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Da uno slogan all'altro.

07 Lug 2020

Avete fatto caso come la campagna elettorale che ormai lambisce i muri e le cassette postali di molte città italiane,offra, quasi ogni giorno, perle di mediocrità e una comunicazione sempre più appiattita sulla comunicazione commerciale?
Sono stato tra i primi a festeggiare la fine delle ideologie pensando che sarebbe iniziata la stagione delle idee. Ma avercene delle idee.
Non è quindi un caso se lo slogan che, sino ad ora più ha colpito gli addetti ai lavori e non solo, sia risultato quello di una grande azienda svedese di arredamento.

Sarebbe interessante che il prossimo Com.Lab dedicasse una riflessione approfondita a questa pericolosa banalizzazione della comunicazione politica.
Ma lo spazio che qui mi è concesso intendo occuparlo per esprimere la mia totale condivisione con lo slogan scelto per il Forum della Comunicazione che si terrà a Roma il 7 e l’8 giugno prossimi: chi non comunica scompare.
In origine la parola slogan derivava da un linguaggio bellicoso come molte altre parole della nostra disciplina (target. strategia, obiettivo) e significava “grido di guerra”.
È con il tempo che lo slogan ha finito per evocare,nel cliente che dorme in ciascuno di noi, solo piselli,dentifrici e deodoranti.
Ma a quale “battaglia” si riferisce lo slogan di Comunicazione Italiana?
Credo a quella della nostra stessa sopravvivenza.
Mai come oggi non comunicare significa rinunciare ad esserci.
Certamente e giustamente il fine della comunicazione ha nomi diversi: nel sistema privato è una componente del prodotto, in quello pubblico è una risorsa democratica.
Questo,in estrema sintesi, significa che nel privato dovrebbe scomparire il prodotto perché sparisse anche la comunicazione e che nel pubblico bisogna opporsi alla restaurazione di logiche burocratiche.
Non scompariranno certamente gli attuali comunicatori pubblici che tutto al più ritroveremo in altri uffici ad espiare la colpa di aver voluto lavorare in modo nuovo e professionale.
Ma temo che possa sparire la comunicazione pubblica così come la studiamo e tentiamo di applicarla. Una comunicazione sempre più ponte tra i cittadini e le Istituzioni anziché un continuo garrire di bandiere autoreferenziali e un perenne rullare dei tamburi della propaganda.
I segni di questa possibile involuzione sono sotto i nostri occhi: uffici stampa sempre più afoni, Urp ridotti a distributori di opuscoli e a passivi raccoglitori di lamentele e proteste.
Sappiamo da tempo che nella pubblica amministrazione chi vuole innovare non ha vita facile. Che molte leggi moderne e giuste non si riescono ad attuare perché manca sempre qualcosa,che sabbia e fango vengono gettate a piene mani per bloccare ogni meccanismo.
Eppure in questi ultimi venti anni non ci siamo lasciati scoraggiare né dai disfattisti né dai rassegnati.
La differenza, oggi come ieri, come sempre, la fanno i fatti e la volontà dei singoli.
I comunicatori pubblici conoscono bene i successi e le sconfitte perché li hanno vissuti entrambi.
Ormai sanno riconoscere i veri amici dagli opportunisti,quelli che sono sempre stati al loro fianco da quelli che gonfiano i petti con medaglie di battaglie mai combattute.
I comunicatori pubblici non pretendono di piacere a tutti e parlando il linguaggio della realtà più di altri sono coscienti del momento particolarexxx isha bhabhi desi e difficile che il nostro Paese attraversa.
Per questo si augurano che il sistema delle Università continui ad essere al loro fianco così come i neo laureati delle facoltà di scienze della comunicazione e i tanti operatori impegnati nelle Istituzioni.
Difendere gli spazi di autonomia, professionalità e ricerca di ciascuno vuol dire anche appoggiare tutti coloro che sono impegnati a cambiare e a dare un contenuto reale a queste parole.
Questa è la sfida che dobbiamo accettare e vincere. Una sfida che comincia proprio dalla capacità di mettere in campo una comunicazione nuova e moderna.

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