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Contratto a termine: novità e prime pronunce dopo il Collegato

07 Lug 2020

Tra le tante modifiche apportate dalla L. 183/10, oggi, quelle più dirompenti, sul piano pratico, sembrano essere quelle relative al contratto a termine.
Non a caso, una norma di quella legge, l’art. 32, è specificamente intitolata “Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato”, anche se poi la norma comincia modificando l’art. 6 L. 604/66, per proseguire estendendo quella norma modificata a una serie di istituti, di cui il contratto a termine è solo uno dei tanti ivi contemplati.

L’entrata in vigore del Collegato lavoro modifica alcuni aspetti della disciplina del contatto a tempo determinato: vengono introdotte norme decadenziali e processuali che incidono in maniera significativa sulla tutela del lavoratore a termine; in particolare l'art. 32 introduce le seguenti novità:

- Comma 3, estende l'applicazione delle disposizioni di cui all’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 dello stesso (con i nuovi termini di impugnazione, v. nostro articolo pubblicato il 30.01.2011) a tutti “i licenziamenti che presuppongano controversie aventi ad oggetto sia la corretta qualificazione del rapporto di lavoro sia la legittimità dell’apposizione del termine al contratto” (lett. a) ed anche all'azione di nullità del termine apposto in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 (disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali) e 4 del D.lgs 368/2001, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo (lett. d).

- Comma 4: Estensione della disciplina della legge sui licenziamenti individuali, così come novellata, ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 del D.lgs 368/2001 in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge di riforma (lett. a) e già conclusi alla data di entrata in vigore del Collegato e con decorrenza dalle medesima (lett. b).

- Comma 5 (Indennità onnicomprensiva): “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al solo risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

- Comma 6 (Ipotesi di riduzione dell’indennità): “In presenza di contratti o accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto della metà.”

- Comma 7 (Disciplina di cui ai commi 5 e 6 e giudizi pendenti): “Quanto statuito nei due commi precedenti trova applicazione rispetto a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, con la specificazione per cui, in riferimento a questi ultimi, e ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 del codice di procedura civile”.

Ora, senza voler trattare qui della disciplina del contratto a termine e, in particolare, dell'effetto della declaratoria di nullità del termine apposto al contratto, la presente trattazione mira a fare un primo punto sugli orientamenti che si stanno affermando in giurisprudenza.

Infatti, nonostante la novità della materia, a due mesi dell’entrata in vigore del Collegato lavoro, alcune pronunce di merito si sono già occupate del tema, originando non poche questioni interpretative, soprattutto sulla natura sostitutiva (della conversione del rapporto e di ogni indennità risarcitoria ad essa connessa), alternativa o aggiuntiva della indennità prevista all’art. 32 comma 5 L. 183/2010 rispetto al risarcimento del danno che veniva normalmente riconosciuto, per costante giurisprudenza, al lavoratore.

Sul punto, agganciandosi al semplice tenore letterale della norma, che qualifica l'indennità come “onnicomprensiva”, le prime sentenze intendono la stessa come inclusiva di ogni risarcimento spettante al lavoratore, rimanendo, salva però la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato: così si pronunciano, il Tribunale di Trani 24 novembre 2010, n. 6808; il Tribunale di Bari, 30 novembre 2010 n. 15017, il Tribunale di Milano 29 novembre 2010 nn. 4966 e 4971; 2 dicembre 2010, n. 505; 11gennaio 2011 ed il Tribunale Roma 16 dicembre 2010, n. 2970 (quest'ultimo, in riferimento all'indennità risarcitoria, specifica che essendo “onnicomprensiva”, esclude che possa permanere/ il diritto del lavoratore al risarcimento da mora accipiendi relativamente al periodo tra la cessazione del rapporto e la sentenza dichiarativa della nullità del termine).

Di diverso avviso è, invece, la decisione del Tribunale di Busto Arsizio 29 novembre 2010, n. 528 che, nel riconoscere la nullità del termine apposto al contratto, per la totale mancanza delle ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive previste dall'art. 1 D.Lgs. n. 368/2001 - si trattava, peraltro, di un lavoratore assunto dalle liste di mobilità ai sensi dell'art. 8 della legge n. 223/1991 - ha dato applicazione alla indicata disposizione prevedendo, da un lato, la conversione automatica del contratto, per nullità del termine e, dall'altro, la condanna del datore di lavoro al pagamento sia delle retribuzioni nel frattempo maturate, sia dell'indennità risarcitoria prevista dalla novella.

Alcuni tribunali, tenendo conto delle impugnative di costituzionalità proposte, hanno emesso alcune pronunce di condanna parziale solo sulla conversione del rapporto, mentre hanno disposto la prosecuzione della causa per la definizione del risarcimento (tribunale di Roma 14 dicembre 2010 n. 19913 e Tribunale di Trani 6 dicembre 2010 n. 6952).

Altra e connessa problematica su cui i giudici hanno iniziato a pronunciarsi è data dalla previsione di cui al comma 7 dello stesso art. 32, il quale riconosce l'applicabilità delle disposizioni di cui ai commi 5 e 6 anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del Collegato. Sul punto, si registrano due tesi contrapposte: la prima sostiene l'applicabilità della nuova norma ai soli giudizi pendenti in primo grado (Corte d'Appello di Roma 30 novembre 2010); la seconda, ritiene, invece, che la stessa debba essere riferita a tutti i giudizi, ivi compresi quelli in Cassazione (Cass. 20 gennaio 2011, n. 2112). La questione potrebbe aggrovigliarsi ulteriormente visto che le Commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato hanno approvato un emendamento - proposto dal Partito democratico - al cosidetto Milleproroghe, con il quale si posticipa al 31 dicembre 2011 il termine per l'impugnazione dei licenziamenti e dei contratti a termine che la legge fissa al 23 gennaio. Ovviamente la novità entrerà in vigore solo se il testo emendato ottenesse il sì di Senato e Camera.

Pare opportuno, infine, segnalare, il recente orientamento giurisprudenziale in merito all'applicazione retroattiva della nuova disposizione. In particolare, si è chiarito che la retroattività della condanna di cui all'art. 32 trova un limite qualora si sia già formato un giudicato sulla domanda di risarcimento, avendo quest'ultima un suo carattere di individualità ed autonomia rispetto alla domanda di declaratoria di nullità del termine apposto al contratto. Pertanto, nel caso in cui la statuizione relativa alla condanna risarcitoria non sia stata specificatamente impugnata, sulla stessa si formerebbe il giudicato ai sensi dell'art. 324 c.p.c. (Cass. 3 gennaio 2011, n. 65).

Inoltre, secondo altro orientamento circa l'applicazione dello ius superveniens, in merito alle conseguenze economiche derivanti dalla conversione del contratto di cui all'art. 32, comma 5 e seguenti del Collegato, si è specificato che è necessario che i motivi del ricorso investano specificatamente la questione del risarcimento in maniera diretta e che essi non siano tardivi, generici o non pertinenti. Pertanto, in caso di assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze patrimoniali dell'accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale produce, infatti, la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze (Cass. 4 gennaio 2011, n. 80).

Quanto all’ambito di applicazione dell’indennità sostitutiva, si evidenzia come il Collegato utilizzi una formula ampia, riferendosi genericamente “ai contratti a termine”, il che non esclude espressamente tipologie contrattuali diverse dal lavoro a tempo determinato ex art. 368/2001 (nelle prime sentenze, il Tribunale di Roma, 30 novembre 2010 n. 18986 e 1° dicembre 2010, n. 19101, considera pacifica l’applicabilità dell’indennità sostitutiva del risarcimento ai casi di somministrazione irregolare, il tribunale di Milano parrebbe di diverso avviso).

A complicare il cammino e l’applicazione delle disposizioni sopra riportate è si segnalano due ordinanze con le quali è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale in riferimento alle stesse disposizioni in parola. Infatti, già il Giudice del Tribunale di Trani ha, con ordinanza del 20 dicembre 2010, sollevato la questione di legittimità delle disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 dell'art. 32, con riguardo agli artt. 3, 11, 24, 101, 102, 111 e 117 Cost. principalmente per la disparità di trattamento che verrebbe a determinarsi per effetto della previsione di un'indennità omnicomprensiva diretta a “contenere le lungaggini del processo”, per non parlare della perdita del diritto alla desi mallu young xxxricostruzione previdenziale del rapporto di lavoro. Per il giudice del Tribunale di Trani “non avrebbe alcun senso logico (prima ancora che giuridico) parlare di conversione (e, quindi di ricostruzione ex tunc) di un rapporto, se a questa non si ricolleghi pure il diritto del lavoratore a percepire- così come accade per i licenziamenti illegittimi intimati in area di stabilità reale - tutte le retribuzioni (a partire dalla lettera di messa in mora e fino all'effettiva reintegra, al netto dell'aliunde perceptum) e, soprattutto, il diritto a beneficiare della regolarizzazione della posizione contributiva”.

A ciò si aggiunge la questione di legittimità avanzata, in riferimento all'art. 32, commi 5 e 6, con ordinanza del 20 gennaio 2011, n. 2112 dalla Corte di Cassazione. Secondo la Cassazione l'indennità, definita come onnicomprensiva, “acquista significato solo escludendo qualsiasi altro credito del lavoratore, indennitario o risarcitorio: pertanto, i commi 5 e 6 escludono ogni tutela reale e lasciano la possibile, grave sproporzione fra indennità e danno effettivo, connesso al perdurare dell'illecito”. Con ciò dimostrando, non solo di essere in contrasto con i principi di ragionevolezza nonché di effettività del rimedio giurisdizionale di cui agli artt. 3, comma 2, 24 e 111 Cost., ma anche di ledere il diritto al lavoro, riconosciuto a tutti i cittadini dall'art. 4 Cost: inoltre, la sproporzione tra la tenue indennità ed il danno, che comporterebbe, per contro, lo spostamento sul datore di lavoro di comportamenti da qualificarsi come dilatori, assecondando le lungaggini del processo, sembra contravvenire all'accordo quadro sul contratto a tempo determinato e alla direttiva comunitaria 1999/70, che impone agli stati membri di “prevenire efficacemente l'utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato...”.

Il dibattito è ormai aperto e non resta che attendere i prossimi sviluppi giurisprudenziali per comprendere la portata della novella.

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