Vent'anni dopo. Lettera aperta ai comunicatori pubblici e non solo.
Diciamolo francamente: venti anni sono un periodo di tempo molto lungo non solo
per i tre moschettieri ma anche per ciascuno di noi.
Se poi questo arco di tempo abbraccia la storia recente che ha vissuto e sta
vivendo rivolgimenti epocali e mutamenti politici di vaste proporzioni, allora
si può ben dire che la velocità e la coralità degli accadimenti
impone a tutti una diversa capacità di misurarsi e collocarsi nei propri
contesti.
Ecco perché quando il prossimo 18 aprile l’Associazione Italiana
della Comunicazione Pubblica e Istituzionale rinnoverà i propri organismi
dirigenti entrando così nel suo ventunesimo anno di vita, sarà necessario
non limitarsi a ripetitivi rituali burocratici ma misurarsi con una realtà in
forte discontinuità con quella del 1990.
Non si tratta di uno dei tanti tatticismi prodotto dall’incapacità di
portare a sintesi un movimento frustrato da una continua richiesta di aggiornarsi
ma di adeguarlo, così come esige la nostra disciplina, alle molte novità succedutesi
in questi anni.
Certo, potremmo accontentarci di dare una lustratina alla nostra argenteria
e ricordare quanta strada, dal 1990 ad oggi, ha percorso la comunicazione
nella pubblica amministrazione, nelle università, e nell’intera società.
Potremmo sottolineare l’affermazione degli Urp e delle reti civiche, potremmo
ricordare la nascita delle facoltà di Scienze della Comunicazione, l’approvazione
bipartisan della legge 150 del 2000 e persino i positivi risultati di una manifestazione
fieristica che qualcuno cercò di portarci via.
Potremmo davvero compilare un lungo elenco dei nostri successi ma se ci limitassimo
a questo verremmo meno ad uno dei fondamentali motivi del nostro esistere.
I comunicatori pubblici non intendono rappresentare l’ennesima corporazione
che assedia le Istituzioni con la propria “indispensabilità” da
mosca cocchiera. Essi si sentono parte di quel movimento degli innovatori a cui
sono iscritti tutti coloro sempre più coscienti che nessun processo
di modernizzazione e di sviluppo sarà possibile in un Paese che esprime
una mastodontica e ripetitiva organizzazione amministrativa.
Non basta più avere una amministrazione attenta al bene comune, occorre
che realtà e obiettivi siano sempre più coerenti e coincidenti,
che l’intera macchina pubblica si dia la stessa velocità delle nostre
comunità e con queste mantenga l’identica sintonia negli obiettivi
e nelle modalità per realizzarli.
Da questo punto di vista la nostra Associazione rappresenta una grande risorsa
per tutti coloro che vedono nella competenza e nella professionalità ulteriori
opportunità di crescita.
Ma non saremmo coerenti se non fossimo noi, per primi, a fare quello che pretendiamo
dagli altri.
Per questo non sono necessari né eroi né martiri ma persone assolutamente
normali che si assumano la responsabilità di portare ancora più avanti
il nostro movimento. Per ottenere un simile risultato occorrono persone rispettose
delle Istituzioni della Repubblica, consapevoli sex desi sarita teenagerdel valore del proprio lavoro,
capaci di esprimere con intelligenza e dedizione quello spirito di servizio che è il
vero motore di ogni sano associazionismo.
Nessuno si spaventi. Conosciamo benissimo problemi e difficoltà che si
nascondono tra le pieghe di apparati sclerotizzati, sono gli stessi che non ci
hanno impedito di affermarci come Associazione e di legittimare localmente e
nazionalmente la nostra presenza.
Una sola consapevolezza deve animare il futuro gruppo dirigente: una Associazione
non è un club dove raccontarsi o gestire brandelli di inutile autoreferenzialità.
I comunicatori pubblici sono cresciuti,qualcuno dice anche troppo, grazie alla
loro capacità di dare risposte chiare e condivise ai tanti perché che
li circondano e ne rallentano l’azione.
Sarebbe incredibile che proprio sul terreno che ci è più congeniale
restassimo impigliati in schemi superati e in battaglie di retroguardia dimenticando
che oggi o si affrontano certe questioni, una per tutte il riconoscimento professionale,
o ci si riduce ad una sorta di affabulatori da salotto.
Il 18 aprile a Roma non vincerà nessuno se la nostra assemblea non riuscirà ad
aprire quell’orizzonte professionale e culturale che molti ancora si ostinano
a negarci.