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I recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di aliunde perceptum nel risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.

07 Lug 2020

Il tema dell’aliunde perceptum nella liquidazione del risarcimento del danno derivante da licenziamento illegittimo non è certamente un tema nuovo, ciò nondimeno alcune recenti pronunce di legittimità (ma no solo) hanno dato nuovo impulso alla materia e meritano di essere prese in considerazione.

Per inquadrare la problematica è necessario premettere una definizione dell’eccezione cosiddetta di aliunde perceptum e come essa si riverbera sul risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.

Come è noto, in caso di licenziamento dichiarato dal giudice illegittimo il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno causato al lavoratore per effetto del recesso.
Tuttavia, qualora tra la data del licenziamento e la pronuncia giudiziale della sua illegittimità il lavoratore si sia rioccupato, lo stesso datore di lavoro può chiedere al giudice di detrarre, dalle somme da lui dovute quale risarcimento del danno causato dal licenziamento, gli importi percepiti dal medesimo lavoratore, appunto l’aliunde perceptum (letteralmente: ciò che è stato altrimenti/in altro modo percepito).

In altre parole, il lavoratore licenziato, qualora il provvedimento risulti illegittimo, subisce un danno patrimoniale, posto che la inattività lavorativa non dipenda da sua colpevolezza, e dev’essere pertanto adeguatamente risarcito. Se però nelle more il soggetto ha acquistato un altro posto lavorativo presso un’azienda pubblica o privata, dalla quale ha recepito una retribuzione, quest’ultima dev’essere scomputata dalla somma dovuta a risarcimento.

Ciò premesso, passiamo all’esame delle recenti sentenze in materia analizzando le diverse fonti di “reddito” che, almeno potenzialmente, potrebbero incidere sulla misura del risarcimento da illegittimo licenziamento.

Indennità di mobilità e indennità di disoccupazione
La questione della detraibilità dal risarcimento del danno delle somme percepite dal lavoratore, dopo un licenziamento dichiarato illegittimo, a titolo di indennità di mobilità e di indennità di disoccupazione, è stata sempre molto controversa.

In sede di prima analisi della problematica, infatti, in ossequio al principio secondo il quale la percezione di tali indennità è comunque da ritenersi un reddito acquisito da parte del lavoratore, prevalse il convincimento che tali somme dovessero essere detratte dalla misura del risarcimento a titolo di aliunde perceptum.

La tesi, tuttavia, fu successivamente superata dall’orientamento giurisprudenziale, risalente alla metà degli anni ’90, per effetto del quale una tale forma di reddito non poteva ritenersi come “percepita dal lavoratore mettendo a frutto la medesima capacità di lavoro liberata dal licenziamento” (si veda ex multiplus, Cass. civ. sez lav. 22 marzo 1995, n. 3319).
Dopo un periodo di ripensamenti, e pronunce altalenanti, la questione sembra essere definitivamente risolta dalla sentenza della Cassazione civile, 4 marzo 2010, n.5217 per quanto attiene all’indennità di disoccupazione e con la sentenza 14 febbraio 2011, n. 3597 della per l’indennità di mobilità.

Le due suddette pronunce espressamente stabiliscono che, in materia di risarcimento del danno a favore del lavoratore illegittimamente licenziato, il datore di lavoro non può detrarre quanto percepito dal lavoratore a titolo di indennità di mobilità e/o di indennità di disoccupazione, atteso che queste ultime devono intendersi come non acquisite, essendo ripetibili dagli Istituti previdenziali. Vale a dire che non può essere il giudice a decurtare del valore dell’indennità di mobilità o dell’indennità di disoccupazione il risarcimento del danno dovuto al lavoratore per licenziamento illegittimo; saranno eventualmente gli istituti previdenziali ad operare la ripetizione di tali somme, se indebitamente percepite dal lavoratore.

Indennità per lavori socialmente utili
Sull’argomento, in controtendenza con quanto affermato in ordine alle indennità di mobilità e di disoccupazione, è intervenuta la sentenza della Cassazione sezione lavoro
21 febbraio 2011, n. 4146, che espressamente recita:
“in caso di licenziamento illegittimo, nella quantificazione del danno ex art. 18 legge 300/70 (è evidente come la fattispecie debba inquadrarsi nell’alveo del regime di tutela reale), il giudice deve detrarre l’aliunde perceptum anche nel caso in cui il lavoratore abbia svolto lavori socialmente utili, che danno luogo alla percezione di emolumenti di natura non retributiva”.

In particolare, precisa l’Alto Consesso, l’aliunde perceptum, da detrarre dal risarcimento del danno, si riferisce “ai compensi conseguiti dal lavoratore reimpiegando la capacità di lavoro non impegnata nell’attività cessata a causa del licenziamento illegittimo, senza che rilevi la natura delle somme percepite, se cioè retributiva o assistenziale, e neppure se tali redditi siano assoggettabili a contribuzione”.

La suddetta pronuncia pone chiaramente in risalto come non debba attribuirsi rilievo alcuno alla natura delle somme percepite, che vanno comunque decurtate dalla misura del risarcimento come aliunde perceptum, anche se sono di natura assistenziale e non soggette a contribuzione, come nel caso dell’indennità per lavori socialmente utili.

Sotto il profilo processuale, la Cassazione rileva che l’aliunde perceptum non integra un’eccezione in senso stretto e, pertanto, è direttamente rilevabile dal giudice anche in assenza di un’eccezione del datore di lavoro, ovvero in presenza di un’eccezione tardiva, a condizione che “la rioccupazione del lavoratore costituisca un fatto ritualmente acquisito al processo” (in tal senso, cfr. anche Cass. 21 aprile 2009, n. 9464).
In altre parole, il giudice - in presenza di un’accertata occupazione, successiva al licenziamento, dalla quale il lavoratore ha ricavato una retribuzione – può d’ufficio determinare una decurtazione della misura del risarcimento del danno causato da licenziamento illegittimo, anche se l’eccezione dell’aliunde perceptum non è stata proposta dal datore di lavoro.
Allo stesso modo, può ammetterla e decidere di conseguenza (applicando le decurtazioni economiche - se ne ricorrono ovviamente le condizioni), anche se essa è formulata tardivamente; analogamente, anche il giudice di appello può ammetterla, pur se la stessa non era stata proposta nel giudizio di primo grado ed operare la detrazione dell’aliunde perceptum dalla misura del risarcimento.

Infine, per completezza espositiva, sull’argomento deve registrarsi una recentissima sentenza di merito (Tribunale di Firenze del 25 gennaio 2011), che, dopo aver richiamato il Collegato lavoro (specificatamente l’art. 32, co. 5, L. n.183/10) ai fini della quantificazione del danno, sottolineando come occorra far riferimento alla durata del contratto e al comportamento tenuto dalle parti - espressamente afferma che non vi è possibilità in tali casi di dedurre l’aliunde perceptum.
La fattispecie oggetto di causa riguardava un lavoratore che aveva prestato la propria
attività lavorativa a tempo determinato in favore di un datore di lavoro e - successivamente alla scadenza del termine e alla cessazione del rapporto di lavoro - ha
agito giudizialmente per la declaratoria di xxx isha bhabhi desinullità della clausola di apposizione del termine
a quel contratto di lavoro. Il giudice adito ha pronunciato la nullità della predetta clausola di apposizione del termine e, nel contempo, ha disposto la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso tra le parti.
Essendosi, per l’effetto, determinato un danno ingiusto per il lavoratore (che avrebbe
dovuto essere assunto a tempo indeterminato), il Tribunale ha fissato la misura del risarcimento del danno dal medesimo subito, avendo riguardo a quanto statuito dall’art.32, co.5, L. n.183/10 (cioè, durata del contratto e comportamento tenuto dalle
parti nel corso della vicenda e del giudizio).
Nella fissazione della misura del risarcimento, tuttavia, lo stesso Tribunale non ha tenuto
conto dell’aliunde perceptum, non ha cioè decurtato dal predetto risarcimento quanto percepito dal lavoratore, che nel frattempo si era rioccupato.

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