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(Adnkronos) - Morto il giornalista statunitense Peter Gregg Arnett, uno dei più celebri e all tempo stesso controversi corrispondenti di guerra del Novecento, vincitore del Premio Pulitzer e volto storico del giornalismo internazionale: aveva 91 anni. E' deceduto a Newport Beach, in California. A confermare la notizia della scomparsa è stata la figlia Elsa, precisando che la causa della morte è stata un tumore alla prostata. Corrispondente di guerra intrepido, Arnett si impose all'attenzione mondiale durante la guerra del Vietnam, raccontata dal fronte per l'Associated Press, lavoro che gli valse il Pulitzer. In seguito divenne uno dei reporter televisivi più riconoscibili al mondo, seguendo guerre e insurrezioni per oltre 18 anni con la Cnn, spesso in prima linea, nei momenti più drammatici dei conflitti contemporanei. Arnett è stato una figura centrale del racconto dei conflitti della seconda metà del XX secolo, un giornalista che ha contribuito in modo decisivo a ridefinire il ruolo dell'inviato di guerra e il rapporto tra informazione, potere e opinione pubblica. Il suo stile diretto, talvolta discusso, ha lasciato un segno profondo nel modo di fare informazione dai fronti di guerra. Dalle giungle del Vietnam all'Iraq, dove intervistò il presidente Saddam Hussein e fu due volte tra gli ultimi giornalisti televisivi occidentali a restare a Baghdad - all'inizio della Guerra del Golfo nel 1991 e durante l'invasione della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003 - Peter Arnett ha infranto regole e dato notizie esclusive, facendo infuriare leader politici e ispirando generazioni di reporter. In oltre 45 anni di carriera, Arnett ha raccontato 17 guerre in Asia, Medio Oriente, Europa e America Latina. Prima per l'Associated Press, poi per la Cnn e altre testate televisive e della carta stampata, ha realizzato documentari, scritto due libri, tenuto conferenze in tutto il mondo e nel 1997 ha intervistato Osama bin Laden, leader di Al Qaeda, in un luogo segreto dell'Afghanistan. Il suo primo grande scoop risale al 1960: un colpo di stato in Laos. Quando i carri armati bloccarono l'ufficio del telegrafo a Vientiane, Arnett si tuffò nel Mekong e nuotò fino in Thailandia per trovare una linea aperta con cui trasmettere la notizia all’Associated Press. "Avevo la storia battuta a macchina, il passaporto e venti banconote da dieci dollari stretti tra i denti", raccontò più tardi. "Mi credevano pazzo, ma per me aveva senso: dovevo far uscire la notizia il più in fretta possibile". Arnett era un ribelle del giornalismo: diffidava dell'autorità, si assumeva rischi calcolati, accettava la censura pur di raccontare i fatti dal campo e, quando lo riteneva necessario, metteva da parte la pretesa neutralità. Fu spesso accusato di simpatizzare con i nemici degli Stati Uniti in Vietnam e in Iraq. Negli ultimi anni di carriera incappò anche in gravi controversie. Lasciò la Cnn nel 1999 dopo un servizio su una presunta atrocità della guerra del Vietnam che si rivelò infondata, e venne licenziato dalla Nbc nel 2003 per aver dichiarato alla televisione di Stato irachena che il piano militare della coalizione stava fallendo. Neozelandese di nascita, autodidatta e avventuriero, Arnett trovò la sua consacrazione professionale in Vietnam, dove lavorò per un decennio. Nel 1966 vinse il Premio Pulitzer per il giornalismo internazionale grazie ai suoi reportage di guerra, tra cui il racconto di un capitano americano costretto ad assistere impotente al massacro dei propri uomini. Non aveva nulla dell’eroe romantico. Un osservatore lo descrisse come "uno spaventapasseri in mezzo a un campo di grano". Ma seppe cogliere l’essenza della guerra. Nel 1968, nella città di Ben Tre, riportò la celebre frase di un maggiore americano: "Si è reso necessario distruggere la città per salvarla", diventata il simbolo delle contraddizioni del conflitto vietnamita. Mentre Washington parlava di vittorie e di una "luce in fondo al tunnel", Arnett raccontava dal fronte sconfitte e rovesciamenti, mettendo in discussione le versioni ufficiali e anticipando il fallimento della strategia americana. Il presidente Lyndon B. Johnson e il generale William Westmoreland tentarono invano di farlo allontanare. Nel 1975, mentre Saigon cadeva e gli ultimi occidentali fuggivano, Arnett rimase in città, raccontando il panico nelle strade e il caos all'ambasciata americana, con gli elicotteri carichi di profughi che decollavano dal tetto. Continuò a riferire anche dopo la vittoria del Vietnam del Nord. Nel 1981 entrò alla Cnn, allora una giovane emittente all-news. Seguì conflitti in America Centrale, Medio Oriente e Africa, ma fu la Guerra del Golfo a renderlo una figura globale. Rimasto solo a Baghdad nel gennaio 1991, divenne per giorni la voce e gli occhi del mondo occidentale sotto i bombardamenti. I suoi collegamenti telefonici dall'hotel Al Rashid, tra sirene e esplosioni, furono paragonati alle cronache di Edward R. Murrow durante il blitz su Londra nella Seconda guerra mondiale. Celebrato e premiato, Arnett fu anche duramente criticato: per molti politici americani era un megafono della propaganda di Saddam Hussein. Lui respinse sempre l'accusa: "Ho solo raccontato quello che vedevo". Nel 1997 realizzò una lunga intervista filmata a Osama bin Laden, che anni prima dell'11 settembre minacciò apertamente una jihad contro gli Stati Uniti. "Vedrete e sentirete parlare dei nostri piani", disse il leader di Al Qaeda. La sua carriera subì un colpo definitivo nel 2003, quando accettò di parlare alla tv irachena durante l'invasione americana, lodando la resistenza di Baghdad. Licenziato, non riuscì più a ritrovare il ruolo centrale di un tempo. Nato nel 1934 a Riverton, in Nuova Zelanda, Arnett lasciò la scuola a 17 anni per lavorare in un quotidiano locale. Dopo un percorso che lo portò dall'Australia alla Thailandia, approdò definitivamente all'Associated Press nel Sud-est asiatico. Si sposò con Nina Nguyen, dalla quale ebbe due figli. Ritiratosi nel 2007, insegnò giornalismo in Cina e pubblicò due memoir. Come scrisse il Los Angeles Times, la sua carriera dimostra che, al di là della tecnologia, il buon giornalismo si fonda sempre sulle stesse qualità: intuito, coraggio, ingegno e determinazione. Qualità che Peter Arnett ha incarnato fino in fondo. (di Paolo Martini)
(Adnkronos) - "Ringrazio le Acli per il loro impegno sociale così importante e anche per aver organizzato il LaborDì, che è sempre un appuntamento molto bello e utile innanzitutto per i ragazzi, che hanno la possibilità di avere un assaggio del mondo del lavoro, di incontrare aziende e imprese e di capire come possono fare per entrare in questo mondo, che è un tema fondamentale”. Lo ha detto Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, in occasione dell’edizione 2025 di LaborDì, l’evento promosso dalle Acli di Roma dove i giovani incontrano il mondo del lavoro. "Noi stiamo lavorando molto per rafforzare la capacità della nostra città e del nostro territorio di offrire lavoro di qualità, creando più opportunità, ma anche cercando di alzare il livello del lavoro, che troppo spesso nelle nostre città è precario, non di qualità e sottopagato - spiega il sindaco di Roma - È importante che a Roma si creino tanti posti di lavoro e ne stiamo creando tanti. Stiamo diventando nel tempo la locomotiva d'Italia da questo punto di vista, grazie anche ai tanti investimenti, al boom turistico e al sostegno alle imprese, ma al tempo stesso stiamo cercando di avere un lavoro di maggiore qualità". "Inoltre, è fondamentale questo nesso tra la comunità educante, il percorso formativo e l'ingresso nel mercato del lavoro”. Esempi di questa collaborazione virtuosa sono “il Labordì, i nostri Job Day, i Centri di orientamento al lavoro, l'impegno insieme alle scuole per accompagnare la crescita e l'ingresso nel mercato del lavoro” spiega Gualtieri. "Entrare nel mondo del lavoro non significa soltanto avere una retribuzione per delle prestazioni, ma è un passaggio fondamentale nel percorso per un'autonomia e per la dignità della persona - conclude - Per noi il lavoro è innanzitutto un grande elemento che dà dignità e piena cittadinanza alle persone e dobbiamo essere la capitale della buona occupazione".
(Adnkronos) - Mundys mette in campo una nuova società Benefit dedicata alla lotta al cambiamento climatico. Neya, questo il nome del nuovo asset controllato al 100%, sarà focalizzata sulla selezione e adozione di iniziative prevalentemente “nature based” per la rimozione del carbonio, con l’obiettivo di produrre crediti CO2 utili per la decarbonizzazione delle infrastrutture di trasporto nelle quali opera Mundys, a livello globale. Sono limitate, ad oggi, le società nate in Europa con l’obiettivo della rimozione di CO2; ciò ha motivato la scelta di Mundys di avviare questa iniziativa sperimentale, allo scopo di verificare la solidità di questa innovativa branca di business. Il valore del mercato internazionale dei crediti di carbonio nel 2024 è stato di circa 115 miliardi di dollari, per il 2030 le stime prevedono circa 300 miliardi di dollari, con possibilità di crescita fino a oltre 500 miliardi. E’ in questo contesto che Neya si inserisce con la propria missione per la rimozione permanente di CO2 dall’atmosfera, attraverso soluzioni come il rimboschimento e la gestione sostenibile di foreste e terreni agricoli, promuovendo la sostenibilità ambientale e sociale. Neya diventa immediatamente operativa in Madagascar con la promozione di un progetto di riforestazione per 500 ettari lungo le coste a Nord dell’isola (nelle zone di Sofia e Melaky). Il ripristino delle piantagioni in aree deforestate localmente negli ultimi decenni contribuirà alla rimozione di CO2, grazie alla particolare tipologia di piante prescelte. Le mangrovie, infatti, sono foreste costiere tropicali formate da alberi e arbusti capaci di vivere in acque salmastre tipicamente lungo le coste, le foci dei fiumi e le lagune. Hanno radici aeree che spuntano dal fango o dall’acqua e sono fondamentali perché proteggono le coste dall’erosione e dalle tempeste, ospitano molte specie di pesci, uccelli e crostacei, e immagazzinano grandi quantità di carbonio. Il progetto, denominato “Ma Honko”, si avvale di un’azienda locale che genererà occupazione sul territorio nello spirito di produzione di valore lungo la filiera, al centro della strategia di business sostenibile della visione di Mundys. L’attività detiene i requisiti per ottenere la certificazione Gold Standard, ente internazionale che attesta la qualità e la credibilità dei progetti che riducono le emissioni di gas serra, assicurando al contempo benefici sociali e ambientali misurabili. I crediti di carbonio generati, nel tempo, potranno così contribuire a compensare le emissioni delle infrastrutture di Mundys, a loro volta in corso di progressiva riduzione grazie all’esecuzione del framework di sostenibilità messo in campo dalla Capogruppo. Una strategia, quella ESG di Mundys, trasparente e responsabile e che le ha appena nuovamente fatto conseguire – per il terzo anno consecutivo – il livello A-list, massimo score rilasciato da CDP (ex Carbon Disclosure Project), rating internazionale di riferimento per la valutazione delle performance climatiche e ambientali su oltre 25.000 aziende. Lungo la roadmap di sostenibilità della Capogruppo sono molti i traguardi segnati fin qui, anche in termini di leadership innovativa, solco nel quale Neya sembra segnare il prossimo passo. Mundys è stata, infatti, tra le prime società in Italia a dotarsi di un Climate Action Plan per promuovere la transizione energetica e la decarbonizzazione delle attività economiche lungo tutta la catena del valore in ambito aeroportuale, autostradale e dei servizi di mobilità, ponendosi obiettivi chiari e concreti, tra i quali l’azzeramento delle emissioni nette dirette (Scope 1 & 2) entro il 2040.