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(Adnkronos) - Fedez attacca, Luis Sal risponde. Non accennano a placarsi le polemiche tra il rapper e lo youtuber, ancora al centro di una disputa che atttraversa in social ma sfocierà, di nuovo, in tribunale. Al centro della discussione i podcast 'Muschio Selvaggio', fondato proprio da Fedez e Luis Sal, e 'Pulp Podcast', condotto dallo stesso Fedez dopo l'addio e Mr Marra. L'accusa di Luis Sal verso l'ex socio è quella di aver creato un format troppo simile a quello di Muschio Selvaggio, e a riportare il tutto sono stati proprio i due conduttori di Pulp Podcast. "Il buon Luis Sal, insieme al suo entourage, ci ha denunciato, sostenendo che 'Pulp Podcast' sia un plagio di 'Muschio Selvaggio'", ha raccontato Fedez in un video pubblicato sulla pagina Instagram del podcast, "vorrebbero ricevere i denari che abbiamo guadagnato facendo questo podcast. Oggettivamente è folle la richiesta da parte di Luis". Poi Fedez si è rivolto direttamente allo youtuber: "Se tu non eri quello interessato al denaro, perché adesso devi cagare il c***o a casa nostra e chiederci soldi di cose che stiamo facendo noi e di cui tu non hai il minimo merito. Anzi hai solo il merito di averci fatto iniziare da zero da una salita dieci volte più ripida di quella che doveva essere, di questo io ti ringrazio perché caratterialmente mi ha forgiato questa cosa". "Credo Luis che tu debba fare pace con il rapporto che hai col denaro, sei solito a fare queste cause per cercare di racimolare dei denari. Non l’hai fatto solo con me, l'hai fatto anche con persone che incredibilmente, senza senso di vergogna e dignità, poi fingono pure di essere tuoi amici in pubblico, non funziona così con noi. Dovresti saperlo", ha concluso il rapper. A stretto giro è arrivata la replica di Luis Sal: "Pulp ha risposto alla sua stessa causa, a cui noi avevamo risposto in vari punti. Loro hanno preso due o tre punti e ci hanno fatto un video perché sanno che le persone si fermano alla copertina e non approfondiscono", ha spiegato in una live. "Io quando ho preso Muschio l'ho preso per il valore che aveva prima, al di là del potenziale che può avere in futuro. Lui mi ha offerto una cifra a cui io ho detto no e allora mi sono ripreso Muschio, che mi è stato affidato da un giudice".
(Adnkronos) - "La sentenza, tenendo ben conto del frastagliato quadro europeo, caratterizzato dalla compresenza di Paesi 'a salario minimo legale' e di Paesi - come l'Italia, la Danimarca e la Svezia - il cui sistema salariale è integralmente basato sulla contrattazione collettiva, conferma l’impostazione della direttiva. Si tratta di un scelta di fondo che risponde, sul piano sovranazionale, al principio di sussidiarietà orizzontale, che impone di privilegiare le fonti più vicine alla realtà da regolare, ricorrendo a quelle legali solo se strettamente necessario. E, sul piano costituzionale, almeno nella esegesi costituzionale italiana, al principio di libertà sindacale. Questi limiti attinenti al sistema delle fonti europee e nazionali, peraltro, non hanno impedito alla Corte di Lussemburgo di rigettare le rivendicazioni di sovranità politica svolte dai Paesi ricorrenti, affermando che ai Paesi come Danimarca e Italia, che definiscono i salari minimi esclusivamente tramite contratti collettivi, la direttiva 'non impone l’obbligo di introdurre un salario minimo legale né di dichiarare i contratti collettivi universalmente applicabili'. Il che assolve il Governo italiano dall’obbligo di introdurre la gran parte delle riforme la cui mancata adozione gli si imputa". Così, con Adnkronos/Labitalia, il giuslavorista e consigliere esperto del Cnel, Francesco Rotondi, sulla decisione della corte di giustizia dell'Unione Europea (Cgue) che ha respinto parzialmente, ma nelle sue parti più rilevanti, il ricorso presentato dalla Danimarca e dalla Svezia per ottenere l'annullamento integrale della direttiva 2022/2041 dell'Unione Europea sul salario minimo. Per Rotondi l'impostazione della direttiva "è mirante a rafforzare, con tecniche diverse, sia i sistemi 'a salario minimo legale', sia quelli 'a regime contrattuale', senza incidere sulla scelta del sistema da parte dei Paesi membri". Secondo Rotondi "agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi fissati per legge è rivolta invece la parte della sentenza in cui, con chirurgica precisione, la Corte ha isolato dal contesto generale, per annullarle, due specifiche disposizioni della direttiva, che sono state ritenute troppo invasive delle competenze riservate ai Paesi Membri". "In effetti, premesso che il diritto degli Stati Membri esclude espressamente la competenza Ue in materia di retribuzioni e diritto di associazione, il ricorso -spiega il giuslavorista. mirava ad annullare l’intera direttiva che rappresenterebbe un'ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno degli Stati membri'. La Corte non ha condiviso tale radicale impostazione, stabilendo che la norma europea si applica solo alle misure che comportano una 'diretta ingerenza del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni'. Al contrario, la direttiva -continua il giuslavorista- mira a “migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori”, e pertanto esse sono state per lo più ritenute compatibili con la ripartizione delle competenze prevista dal Trattato". Secondo Rotondi "va soprattutto segnalato il rigetto del ricorso relativo all’art. 4 della direttiva, sul punto in cui la direttiva promuove la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. La Corte ha escluso, cioè, che l’obbligo per gli Stati membri con bassa copertura contrattuale (inferiore all’80%) di elaborare un 'piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva' costituisca un’ingerenza diretta nel 'diritto di associazione' o nelle retribuzioni", conclude.
(Adnkronos) - A2a estende l’orizzonte territoriale del Piano Strategico oltre i confini nazionali, puntando a una maggiore diversificazione geografica. Nell'aggiornamento del piano strategico al 2035 si prevede l'espansione in nuovi Paesi selezionati in base al potenziale di mercato e a criteri di rendimento e velocità di sviluppo, per ridurre il rischio di esecuzione e massimizzare il ritorno. ''Le iniziative di espansione -si sottolinea-saranno selezionate come alternative a progetti in Italia e a parità di investimento. I progetti saranno focalizzati sui settori chiave delle filiere Waste-to-Energy e Power, sfruttando le competenze distintive di A2A nel recupero di energia da rifiuti e nella generazione e valutando l’integrazione delle attività a monte e a valle. Questo approccio multi-filiera permetterà un percorso di crescita sostenibile all’interno dei Paesi selezionati. La strategia del Gruppo si basa su un modello di "anchoring platform", con un’internazionalizzazione che avverrà attraverso acquisizioni o partnership nelle filiere prioritizzate, seguita da uno sviluppo organico a step successivi per consolidare la presenza nel medio-lungo termine''.