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La conciliazione delle controversie di lavoro

07 Lug 2020

Rivisitato dalla legge 4 novembre 2010 n. 183, l’istituto della conciliazione cambia fisionomia, trasformando in facoltà quello che sino a pochi mesi prima era un obbligo, benché con risultati deludenti. Quando con il D.lgs. n. 80 1998 fu introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione sia per le controversie del settore pubblico [1] che per quelle del settore privato (l’occasione fu rappresentata dal passaggio delle prime sotto la competenza del giudice ordinario), l’obiettivo era quello di deflazionare il ricorso giudiziario. Ciò, purtroppo, per una serie di motivi non si è verificato, anche se oggi appare singolare il fatto che mentre, in altri campi (si pensi alle liti condominiali, alla responsabilità medica, alle questioni ereditarie, ai risarcimenti per incidenti stradali, etc.) è introdotta l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione (obbligatorietà che scatterà dal prossimo 20 marzo [2]), propedeutico al giudizio, nel campo del lavoro questo venga meno, anche se, di contro, si moltiplicano le sedi, ove sarà possibile giungere a transazioni.

Invero, accanto alle tradizionali sedi amministrative presso le Direzioni Provinciali del Lavoro e alle sedi sindacali (artt. 410-411 c.p.c.), si aggiungono ora le commissioni di certificazione istituite presso le Università e Fondazioni universitarie debitamente autorizzate, le Province, le stesse DPL (nella nuova composizione), gli ordini provinciali dei consulenti del lavoro e gli Enti bilaterali.

Tuttavia, nell’ambito della generale facoltatività del tentativo di conciliazione, il legislatore fa salva l’obbligatorietà nel caso d’impugnazione di un contratto certificato, nel qual caso il soggetto interessato dovrà necessariamente rivolgersi preliminarmente alla Commissione che ha rilasciato la certificazione. Ciò può avvenire per erronea qualificazione del contratto, per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione e per vizi del consenso. In tali casi, peraltro, il tentativo di conciliazione dovrà essere svolto presso la sede medesima cha ha emanato il provvedimento di certificazione. Si deve ricordare come in questi casi, il tentativo sia obbligatorio non solo nei confronti delle parti che hanno sottoscritto il contratto certificato, ma anche – in ragione dell’efficacia giuridica della certificazione ai sensi dell’art. 79 d.lgs. n. 276/2003 – nei confronti dei terzi interessati (ad esempio gli enti amministrativi) che intendono agire in giudizio conto l’atto di certificazione.

Come si diceva, con la sostituzione nell’art. 410 c.p.c. dell’espressione “deve” con “può” promuovere, il tentativo di conciliazione diviene facoltativo non solo nel settore privato, ma anche quello pubblico, ritornando alla situazione antecedente al D.lgs n. 80/1998.

Così, tutte le volte che per una delle controversia di lavoro previste dall’art. 409 c.p.c. (rimaste inalterate) si ritenga opportuno azionare tale procedura conciliativa, il proponente -che di massima è il lavoratore (o un suo procuratore) o il prestatore di lavoro ma, che in linea di principio, può essere anche il datore di lavoro o il committente-inoltrerà, mediante raccomandata a mani o con avviso di ricevimento, apposita richiesta di tentativo alla DPL territorialmente competente, sempre secondo i criteri dell’art. 413 c.p.c.: rispetto al passato, nulla di nuovo se non che ciò avviene, oggi, in regime, di facoltatività. Analoga copia va inviata alla controparte. Dal dettato letterale appare possibile l’utilizzo della posta certificata, mentre non sembra perseguibile la richiesta avanzata via fax.

Nell’istanza vanno precisati in base al novellato art. 410 c.p.c. una serie di elementi così sintetizzabili:

a) Dati identificativi del richiedente e del convenuto con l’indicazione degli indirizzi e della sede;
b) Luogo ove è sorto il rapporto o dove si trova l’azienda o la dipendenza ove è la dipendenza ove è addetto il lavoratore o dove prestava la propria opera all’atto della cessazione del rapporto;
c) Luogo ove vanno indirizzate le comunicazione;
d) Esposizione dei fatti e delle rivendicazioni a fondamento della pretesa.

Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia richiesta, una memoria contente le difese e le eccezioni, ovvero domande riconvenzionali. In tal caso la commissione fissa la comparizione delle parti. Una novità riguarda la composizione della Commissione di conciliazione, composta dal direttore della PDL o da un suo delegato o, ed è questa la novità, da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, inoltre da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale (non più nazionale).

Come in passato, la richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe i termini di prescrizione e sospende ogni termine di decadenza per tutta la sua durata e per venti giorni successivi. In caso di mancato accordo la commissione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia i cui termini debbono essere riportati nel verbale con le indicazioni espresse dalle parti. Diversamente, ove ciò non avvenga (per il silenzio della controparte), ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria. In sostanza, dalla facoltatività del tentativo discende che i 60 giorni (per il settore privato) ed i 90 giorni (per il settore pubblico) alla cui decorrenza dalla richiesta del tentativo era legata l’azionabilità del giudizio, non ci sono più.

Anche se la cadenza temporale è molto netta non sembrano esservi ragioni per cui, con il consenso del ricorrente, il tentativo di conciliazione possa avere luogo anche se l’intervento del convenuto sia giunto dopo il termine dei 20 giorni. Mentre, all’opposto, è chiaro che la mancata adesione della controparte, allo scadere dei 20 giorni, determina la possibilità di attivare il ricorso giudiziario e, in ipotesi di impugnativa di licenziamento o di tutti gli altri casi nei quali trova applicazione il novellato art. 6 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, decorrono i 60 giorni per presentazione del ricorso in Tribunale (a pena di decadenza). Espletato il tentativo, se la conciliazione riesce, anche parzialmente, si redige processo verbale sottoscritto dalle parti e dalla Commissione nel suo complesso (art. 411 c.p.c.). Il giudice, su istanza di parte, dichiara esecutivo il verbale.

Per quanto concerne la conciliazione in sede sindacale poco è cambiato, salvo che non trova per essa applicazione il complesso iter procedurale previsto nel novellato art. 410 c.p.c., restando pur tuttavia ancora valida la procedura di deposito del verbale di conciliazione raggiunto, con i maggiori formalismi previsti dall’art. 411 c.p.c. (che riguarda, in generale, il deposito del redatto sia in sede amministrativa che in quella sindacale).

Per completezza informativa si evidenzia altresì che il legislatore si sia preoccupato di intervenire anche sull’attività conciliativa del giudice del lavoro esperita dallo stesso all’udienza di discussione.

È cambiato il comma 1 dell’art. 420 c.p.c. laddove si afferma che viene tentata “la conciliazione e formulata alle parti una proposta transattiva” cui consegue che “il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituisce elemento valutabile dal giudice ai fini del giudizio”.

Inoltre, con la riscrittura dell’art. 412 c.p.c. il legislatore ha previsto la possibilità che le parti durante il tentativo di conciliazione o al termine dello stesso possano rimettere volontariamente l’esame della loro controversia alla commissione che si costituisce in organo arbitrale.

Le controversie in materia di lavoro, riguardanti i rapporti individuati dall’art. 409 c.p.c. possono essere, altresì, risolte attraverso modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. In pratica, i contratti collettivi possono preveder commissioni “ad hoc” alle quali i datori di lavoro o i lavoratori potranno rivolgersi per tentare una conciliazione o risolvere in via arbitrale la vertenza lavorativa. Le modalità di esecuzione della procedura conciliativa e le sedi presso le quali rivolgersi sono lasciate alle stesse organizzazioni firmatarie del contratto collettivo. La disposizione inserita all’art. 412-ter del codice di procedura civile non è una novità, in quanto la previgente normativa aveva già previsto quest’ulteriore modalità di risoluzione di porn school girl bhabhiuna vertenza in materia di lavoro, ma nel concreto ciò non aveva portato rilevanti risultati in termini applicativi.

Altra modalità conciliativa prevista dal collegato lavoro riguarda il nuovo art. 412-quater c.p.c., concernente la possibilità di dirimere le controversie di lavoro (sempre afferenti le tipologie dell’art. 409 c.p.c.) attraverso una forma di arbitrato irrituale molto articolata e puntuale che trova la propria ragione d’essere nella volontarietà e che prescinde dall’espletamento di un qualsiasi precedente tentativo di conciliazione.

Un aspetto importante dell’impianto normativo, oggetto di forte dibattito, è quello che riguarda la possibilità che gli accordi collettivi pattuiscano clausole compromissorie di remissione delle controversie di lavoro alle forme arbitrali disciplinate agli artt. 412 e 412-quater c.p.c. Tuttavia vale la pena di rilevare come tale clausola debba essere certificata da una commissione ex art. 76 d.lgs. 276/2003.

Sulla reale portata di tutti questi interventi deflattivi, seppure apprezzabili, inciderà necessariamente la volontà delle parti: se questa verrà a mancare ci sarà ben poco da fare.
[1] Disciplinata specificatamente all’art. 66 del D.lgs. 165/2001, oggi abrogato dal collegato lavoro.
[2] Per le sole azioni in tema di condominio e risarcimento dei danni derivanti da circolazione di veicoli e natanti il Disegno di legge (cd Milleproroghe), in corso di approvazione, prevede lo slittamento di un anno dell’obbligatorietà

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