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Dal digital divide alla cittadinanza digitale

07 Lug 2020

L’importanza assunta dal Web nella vita quotidiana delle persone ha provocato negli ultimi anni una moltiplicazione delle dissertazioni sul digital divide e sulla dotazione tecnologica dei Paesi. Progetti come il Bul (la completa dotazione della banda ultra larga in Lombardia entro il 2017) e “Cittadinanza Digitale” (progetto del Comune di Venezia con l’obiettivo di garantire accesso alla Rete su tutto il territorio del Comune attraverso hot-spot pubblici) sono, infatti, espressione dell’esigenza di garantire a tutti gli strumenti per un accesso a Internet funzionale ed economico.

La discussione, tuttavia, fa un passo avanti e si giunge a interrogarsi se il solo accesso alla Rete sia sufficiente, o se un mero approccio strumentale non finisca per snaturare i pilastri di libertà e democrazia che la sostengono.
In particolare, in un’intervista apparsa su Wired il 4 novembre, il giurista ed ex Garante della Privacy Stefano Rodotà pone l’accento su un’altra questione, introducendo proprio il tema della cittadinanza digitale. L’irrinunciabilità di Internet come strumento di conoscenza implica lapornmobile.online necessità di garantire non solo un accesso di tipo strumentale, ma anche l’effettiva godibilità di tutte le sue opportunità. Rodotà sostiene, perciò, che nel nucleo di diritti sanciti dalla cittadinanza fisica, entri a far parte anche la cittadinanza digitale, in quanto elemento ormai imprescindibile per una realizzazione globale della persona. Il riconoscimento della cittadinanza digitale diventa perciò condizione fondamentale per conferirle solide basi anche a livello costituzionale, a sua volta presupposto affinché Internet non sia sopraffatto dalla sua stessa natura libera da regole, ma, al contrario, possa affidarsi a guide normative certe.

La rilevanza dell’intento è certamente massima ed è un diritto dei cittadini potersi affidare a strumenti sicuri. È altrettanto vero, tuttavia, che è proprio la natura destrutturata di Internet che gli ha permesso di adattarsi alle esigenze più disparate. Introdurre in un contesto simile forme di regolamentazione provenienti dall’altro potrebbe correre il rischio di snaturare l’ambiente e inserire una percezione di eccessivo. Fenomeni come, ad esempio, il mondo del “wiki” si basano proprio sull’autoregolamentazione di Internet e sono alla base del suo valore.
Forse, perciò, un intervento di questo tipo da parte delle autorità dovrebbe, paradossalmente, concentrarsi proprio sulla natura strumentale di Internet, garantendone standard e l’appartenenza al nucleo fondamentale di diritti della persona, ma lasciandone invece intatti i contenuti e le modalità di utilizzo.

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