giorno, perle
di mediocrità e
una comunicazione sempre più appiattita sulla comunicazione commerciale?
Sono stato tra i primi a festeggiare la fine delle ideologie pensando che sarebbe
iniziata la stagione delle idee. Ma avercene delle idee.
Non è quindi un caso se lo slogan che, sino ad ora più ha
colpito gli addetti ai lavori e non solo, sia risultato quello di una grande
azienda svedese di arredamento.
Sarebbe interessante che il prossimo Com.Lab dedicasse una riflessione
approfondita a questa pericolosa banalizzazione della comunicazione politica.
Ma lo spazio che qui mi è concesso intendo occuparlo per esprimere la
mia totale condivisione con lo slogan scelto per il Forum della Comunicazione
che si terrà a Roma il 7 e l’8 giugno prossimi: chi
non comunica scompare.
In origine la parola slogan derivava da un linguaggio bellicoso come molte
altre parole della nostra disciplina (target. strategia, obiettivo) e significava “grido
di guerra”.
È con il tempo che lo slogan ha finito per evocare,nel cliente che dorme
in ciascuno di noi, solo piselli,dentifrici e deodoranti.
Ma a quale “battaglia” si riferisce lo slogan di Comunicazione
Italiana?
Credo a quella della nostra stessa sopravvivenza.
Mai come oggi non comunicare significa rinunciare ad esserci.
Certamente e giustamente il fine della comunicazione ha nomi diversi: nel sistema
privato è una componente del prodotto, in quello pubblico è una
risorsa democratica.
Questo,in estrema sintesi, significa che nel privato dovrebbe scomparire il prodotto
perché sparisse anche la comunicazione e che nel pubblico bisogna opporsi
alla restaurazione di logiche burocratiche.
Non scompariranno certamente gli attuali comunicatori pubblici che tutto
al più ritroveremo in altri uffici ad espiare la colpa di aver voluto
lavorare in modo nuovo e professionale.
Ma temo che possa sparire la comunicazione pubblica così come la studiamo
e tentiamo di applicarla. Una comunicazione sempre più ponte tra i cittadini
e le Istituzioni anziché un continuo garrire di bandiere autoreferenziali
e un perenne rullare dei tamburi della propaganda.
I segni di questa possibile involuzione sono sotto i nostri occhi: uffici stampa
sempre più afoni, Urp ridotti a distributori di opuscoli e a passivi raccoglitori
di lamentele e proteste.
Sappiamo da tempo che nella pubblica amministrazione chi vuole innovare non ha
vita facile. Che molte leggi moderne e giuste non si riescono ad attuare perché manca
sempre qualcosa,che sabbia e fango vengono gettate a piene mani per bloccare
ogni meccanismo.
Eppure in questi ultimi venti anni non ci siamo lasciati scoraggiare né dai
disfattisti né dai rassegnati.
La differenza, oggi come ieri, come sempre, la fanno i fatti e la volontà dei
singoli.
I comunicatori pubblici conoscono bene i successi e le sconfitte perché li
hanno vissuti entrambi.
Ormai sanno riconoscere i veri amici dagli opportunisti,quelli che sono sempre
stati al loro fianco da quelli che gonfiano i petti con medaglie di battaglie
mai combattute.
I comunicatori pubblici non pretendono di piacere a tutti e parlando il linguaggio
della
realtà più di altri sono coscienti del momento particolarexxx isha bhabhi desi e difficile
che il nostro Paese attraversa.
Per questo si augurano che il sistema delle Università continui ad essere
al loro fianco così come i neo laureati delle facoltà di scienze
della comunicazione e i tanti operatori impegnati nelle Istituzioni.
Difendere gli spazi di autonomia, professionalità e ricerca di ciascuno
vuol dire anche appoggiare tutti coloro che sono impegnati a cambiare e a dare
un contenuto reale a queste parole.
Questa è la sfida che dobbiamo accettare e vincere. Una sfida che comincia
proprio dalla capacità di mettere in campo una comunicazione nuova e moderna.