Dal digital divide alla cittadinanza digitale
L’importanza assunta dal Web nella vita quotidiana delle persone ha provocato
negli ultimi anni una moltiplicazione delle dissertazioni sul digital divide
e sulla dotazione tecnologica dei Paesi. Progetti come il Bul (la completa dotazione
della banda ultra larga in Lombardia entro il 2017) e “Cittadinanza Digitale” (progetto
del Comune di Venezia con l’obiettivo di garantire accesso alla Rete su
tutto il territorio del Comune attraverso hot-spot pubblici) sono, infatti, espressione
dell’esigenza di garantire a tutti gli strumenti per un accesso a Internet
funzionale ed economico.
La discussione, tuttavia, fa un passo avanti e si giunge a interrogarsi se
il solo accesso alla Rete sia sufficiente, o se un mero approccio strumentale
non finisca per snaturare i pilastri di libertà e democrazia che la sostengono.
In particolare, in un’intervista apparsa su Wired il 4 novembre, il giurista
ed ex Garante della Privacy Stefano Rodotà pone l’accento su un’altra
questione, introducendo proprio il tema della cittadinanza digitale. L’irrinunciabilità di
Internet come strumento di conoscenza implica lapornmobile.online necessità di garantire
non solo un accesso di tipo strumentale, ma anche l’effettiva godibilità di
tutte le sue opportunità. Rodotà sostiene, perciò, che nel
nucleo di diritti sanciti dalla cittadinanza fisica, entri a far parte anche
la cittadinanza digitale, in quanto elemento ormai imprescindibile per una realizzazione
globale della persona. Il riconoscimento della cittadinanza digitale diventa
perciò condizione fondamentale per conferirle solide basi anche a livello
costituzionale, a sua volta presupposto affinché Internet non sia sopraffatto
dalla sua stessa natura libera da regole, ma, al contrario, possa affidarsi a
guide normative certe.
La rilevanza dell’intento è certamente massima ed è un diritto
dei cittadini potersi affidare a strumenti sicuri. È altrettanto vero,
tuttavia, che è proprio la natura destrutturata di Internet che gli ha
permesso di adattarsi alle esigenze più disparate. Introdurre in un contesto
simile forme di regolamentazione provenienti dall’altro potrebbe correre
il rischio di snaturare l’ambiente e inserire una percezione di eccessivo.
Fenomeni come, ad esempio, il mondo del “wiki” si basano proprio
sull’autoregolamentazione di Internet e sono alla base del suo valore.
Forse, perciò, un intervento di questo tipo da parte delle autorità dovrebbe,
paradossalmente, concentrarsi proprio sulla natura strumentale di Internet, garantendone
standard e l’appartenenza al nucleo fondamentale di diritti della persona,
ma lasciandone invece intatti i contenuti e le modalità di utilizzo.









