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(Adnkronos) - Sono oltre 4mila in lavoratori italiani impiegati nelle basi militari americane nella Penisola che rischiano di non vedere lo stipendio finché non si sbloccherà lo stallo causato dallo shutdown negli Usa. A lanciare l’allarme sono i sindacati Fisascat Cisl e Uiltucs, che oggi hanno dichiarato lo stato di agitazione, tornando a chiedere un intervento del governo italiano sulla scia di quelli già messi a terra da altri paesi Europei che si trovano nella stessa situazione. Una sollecitazione a cui però l'esecutivo non ha ancora dato risposta. In Italia, d'altronde, il problema pare più complesso. Lo ha spiegato all’Andkronos Roberto Frizzo, coordinatore nazionale per Uiltucs per i lavoratori italiani nelle basi Usa. Il Paese – ha ricordato Frizzo – conta cinque basi: Aviano, dove è stanziata l’Airforce, Vicenza e Livorno, per l’Esercito, Napoli e Sigonella della Marina. Tutte e cinque cubano 4100 dipendenti italiani, assunti direttamente dal ministero della Difesa statunitense nell’ambito di un accordo bilaterale, risalente al 1951, con un contratto collettivo apposito. Si tratta di un Ccnl a sé, che contempla un ampissimo range di posizioni, dal momento che una base militare assomiglia ad una 'piccola città' e necessita dunque di numerose professionalità (metalmeccanici, chimici, edili, commercianti) e annesse retribuzioni, che oscillano tra i 1400 euro per chi si occupa delle pulizie e i 3mila euro per i dirigenti, con uno stipendio medio che si aggira quindi intorno ai 2mila euro. Applicare di volta in volta i singoli contratti di categoria sarebbe pressoché impossibile, quindi tutti questi lavoratori sono stati raccolti sotto ‘l’ombrello’ di questo ccnl, previsto dall’accordo bilaterale Italia-Usa, firmato da Fisascat Cisl e Uiltucs (il cui ultimo rinnovo risale all’aprile del 2024), secondo cui la forza lavoro che gli americani impiegano in Italia risponde alle condizioni dello Stato ospite e che, all’articolo 30, stabilisce che le retribuzioni vanno pagate entro l’ultimo giorno del mese lavorato. Tuttavia, il blocco delle attività amministrative imposto dallo shutdown a partire dallo scorso 1° ottobre pone un problema di natura giuridica: la legislazione americana prevede che i lavoratori possano non essere pagati, quella italiana invece no. Nel dettaglio: la procedura di shutdown consente alle amministrazioni di lasciare a lavoro i dipendenti ritenuti ‘indispensabili’, che non vengono pagati ma hanno la garanzia di un rimborso degli arretrati allo sbloccarsi dello stallo, e di mettere invece in congedo quelli non indispensabili, senza peraltro l’assicurazione di ricevere gli stipendi ‘persi’, perché la decisione è nelle mani del Presidente in carica. In Italia questo scenario non è contemplato: “Non è legale lavorare senza essere pagati, né lo è essere messi in congedo senza forme di ammortizzazione sociale, come ad esempio la cassa integrazione”, ha evidenziato il coordinatore Uiltucs. I lavoratori italiani, dunque, vanno pagati. Ma da chi? Qui l’impasse, e il rischio ravvisato dai sindacati: “I Comandi americani ci hanno detto che hanno le ‘casse’ bloccate e quindi è materialmente impossibile pagare gli stipendi”, ha detto Frizzo, riferendosi alla comunicazione inviata alle sigle lo scorso 22 ottobre dalla Jcpc, la commissione paritetica sul personale civile che rappresenta le forze armate americane in sede negoziale. Attualmente i lavoratori che a ottobre hanno visto una busta paga ‘vuota’ sono 1500, impiegati nelle basi di Vicenza, Aviano (Pordenone) e Livorno, quindi nelle basi di Aviazione ed Esercito. La Marina dal canto suo è riuscita a ‘barcamenarsi’ grazie a risorse extra accantonate, che però – ha avvertito il sindacalista – non basteranno nel caso in cui Congresso e Casa Bianca non dovessero trovare un accordo nei prossimi giorni, prolungando ancora il blocco e lasciando così a zero anche i lavoratori di Napoli e Sigonella, dove sono impiegati oltre 2mila italiani. Urge dunque una soluzione, e a trovarla deve essere il governo italiano. “Chiediamo una soluzione: possiamo gestire il problema se nei prossimi tre giorni, come pare, riusciranno a trovare un accordo, ma se a fine novembre non saranno pagati nemmeno gli stipendi dei lavoratori di Napoli e Sigonella saranno in molti a non farcela”, ha affermato Frizzo. “Noi ora stiamo cercando di vedere se è possibile aiutare chi già non ce la fa attraverso l’accesso a dei finanziamenti da parte delle banche tramite accordi convenzionati che noi, come sindacato, possiamo fare. Ma se questa situazione persiste è un problema: due mesi senza busta paga è troppo grande, tre mesi impossibile da gestire. Ovviamente metteremo in campo delle iniziative, cercando di evitare però lo sciopero perché non servirebbe: non siamo di fronte ad un datore di lavoro che non vuole pagare, ma di fronte ad uno che materialmente non può; rischierebbe, anzi, di danneggiare i dipendenti". "Gli Usa – ha ribadito il coordinatore – hanno basi in tutto il mondo, in tutta Europa: la maggior parte dei governi, in Germania o in Portogallo per esempio, sono intervenuti, pagando loro gli stipendi dei propri lavoratori e riservandosi di ‘triangolarsi’ con gli Usa a shutdown chiuso. In Italia, invece, ancora niente: noi abbiamo avvisato di questa situazione, tramite le Prefetture, il 24 ottobre". "Sono passate tre settimane ma – ha concluso – non abbiamo ricevuto notizie”.
(Adnkronos) - “L’intelligenza artificiale ha messo in atto una rivoluzione che potrebbe aumentare il Pil italiano del 18%, ma rispetto a Stati Uniti e Cina - dove si investe di più - l’Europa è molto in ritardo. Il collo di bottiglia è il capitale umano, mancano le competenze”. Lo ha detto Andrea Rossi, amministratore delegato e direttore generale dell’università Campus Bio-Medico di Roma (Ucbm), partecipando al convegno organizzato oggi nella capitale da Unindustria, in collaborazione con Ucbm, ‘Future skills - Capitale umano e Ai per il lavoro che cambia. Dove formazione e impresa si incontrano’. Il dialogo tra università e imprese “da più di vent’anni è un elemento essenziale e strategico per la nostra università - sottolinea Rossi - siamo in Unindustria per questo motivo”, dice. Per andare incontro al cambiamento e cavalcare l’onda della 'rivoluzione', è necessario dunque aggiornare le competenze. “Non rimane che attuare un'azione sistemica tra università, imprese e istituzioni- avverte Rossi - Dobbiamo lavorare insieme per formare laureati che abbiano le competenze necessarie ad affrontare le sfide di oggi. Vuol dire anche, come Accademy dell'Università, formare e re-skillare il personale esistente dato che - conclude - ci sono più di 4 milioni di lavoratori che vanno aggiornati da un punto di vista”.
(Adnkronos) - Dal riciclo delle capsule di caffè nasce oggi il riso per i Market Solidali. Nespresso amplia ulteriormente l’impatto sociale del progetto di economia circolare Da Chicco a Chicco portando il riso prodotto grazie al recupero del caffè esausto anche nei Market Solidali di Fondazione Progetto Arca, oltre alle Cucine mobili delle città di Milano, Torino, Roma e Bari dove veniva offerto già nel 2024. I Market Solidali nascono per offrire un aiuto concreto e continuativo alle persone e alle famiglie in difficoltà, restituendo loro dignità, autonomia e libertà di scelta. Accanto alla tradizionale distribuzione di pacchi alimentari, questi spazi si configurano come veri e propri supermercati solidali, dove ciascuno può scegliere in modo indipendente i prodotti più adatti alle proprie esigenze. Un modello di sostegno sociale innovativo, che valorizza la dimensione relazionale dell’accoglienza e promuove un’esperienza di normalità attraverso il gesto quotidiano del ‘fare la spesa’, in un contesto di ascolto e accompagnamento. All’interno degli 11 Market Solidali distribuiti tra Milano, Roma, Napoli, Bari e Ragusa, il riso del progetto ‘Da Chicco a Chicco’ arricchisce così ulteriormente l’offerta con un alimento ad alto valore nutrizionale, versatile e presente nelle tradizioni gastronomiche di molte culture. Attraverso il progetto ‘Da Chicco a Chicco’, nato nel 2011, Nespresso promuove e facilita la raccolta e il riciclo delle capsule di caffè in alluminio esauste, con l’obiettivo di riportare a nuova vita i due materiali di cui sono composte. Grazie a una collaborazione sancita da un protocollo d’intesa con Cial, Utilitalia e Cic (Consorzio Italiano Compostatori), ‘Da Chicco a Chicco’ permette di riconsegnare le capsule esauste nelle Boutique Nespresso o presso isole ecologiche partner in tutta Italia, per un totale di oltre 200 punti di raccolta in più di 100 città. Una volta raccolte, le capsule vengono trattate per separare e riciclare i due materiali che le compongono: l’alluminio viene fuso e trasformato in nuovi oggetti, mentre il caffè può diventare compost utilizzato poi come ammendante per una risaia italiana. Da qui nasce il riso che Nespresso riacquista e dona alle realtà impegnate nel contrasto alla povertà alimentare. In 14 anni, ‘Da Chicco a Chicco’ ha permesso di donare oltre 6.000 quintali di riso, equivalenti a più di 7 milioni di piatti (1 piatto=90gr) destinati alle persone in difficoltà. Dalla storica collaborazione con il Banco Alimentare - che vede oggi il riso di Nespresso distribuito dalle sedi regionali dell’Associazione di Lombardia, Lazio, Piemonte, Puglia, Emilia-Romagna e Toscana - il progetto si è ampliato nel 2024 con la donazione di 60 tonnellate di riso alle Cucine mobili di Fondazione Progetto Arca a Milano, Roma, Torino e Bari, per poi estendersi quest’anno anche ai Market Solidali. A partire dal mese di novembre (una volta conclusa la raccolta annuale), saranno 100 le tonnellate del riso di Da Chicco a Chicco donate a Fondazione Progetto Arca e distribuite, oltre che nelle Cucine mobili, anche negli 11 market presenti sul territorio italiano che garantiscono più di 19.600 spese alimentari a oltre 1.600 famiglie per un totale di 5.600 beneficiari. “Dopo l’integrazione, lo scorso anno, delle Cucine mobili di Fondazione Progetto Arca - spiega Matteo Di Poce, Specialista in Sostenibilità di Nespresso Italiana - siamo orgogliosi di proseguire insieme questo cammino attraverso i Market Solidali, continuando una sinergia che continua a rafforzarsi e ad espandersi nel tempo, affiancandosi a quella storica con il Banco Alimentare, che oggi copre i banchi di 6 regioni italiane, testimoniando il valore di un impegno condiviso che unisce sostenibilità ambientale e sostegno concreto alle persone”. “L’inserimento del riso nei Market Solidali rappresenta un ulteriore passo avanti nel percorso di crescita del progetto Da Chicco a Chicco - commenta Viviana Marino, responsabile Comunicazione Corporate di Nespresso - Portare questo alimento all’interno di luoghi in cui le persone in difficoltà possono scegliere liberamente ciò di cui hanno bisogno significa ampliare il valore sociale del progetto, trasformando un gesto quotidiano come il riciclo in un contributo concreto al benessere e alla dignità delle comunità che sosteniamo”. “Siamo presenti ogni giorno con i nostri volontari per portare in strada con le Cucine mobili un sostegno alimentare completo, accurato nella preparazione e continuo nella distribuzione – rimarca Alberto Sinigallia, presidente Fondazione Progetto Arca - Da oggi, grazie alla donazione anche all'interno dei Market solidali, le persone che si rivolgono a noi potranno avere a disposizione un nuovo ingrediente, gustoso e versatile, che si adatta bene a tutte le esigenze alimentari, sia per cultura che per dieta. Una novità concreta per continuare a essere al fianco delle persone fragili ogni giorno”. Non solo. Il progetto prosegue infatti con l’implementazione di corner caffè in ogni Market Solidale (i primi già installati nei quattro punti milanesi): uno spazio dedicato e gratuito dove le persone che frequentano il market potranno concedersi una pausa e condividere un momento di convivialità. L'obiettivo è creare un sistema di supporto non solo alimentare ma anche sociale, offrendo un luogo di incontro e condivisione.