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(Adnkronos) - Bruno Tertrais è stato a Roma per partecipare alla conferenza "Geopolitica e demografia: come cambia il potere degli Stati", organizzata da Luiss e Ambasciata di Francia in Italia. Considerato uno dei massimi esperti europei di strategia e sicurezza, Tertrais è vicedirettore della Fondation pour la Recherche Stratégique (Frs), il principale think tank francese indipendente specializzato in difesa e politica internazionale. L’Adnkronos lo ha intervistato sul tema che da anni rappresenta il cuore delle sue analisi: il futuro della deterrenza nucleare in Europa, tra l’incertezza del ruolo americano, la postura russa e l’ascesa strategica della Cina. Lei è intervenuto a questa conferenza sulla demografia come esperto di questioni internazionali. Credo che gli studiosi di sicurezza internazionale abbiano spesso sottovalutato l’impatto della demografia, mentre molti demografi hanno un approccio troppo tecnico. Le dinamiche demografiche hanno invece effetti immediati sulla geopolitica: la Cina, ad esempio, vede la propria popolazione diminuire più rapidamente del previsto, e questo avrà conseguenze strategiche; gli Stati Uniti mantengono crescita demografica soprattutto grazie all’immigrazione, e se le politiche restrittive di Trump dovessero continuare, tra dieci anni lo scenario potrebbe essere diverso. La demografia è parte integrante dell’equilibrio globale. Parliamo di deterrenza nucleare. L’Europa deve ripensare la propria, dato il progressivo disimpegno degli Stati Uniti? La Francia dovrebbe aggiornare il suo arsenale e anche la sua dottrina nucleare? Esistono due scenari. Nel primo, gli Stati Uniti restano pienamente impegnati, con le loro armi nucleari anche in Paesi come l’Italia. In questo caso Francia e Regno Unito svolgono un ruolo complementare, contribuendo alla rassicurazione degli alleati e alla dissuasione verso la Russia. Nel secondo scenario, invece, il contratto di fiducia con Washington si rompe davvero. Non siamo a quel punto, né formalmente né informalmente: la garanzia nucleare americana è ancora in piedi. Ma le preoccupazioni sono legittime, e dobbiamo sia compensare eventuali dubbi, sia prepararci a una possibile rottura. Un dialogo tra i governi europei ormai esiste già. Un passaggio storico è la dichiarazione franco-britannica del luglio 2025: per la prima volta Parigi e Londra si impegnano a coordinare le loro forze nucleari. I francesi non l’avevano mai fatto con nessun Paese; i britannici solo con gli Usa. È un passo notevole. In Europa si parla, soprattutto negli ultimi mesi, di “ombrello nucleare” francese. Ma la Francia non ama questo concetto. Esatto. “Parapluie” è un termine che sottintende un grande Paese che da lontano “apre il suo ombrello” e protegge Paesi più piccoli. Ma Francia, Regno Unito, Germania, Italia sono potenze comparabili, non c’è una vera gerarchia. Inoltre la prossimità geografica rende più naturale e credibile la deterrenza europea rispetto a quella americana. Come de Gaulle chiese a Kennedy se gli Stati Uniti sarebbero stati pronti a sacrificare New York per salvare Parigi in caso di attacco nucleare, anche noi dobbiamo chiederci se siamo pronti a scambiare Parigi con Helsinki. Finché la deterrenza Nato esiste, non avremo sistemi paralleli. Ma dobbiamo riflettere su come Francia e Regno Unito possano rassicurare più direttamente gli alleati vicini. L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato le carte in tavola? Da allora molte “linee rosse” sono state attraversate (dalla fornitura di certe armi al congelamento dei beni) senza una reazione nucleare di Mosca. Io non credo che ci sia stata una vera minaccia nucleare russa contro l’Europa. Molti analisti hanno interpretato male il linguaggio del Cremlino. Medvedev fa il “cane pazzo”, ma probabilmente è funzionale a Putin: una divisione del lavoro, se vogliamo. La Russia, finora, è rimasta prudente. Non sono del tutto convinto dell’analisi americana secondo cui nell’ottobre 2022 ci fosse un “50% di rischio” che Mosca usasse un’arma nucleare tattica, soprattutto in caso di “ripresa” ucraina della Crimea. È probabile, inoltre, che la Cina abbia avvertito la Russia di non superare certi limiti. La deterrenza, in realtà, ha funzionato su entrambi i lati: noi occidentali abbiamo posto la linea rossa della non-partecipazione diretta al combattimento terrestre o aereo; la Russia non attacca territori sotto garanzia nucleare Nato. Ma lei ipotizza la possibilità di un attacco convenzionale russo contro un Paese Nato? Sì. Ho cambiato opinione su questo punto. La Russia potrebbe valutare un’azione militare aperta contro un paese del fronte Est - penso a uno dei baltici o alla Romania - sapendo di perdere militarmente, ma cercando una vittoria politica. Se la Nato non trovasse un consenso pieno sulla difesa collettiva, magari con gli stessi Stati Uniti che si fermano prima di un uso “pieno” dell’Articolo 5 del trattato atlantico, Mosca lo potrebbe considerare un successo strategico. È uno scenario che ora non mi sento più di escludere. Veniamo alla Cina. Come valuta l’espansione della sua capacità bellica? Sotto Xi Jinping la Cina ha deciso di essere una grande potenza in ogni campo, quindi anche nel nucleare. In passato si accontentava di un arsenale minimo e discreto; oggi no. Le ragioni principali sono due: una questione di status, e la preparazione a un possibile scenario di invasione di Taiwan. La Cina vuole sentirsi forte nel confronto strategico con gli Stati Uniti. Per l’Europa, in realtà, cambia poco: la Cina ha la capacità di colpirci da oltre trent’anni. Ma per Parigi e Londra la questione è rilevante: in caso di crisi grave in Asia orientale, gli europei potrebbero voler mostrare solidarietà a Giappone, Corea, Taiwan o Filippine, e Pechino potrebbe ricordare la nostra vulnerabilità. La presenza di una deterrenza europea permette di “neutralizzare” questo ricatto potenziale. Quindi la Francia dovrebbe investire nella crescita del proprio arsenale? Dipende da come concepiamo la deterrenza europea. La qualità delle armi conta quanto la quantità. Francia e Regno Unito dimensionano le loro forze in funzione delle difese russe. C’è un dibattito: aumentare per ragioni politiche e di status? O per garantire una protezione più ampia agli europei? Ci sono due filosofie: una puntata sulla credibilità politica, l’altra - più antica - sulla simmetria dei danni infliggibili. Secondo le stime più o meno ufficiali, ci sono circa 500 testate europee (Francia + Regno Unito). La domanda è: bastano per dissuadere la Russia? È un tema politico, più che tecnico. E alcuni parametri, come l’evoluzione futura delle difese russe, non possono essere messi sul tavolo perché non ne sappiamo molto. C’è una ragione per aumentare il numero di testate: se un giorno volessimo sostituire gli Stati Uniti nel “nuclear sharing” della Nato. Ma sarebbe possibile solo in due condizioni: 1) nessuna protezione americana; 2) richiesta esplicita dei Paesi interessati. E sono condizioni davvero complesse da identificare oggi, perché né gli Stati Uniti hanno esplicitato un’intenzione chiara, né ci sono Paesi che hanno chiesto “ufficialmente” a Francia e Regno Unito una protezione nucleare. Le tecnologie di frontiera - AI, quantum, droni - possono cambiare l’equilibrio? Bisogna ragionare tecnologia per tecnologia. La deterrenza esiste dal secondo Dopoguerra ed è sopravvissuta a decenni di trasformazioni tecnologiche. L’AI può migliorare l’identificazione degli obiettivi; i droni subacquei o il calcolo quantistico potrebbero, un giorno, mettere in difficoltà l’invisibilità dei sottomarini. Ma non si parla di scenari di qui a pochi anni. Quanto alla sicurezza delle comunicazioni, l’exploit di Stuxnet contro il programma nucleare iraniano mostra che a volte le soluzioni “analogiche” sono più sicure delle tecnologie troppo sofisticate. Se con il quantum si dovessero “bucare” le comunicazioni criptate odierne, si tornerà a sistemi ancora più elementari. La semplicità può essere una difesa. (di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Uno strumento per superare la frammentazione degli obblighi dichiarativi in capo ai datori di lavoro e una semplificazione significativa dei flussi informativi. Sono alcuni degli effetti del potenziamento della piattaforma Siisl, previsto dal decreto legge n.159/2025, secondo il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, ascoltato in audizione al Senato sul decreto lo scorso 12 novembre. Nel documento, depositato oggi in Parlamento e contenente le osservazioni della categoria, si sottolinea grande soddisfazione per il provvedimento, che rappresenta un passo importante verso una nuova stagione della cultura della sicurezza, più moderna, digitale e integrata. Forte apprezzamento, dunque, viene espresso per l’ammodernamento del mercato del lavoro attraverso la pubblicazione delle offerte sul Siisl, da parte dei datori di lavoro che richiedono benefici contributivi e delle agenzie per il lavoro, e l’utilizzo della piattaforma come canale d’invio delle comunicazioni obbligatorie. “Un passo fondamentale verso la costruzione di un sistema basato sull’evidenza, nel quale le decisioni pubbliche e private possono poggiare su basi documentali solide e non contestabili”, si legge nel documento. Secondo la categoria, la produzione di dati affidabili e interoperabili costituisce un presidio di legalità, trasparenza e correttezza amministrativa, con effetti benefici sulle politiche del lavoro. Positivi, inoltre, l’ampliamento della tutela assicurativa agli studenti impegnati in percorsi di formazione scuola-lavoro (con l’estensione della copertura assicurativa anche agli incidenti in itinere) e la previsione di risorse ingenti e programmate su un orizzonte pluriennale, che consente di superare l’approccio frammentato del passato. Bene anche l’inserimento di misure per contrastare le molestie e le violenze nei luoghi di lavoro, che ampliano il concetto di salute anche alla sfera psicosociale. Ma affinché la riforma possa dispiegare a pieno i suoi effetti è necessaria, secondo i consulenti, un’attuazione tempestiva dei decreti attuativi e degli accordi Stato-Regioni; il coinvolgimento effettivo delle parti sociali e degli Ordini professionali, in particolare nei processi formativi e nella definizione delle misure di prevenzione; e un coordinamento unitario tra Ispettorato del Lavoro, Inail, Regioni e Carabinieri, con interoperabilità dei sistemi informatici e condivisione delle banche dati
(Adnkronos) - Si è svolto presso l’Associazione della Stampa Estera l’Esg Day 2025 di Enav SpA, la Società che gestisce il traffico aereo civile in Italia. L’evento, dedicato al ruolo della sostenibilità e dei principi Esg nel settore della finanza e delle imprese, ha riunito rappresentanti del mondo istituzionale e finanziario, investitori, esperti di sostenibilità e stakeholder del Gruppo Enav, che hanno discusso l’evoluzione del quadro normativo europeo e le nuove sfide per aziende e mercati. Ad aprire i lavori è stata Alessandra Bruni, Presidente di Enav, che ha richiamato l’importanza del momento storico, segnato da una fase di assestamento normativo ma anche da nuove opportunità strategiche: “In una fase come questa, stretta fra regolamentazioni in via di assestamento, priorità economiche che cambiano e un dibattito pubblico che chiede risultati concreti, emerge la differenza tra chi considera la sostenibilità un adempimento formale e chi la vive come elemento strutturale della propria strategia industriale. La sostenibilità è parte integrante del Gruppo Enav e rappresenta il nostro modo di creare valore”. Il programma dell’Esg Day di Enav ha previsto un confronto tra Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo e coautore del libro “Ritrovare l’umano – Esg+H”, e l’Amministratore Delegato del Gruppo Enav, Pasqualino Monti. Il dialogo ha preso spunto proprio dalla centralità della “H”, che richiama Health, Human e Happiness, tre dimensioni fondamentali per ridefinire la sostenibilità in termini più umani e inclusivi. Monti ha focalizzato l’attenzione sulla centralità della persona nel percorso di crescita del Gruppo Enav e sulla visione futura della Società. L’AD ha ricordato l’importante piano di assunzioni di oltre 400 controllori di volo nei prossimi anni e il progetto strategico che Enav sta portando avanti nel Sud Italia, volto a creare nuove opportunità professionali per i giovani e rafforzare la presenza del Gruppo nei territori meridionali: “Essendo un’azienda di servizi ad alta specializzazione, le persone sono il nostro vero asset. Abbiamo avviato un importante piano di assunzioni, con un focus sul ricambio generazionale e sull’attrazione di nuovi talenti, perché innovazione e crescita passano dalla professionalizzazione e dalla formazione continua. Nel nostro settore la tecnologia rappresenta un ausilio all’uomo, non una sostituzione. L’innovazione, se governata bene, non sostituisce il lavoro: lo evolve”. Il progetto di Enav, nello specifico, prevede accordi con le principali università del Mezzogiorno, tra cui Palermo e Napoli. ENAV sta contribuendo allo sviluppo di percorsi formativi altamente specializzati e coerenti con le sue esigenze operative e tecnologiche. Grazie a questo progetto sono iniziate le prime assunzioni di giovani che potranno lavorare senza doversi spostare. L’obiettivo è chiaro: offrire ai giovani del Sud concrete opportunità professionali senza costringerli a lasciare il proprio territorio, valorizzando al contempo le eccellenze locali. Nel corso dell’evento, l’intervento di Patrizia Celia, Responsabile Large Caps, Investment Vehicles & Sustainable Finance Partnership di Borsa Italiana, ha introdotto i temi principali su cui è stata incentrata la tavola rotonda “Gli impatti Esg nel nuovo scenario” – con la partecipazione di Nadia Giuliani di Inarcassa, Concetta Testa di Cassa Depositi e Prestiti e Davide Tassi di Enav. I relatori hanno approfondito i cambiamenti introdotti dal nuovo contesto europeo e la necessità per le imprese di adottare strategie Esg integrate e orientate alla catena del valore, evidenziando come, nonostante lo slittamento dell’entrata in vigore di alcune normative come la Csrd, la sostenibilità continui a rappresentare un fattore competitivo, rafforzato da un mercato della finanza sostenibile che nel 2025 raggiungerà un valore stimato di 13,4 trilioni di dollari.