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2011: l’anno della svolta professionale?

07 Lug 2020

Sempre più urla che lamenti giungono dall’interno della comunicazione pubblica.
Conclusa la stagione d’oro delle leggi di riforma (1990-2000), devitalizzata la forza innovatrice della legge 150 del 2000, sfiancati, in un inquietante ripetitività, i casi di eccellenza, la comunicazione sembra vivere una stagione non esaltante.
Eppure ad un attento osservatore della realtà, come dovrebbe essere ogni vero comunicatore, non tutto appare cristallizzato in un conformismo impermeabile ad ogni tentativo di cambiamento.

Che altro dire di una disciplina giovane che si pone obiettivi ambiziosi come quello di essere il punto di equilibrio tra le attese e le speranze dei cittadini con le strategie e le scelte della pubblica amministrazione ma che viene poi piegata verso la propaganda o, peggio, affiancata a supporto della quotidianità burocratica?
Disciplina di confine, disciplina in fieri, disciplina in movimento, comunque la si cerchi di inquadrare e da qualunque parte la si osservi la comunicazione pubblica rappresenta una delle novità, l’altra è la tecnologia, destinata a far mutare l’organizzazione piramidale delle nostre burocrazie. Una piramide davvero antisismica che riesce ad assorbire ogni colpo, ogni novità riducendone la forza d’urto e adattandola ai propri scenari secolari.

Ma, anche in questo caso, l’apparato burocratico non è un moloch invincibile, anzi assomiglia sempre di più al cavaliere inesistente di una famosa novella di Italo Calvino.
L’organizzazione geograficamente a rete di uffici pubblici centrali e periferici, il meccanismo di reciproca, anche se parziale pertinenza su molte procedure, le regole per le assunzioni e le progressioni in carriera, la selezione dei dirigenti possono apparire una sorta di grande muraglia pensata, costruita e mantenuta per separare tutto ciò che è pubblico da tutto ciò che è reale.

Ma il vero potere burocratico si annida nell’incapacità (voluta o subita) dei riformatori e degli innovatori a cavalcare decisamente comunicazione e tecnologia, i veri arieti che abbatteranno le mura dell’ultimo castello feudale.
Perché se è vero che a molti spetta il merito di aver tolto negli anni ’80 la comunicazione pubblica dalle secche della propaganda e dell’autoreferenzialità non tutti oggi appaiono disponibili ad impedire a questa navicella di arenarsi in secche ancora più pericolose.

Eppure il mondo è cambiato. Molte cose che in quegli anni sembravano futuribili si sono fatte realtà, molti meccanismi si sono dimostrati inutili pornmobile.onlinementre altri si sono sviluppati.
Nuove tecnologie hanno conquistato un grande spazio. Gli innovatori nelle Istituzioni si sono affermati sperimentando e costruendo sistemi avanzati.
Gli URP sono diventati realtà, la legge 150, piaccia o non piaccia, è stata approvata. La comunicazione pubblica ha assunto un “valore di componente dei processi amministrativi”, le università si sono aperte a questa disciplina, decine di migliaia di giovani studiano comunicazione pubblica e si preparano ad occupare quei ruoli che un’intera generazione di dipendenti pubblici ha difeso tra molte sottovalutazioni e pochi riconoscimenti.

È quindi il tema della professionalità quello che oggi esprime la differenza decisiva tra una vecchia idea di comunicazione basata sugli strumenti e sul loro valore rispetto ad un’idea di comunicazione basata sulla qualità del messaggio e sulla capacità di incidere nelle Istituzioni e nelle nostre comunità.
Per anni siamo stati costretti ad un confronto, spesso ridicolo, sugli aspetti grafici o estetici del nostro lavoro confondendo la comunicazione pubblica con la pubblicità.
Per anni siamo stati ostacolati nel tentativo di realizzare nuove strutture per un dialogo diretto, e si è tentato di chiuderci in strutture pensate per altri scopi ma funzionali a interlocutori che poco o nulla sapevano o sanno di comunicazione pubblica.

Per molto tempo qualcuno ha volutamente confuso le campagne di comunicazione con i piani di comunicazione, il marketing con la pubblicità ed altro ancora.
Sono questi i muri ancora da abbattere per costruire quella professionalità che dovrà guidare i comunicatori pubblici e garantire loro quel ruolo di innovatori, indispensabile nel tempo che stiamo vivendo.

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