I controlli aziendali dell’infedeltà lavorativa.
Non avendo ancora avuto modo di presentare il mio lavoro, colgo questa occasione
per farlo, analizzando una recente e interessante sentenza della Corte d’Appello
di Milano, sezione lavoro, emessa a conclusione di una causa di cui mi sono
occupato, in qualità di avvocato lavorista.
La sentenza in commento affronta due temi principali: quello del controllo
sui dipendenti, attraverso personale esterno all’azienda, e sugli eventuali
limiti connaturati allo stesso e quello delle modalità di utilizzo
dei permessi per l’assistenza ai disabili, ex art. 33, comma 3, L. 104/92.
Nella vicenda oggetto della sentenza in questione i due profili si presentano strettamente connessi, in quanto il caso riguarda un accertamento compiuto attraverso agenzia investigativa e finalizzato alla verifica delle modalità di utilizzo “improprio” dei permessi in questione.
Nel caso di specie l’Azienda, avendo il sospetto che il lavoratore facesse un uso improprio dei permessi retribuiti in parola, si determinava ad effettuare dei controlli per mezzo di un investigatore privato. Nello specifico tale sospetto – generato dai rumors circolati in azienda che il lavoratore utilizzasse a fini di “svago” tali permessi, riconosciutigli per l’assistenza della madre, affetta da handicap in situazione di gravità – risultava fondato all’esito dei menzionati accertamenti investigativi.
La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado che aveva ritenuto illegittimo il controllo “occulto” disposto dal datore di lavoro in assenza di illecito da parte del lavoratore, ha accolto il gravame proposto dalla Società, alla luce delle risultanze testimoniali emerse in solo in secondo grado, avendo il giudice di prime cure omesso ogni attività istruttoria.
Il particolare la Corte, nel ritenere legittimo e proporzionato il licenziamento comminato al lavoratore per giusta causa, ha sostanzialmente stabilito i seguenti principi:
1. Il controllo da parte dell’agenzia investigativa, così come operato tramite da aperte delle guardie giurate, deve limitarsi agli atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento della prestazione lavorativa. Tale controllo può, dunque, avvenire anche per via occulta restando ovviamente soggetto al principio dell’extrema ratio, in relazione al canone di buona fede e correttezza che regola il rapporto di lavoro.
Sul punto, va ricordato che per quanto riguarda i soggetti che non rientrano nell’organizzazione gerarchica dell’impresa, e cioè sia le guardie giurate che gli investigatori, la giurisprudenza si è spinta a ritenere sottratti ai limiti statutari (artt. 2-3 L.300/70) anche gli illeciti di carattere civile (oltre a quelli penalmente rilevanti, già consentiti), ma di tipo extracontrattuale, cioè non riguardanti il puntuale adempimento della prestazione lavorativa. Infatti, il controllo non potrebbe riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale principale (prestazione di lavoro), essendo gli stessi riconducibili all’attività lavorativa, il cui controllo ex art. 3 dello statuto è governato dal principio della tipicità dei soggetti abilitati, ma deve perciò limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento.
Questo assetto di carattere evidentemente compromissorio, e al quale presta ossequio anche la sentenza in esame, si fonda su una distinzione concettuale tutt’altro che agevole: nella fattispecie concreta, relativa all’abuso dei permessi ex L. 104/92, l’accertamento è stato effettuato al di fuori dell’orario di lavoro, rendendo in qualche modo meno arduo il giudizio di liceità.
Per quanto attiene al conferimento dell’incarico all’agenzia investigativa, i passaggi motivazionali presentano precise assonanze con quanto più volte affermato dal Garante Privacy, secondo cui la raccolta e il trattamento dati da parte di investigatori è lecito se finalizzato a raccogliere notizie allo scopo di far valere un diritto in sede giudiziaria e se svolto per il tempo strettamente necessario alla finalità di accertamento (principio di pertinenza e non eccedenza). Restano, pertanto, esclusi i controlli meramente esplorativi, controlli cioè che non abbiano a monte alcun elemento di prova di carattere oggettivo, anche indiziario.
Nel concreto, la Corte ha ritenuto che il controllo investigativo fosse legittimo giacché rispondente al menzionato principio di extrema ratio (non sussistendo valide alternative a tale forma di accertamento) ed in quanto disposto sulla base di un sospetto risultato “ragionevole” all’esito dell’istruttoria orale (i testi confermavano la vanteria del lavoratore).
2. Sui permessi ex art. 33 L. 104/92 la Corte ha precisato che l’utilizzo per finalità del tutto estranee alla legge (la cui ratio non è quella di tutelare l’astensione del famigliare lavoratore ex se, bensì di agevolare l’assistenza e la cura del disabile) integra abuso del diritto.
È, quindi, riconducibile a tale abuso il comportamento del lavoratore che, invece di prestare assistenza al famigliare affetto da handicap, se ne allontani “mettendo fra sé e la finalità di assistenza del permesso una distanza e una previsione di rientro non prossimo”. Infatti, come emerso dalla relazione investigativa il dipendente si allontanava dall’abitazione materna il venerdì mattina (giornata di permesso ex L. 104) di buon’ora, con amici e valigia al seguito, lasciando così desumere un rientro non prossimo. Così facendo il lavoratore, ha operato uno sviamento della funzione propria del diritto ai permessi ex art. 33 L.104/92, integrando una condotta illecita di gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, posto alla base del rapporto di lavoro, e giustificando il recesso per giusta causa.
Sarò ben lieto di inviare copia della sentenza a chi volesse approfondire i due temi suddetti.
