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(Adnkronos) - Sono circa 6 milioni e 400mila (il 31,9%) le donne italiane dai 16 ai 75 anni di età che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita (a partire dai 16 anni di età). Il 18,8% ha subìto violenze fisiche e il 23,4% violenze sessuali; tra queste ultime, a subire stupri o tentati stupri sono il 5,7% delle donne. E' quanto emerge dai primi risultati del report 2025 'La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia' dell'Istat. Il 26,5% delle donne ha subito violenza fisica o sessuale da parenti, amici, colleghi, conoscenti o sconosciuti. Considerando le donne che hanno un partner o lo hanno avuto in passato, sono il 12,6% le donne vittime di violenza fisica o sessuale nell’ambito della coppia. Dai partner si subisce anche violenza psicologica (17,9%) e violenza economica (6,6%). Nel 2025, il numero di vittime di violenza fisica o sessuale nei cinque anni precedenti l’intervista è sostanzialmente stabile rispetto allo stesso dato rilevato nel 2014. Gli importanti aumenti delle violenze subite dalle giovanissime (16-24 anni) e dalle studentesse non modificano il dato medio. Il quadro fornito dai risultati dell’indagine evidenzia una maggiore consapevolezza dei rischi da parte delle donne; si registra, infatti, una diminuzione delle esperienze di violenza subite dal partner attuale, sia di natura fisica e sessuale sia psicologica ed economica. Una maggiore consapevolezza si manifesta anche nell’aumento delle vittime che considerano un reato quanto hanno subito e di quelle che ricercano aiuto presso i Centri antiviolenza e i servizi specializzati, soprattutto per le violenze subite da parte dei partner. Rimangono stabili invece i comportamenti di denuncia (10,5% le vittime che hanno denunciato la violenza subita da parte dei partner o ex partner negli ultimi cinque anni), diminuiscono le violenze che hanno comportato delle ferite e per cui si teme per l’incolumità della propria vita. I partner, attuali ed ex, sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate, con quote superiori al 50% (fatta eccezione per le minacce), e di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro nonché i rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura delle conseguenze. Il 63,8% degli stupri, infatti, è opera di partner (il 59,1% degli ex partner, il 4,7% del partner attuale), il 19,4% di un conoscente e il 10,9% di amici. Solo il 6,9% è stato opera di estranei alla vittima (Prospetto 2). I tentati stupri, oltre a quelli subiti da parte dell’ex (29,9%), sono perpetrati più da conoscenti (24,1%), amici (13,4%) ed estranei (17,2%). Nel 2025 è stato rilevato per la prima volta, come peraltro avviene in ambito internazionale, una forma di stupro che accade in contesti particolari, quando la vittima non è in grado di rifiutare e di opporre resistenza perché è stata drogata o è sotto l’effetto di alcool; tale situazione riguarda l’1% delle donne ed è riconducibile in prevalenza a ex partner (38,9%), conoscenti (35,3%), amici (23,4%) e sconosciuti (8,3%). Il 19,2% delle donne ha subito molestie sessuali. Nel 58,7% di questi casi ciò è avvenuto per mano di uno sconosciuto e nel 19,5% da parte di un conoscente. Considerando la diffusione delle violenze fisiche e sessuali negli ultimi cinque anni, le donne nubili sono le più esposte al rischio di subire violenza (22,4%, Prospetto 5): sono circa il doppio le nubili che subiscono la violenza sia dai partner (7,9% rispetto al 3,9% del valore medio, calcolato sulle donne con partner attuale o precedente) sia dai non partner (19,1% contro 8,7%). Seguono le donne separate o divorziate (10,3%) che, sebbene presentino tassi minori rispetto al 2014, subiscono livelli più elevati di violenze da parte dei partner (5,7%, a fronte di una media del 3,9%). Al contrario subiscono meno violenze da uomini non partner (5,6% contro 8,7% della media), confermando la maggiore esposizione alla violenza all’interno della relazione di coppia. Percentuali più alte della media si riscontrano per le studentesse (36,2%) e le donne più giovani di 16-24 anni (37,6%) e 25-34 anni. Lo stesso avviene anche per le laureate (13,9%) e le diplomate (12,2%). Tra le laureate di 25-34enni la percentuale di violenza negli ultimi cinque anni arriva a 41,7%, tra le diplomate di 16-24enni raggiunge il 48%. La prevalenza tra le donne con titolo di studio elevato è inoltre legata alla maggiore vittimizzazione di queste donne da parte di autori non partner (10,8% contro 8,7% della media da non partner), mentre la differenza tra titoli di studio non emerge per le violenze subite nella coppia. Confrontando i dati del 2025 con quelli del 2014, emerge un aumento significativo delle violenze subite dalle giovanissime (donne di 16-24 anni), che passano dal 28,4% al 37,6%, a fronte della diminuzione o stabilità registrata nelle altre classi di età. L’incremento riguarda in particolare le violenze di natura sessuale, che crescono dal 17,7% al 30,8% (Figura 3), mentre le violenze fisiche mostrano variazioni più contenute. Andamenti simili si riscontrano anche per le studentesse. L’aumento interessa tutti i tipi di autore, ma risulta più marcato per le violenze perpetrate dagli ex partner, che passano dal 5,7% nel 2014 al 12,5% nel 2025, e per quelle commesse da uomini non partner, che salgono dal 15,3% al 28,6% nello stesso periodo. Le violenze subite, sempre in base al report dell'Istat, variano per livello di gravità: per quelle fisiche si va dalle minacce ai tentativi di strangolamento o soffocamento, mentre per quelle sessuali si passa dalle molestie con contatto fisico non voluto (19,2%) fino agli stupri o ai tentati stupri (5,7%). Le donne subiscono violenza sia nella coppia (12,6% delle donne che hanno o hanno avuto partner) sia al di fuori della coppia (26,5% delle donne) da altri uomini come parenti, amici, colleghi, conoscenti o sconosciuti. Sono soprattutto gli ex partner a risultare responsabili delle violenze fisiche o sessuali: ciò accade per il 18,9% delle donne che al momento dell’intervista avevano un ex partner. Le donne attualmente in coppia hanno subito la violenza dal marito, convivente o fidanzato nel 2,8% di chi ha un partner. Inoltre considerando le donne che hanno sia ex sia un partner attuale, lo 0,3% le ha subite da entrambi. Circa 2 milioni 441mila donne hanno subito nel corso della vita violenze fisiche o minacce da parte di parenti, amici, colleghi, conoscenti o sconosciuti, il 12,2% delle donne dai 16 ai 75 anni di età. Il 20,8% delle donne ha subito anche almeno una forma di violenza sessuale, circa 4milioni 174mila. Tra queste le molestie fisiche di natura sessuale sono più di 3milioni 800mila, ricevute dal 19,2% delle donne. Le forme più gravi, gli stupri e i tentativi di stupro, circa 705.500, sono state subite dal 3,5% delle donne. All’interno della coppia, 323.530 donne vivono situazioni legate ai maltrattamenti fisici (il 2,2% delle donne attualmente con un partner), 146.271 alle violenze sessuali (l’1%), che sono stupri o tentati stupri in quasi 39mila casi. Sono circa 1milione 720mila le donne che hanno subito violenza fisica da parte dell’ex partner, pari al 15,9% delle donne con un ex. Le violenze sessuali subite dagli ex sono quasi 950mila, pari all’8,7% delle donne che hanno avuto partner in passato. Per violenza da un ex partner, si sottolinea nel report dell'Istat, si considera sia quella esercitata durante la relazione di coppia sia quella effettuata dopo la fine della relazione di coppia. Tuttavia, nella larga maggioranza dei casi (84,1%) le violenze degli ex partner si sono verificate durante la relazione di coppia. Va sottolineato inoltre che le donne che avevano un partner violento al momento dell’intervista, in quasi la metà dei casi (45,9%) lo hanno lasciato proprio a causa delle violenze subìte, mentre per un altro 26,3% la violenza è stata solo una delle motivazioni della separazione. Il 6,6% delle donne inoltre hanno subito la violenza sia nella coppia sia da parte di altri uomini, e circa un terzo ha subito sia violenze fisiche sia sessuali. L’11,0% delle donne di 16-75 anni sono state minacciate di essere colpite fisicamente , il 10,5% sono state spinte, strattonate, afferrate, è stato loro storto un braccio o sono stati loro tirati i capelli, il 5,6% è stata colpita con oggetti e una quota del tutto analoga è stata schiaffeggiata, presa a calci, pugni o morsi; meno diffuse le forme più gravi di violenza fisica come l’uso o la minaccia di usare pistola o coltelli (1,6%) o il tentativo di strangolamento o soffocamento e ustione (1,6%). Per la violenza sessuale, emergono al primo posto le molestie con contatto, seguite dai rapporti sessuali non desiderati (4,5%), lo stupro (3,9%), il tentato stupro (3,1%), i rapporti sessuali degradanti e umilianti (1,6%). In misura più ridotta le donne hanno subito rapporti sessuali quando non erano in grado di rifiutarsi e opporsi (1%), sono state costrette o si è tentato di costringerle ad avere attività sessuali con altre persone (0,4%) o hanno subito altre forme di violenze sessuali (0,2%). Alle violenze fisiche e sessuali si aggiungono gli atti persecutori, lo stalking , prevalentemente attuati al momento o dopo la separazione dagli ex partner (14,7%) sia al di fuori della coppia, da parte di altri autori (9%). Per le donne che sono o sono state in coppia va aggiunta la violenza psicologica (17,9%) e la violenza economica (6,6%).
(Adnkronos) - E’ la patria della paella, il più internazionale dei piatti spagnoli, e la sua cucina esprime quanto di meglio ha da offrire la Dieta mediterranea. Con un’offerta culinaria che spazia dalle conviviali tapas al fine dining, dallo street food alle risotterie, Valencia è una vera meta per foodies. La terza città della Spagna riflette proprio nella tradizione gastronomica i suoi oltre duemila anni di storia, che hanno visto passare Romani, Visigoti, Musulmani e Cristiani. Che sia per un pellegrinaggio nella Cattedrale dove è custodito il Santo Calice o per una passeggiata tra le architetture avveniristiche dell’archistar Calatrava alla Città delle Arti e della Scienza, il turista in visita a Valencia, su tutte, ha un’esperienza d’obbligo, quella gourmet. E se tra gli edifici gotici e barocchi della Ciutat Vella la scelta non manca, a dare una mano ad orientarsi tra le infinite proposte torna in questi giorni una iniziativa imperdibile per gli amanti del buon mangiare: il Festival Cuina Oberta (https://valenciacuinaoberta.com/). Per dieci giorni, dal 20 al 30 novembre, si possono gustare i menu creati dagli chef di 68 ristoranti della città con prezzi fissi che rendono l'esperienza ancora più appetitosa: 28 euro per il pranzo, 36 per la cena e opzioni gourmet da 48 e 56 euro rispettivamente. Anche i ristoranti stellati Michelin partecipano con menù esclusivi a 80 e 100 euro. E Cuina Oberta non significa solo mettersi a tavola, ma anche partecipare a 16 esperienze originali come laboratori gastronomici, degustazioni e attività speciali per assaporare l'autentica gastronomia valenciana in mille modi. Piatti che combinano tradizioni secolari con le creazioni più innovative degli chef locali. “A Valencia abbiamo otto ristoranti stellati, di cui due con 2 Stelle Michelin e chissà che non ci sia qualche new entry nella Guida del nuovo anno che si presenta fra qualche giorno. Tra l’altro, lo chef Ricard Camarena ha anche la ‘stella verde’ ed è appena stato decretato come il 6° migliore ristorante di vegetali al mondo. Il Festival Cuina Oberta si tiene due volte l’anno, in primavera e in autunno, e propone menù speciali che attraggono anche molti turisti. E gli italiani a Valencia rappresentano il primo mercato come presenze”, sottolinea Leticia Colomer, International Pr & Markets Manager di Visit Valencia (per tutte le informazioni si può visitare il sito www.visitvalencia.com/it e la pagina dedicata del portale dell’Ente Spagnolo del Turismo www.spain.info). Nota come ‘Dispensa del Mediterraneo’, Valencia, che è stata nominata Capitale verde europea nel 2024, ha un modello di sostenibilità anche alimentare. Grazie all’abbondanza di prodotti freschi di stagione provenienti dalle acque del Mediterraneo e dalle coltivazioni che circondano la città, nei 20mila ettari della cosiddetta Huerta e nel parco naturale dell’Albufera, dove dai tempi degli arabi si coltivano diverse varietà locali di riso, ingrediente principe per la paella. E proprio il riso è un piatto centrale nella gastronomia locale (c’è persino il Museo del riso, in un mulino del XX secolo restaurato per mostrare il processo di lavorazione), che viene preparato in oltre 40 modi diversi. A cominciare dalla paella (dal nome della padellona a due manici in cui viene cucinata), che nella versione originale valenciana è a base di carne (pollo e coniglio) e verdure (fagioli garrofó e fagiolini piattoni), lumache e aggiunta di pomodoro grattugiato e un pizzico di paprika, oltre ovviamente al riso, cotto a fuoco vivo e tanto meglio se si attacca a formare uno sottostrato croccante, che ha tanto di nomignolo (socarrat). Ma ci sono tanti altri piatti a base di riso locale, grandi classici come l’arroz a banda, chiamato così perché tradizionalmente il pesce con cui era stato preparato il fumetto veniva servito a un lato (a banda, in valenciano); l’arroz del senyoret, con i gamberi già sgusciati in modo che il ‘cliente-signorino’ non si dovesse sporcare le mani; o l’arroz negro, fatto con il nero di seppia che dà l’inconfondibile colorazione scura; l’arroz al horno (riso al forno), con costine di maiale, pancetta fresca, morcilla (salsiccia di sanguinaccio), pomodoro, patate, ceci. Un’alternativa al riso è la fideuà, servita come la paella ma preparata con spaghettini cortissimi e condita con frutti di mare. A parte il riso, fra i piatti tradizionali valenciani ci sono stufati di pesce come il suquet de peix o all i pebre con le anguille. Dal mare provengono crostacei e molluschi, poi pesci sotto sale e baccalà. In pasticceria molto usati mandorle e miele, retaggio arabo. Il modo migliore per toccare con mano la ricca varietà di ortaggi e di pesce locali è visitare uno dei mercati della città, punto di osservazione privilegiato per immergersi nella vita dei locali e sempre più frequentati dai turisti a caccia di esperienze. Il più importante è sicuramente il Mercato centrale, che è il più grande di prodotti freschi d’Europa. Ospitato in un edificio modernista costruito tra il 1914 e il 1928, la sua facciata spicca al centro di una delle piazze principali della città. Una struttura costituita da colonne in ferro che ricordano la Torre Eiffel, piastrelle e vetrate, ricca di decorazioni ispirate ai prodotti del frutteto e ai giardini di Valencia. In oltre 8mila metri quadrati di superficie trovano posto più di 250 bancarelle, tutte rigorosamente riservate alla vendita dei prodotti perché in questo mercato il cibo si può solo comprare e non consumare come ormai è in voga in moltissimi mercati europei (unica eccezione il Bar Central gestito dallo chef Ricard Camarena). Questo è il regno del Km 0, dove si possono trovare tutti i prodotti freschi degli orti valenciani e tutto il gusto del Mediterraneo, tra cui spiccano frutta e verdura, con arance, pomodori e fagioli in primo piano, e poi carne, formaggi, pesce, prosciutto, spezie, frutta secca. Un’esperienza diversa la offre un altro mercato, quello di Colon, nell’elegante quartiere Ensanche, anch’esso ospitato in un edificio modernista diviso in tre navate, che terminano ai due estremi con due archi giganti di mattoni e pietra. Su due piani, ospita alcuni negozi rinomati come Carnes Varea o Frutería Fina, ma soprattutto una ventina tra bar e ristoranti dove sedersi ai tavoli negli spazi aperti e chiusi. Tra i più noti Habitual dello chef Ricard Camarena, e poi Las Cervezas del mercado, dove degustare le birre artigianali locali, e la horchateria Daniel, una delle tante rivendite di Horchata, bevanda tipica rinfrescante e ricca di vitamine, prodotta con la chufa, un tubero che si coltiva da questi parti per le condizioni particolari del terreno. C’è poi un’altra bevanda che chiunque passi in città deve provare: la Agua de Valencia, un cocktail preparato con succo di arancia, cava, vodka e gin. Si serve in caraffa e si beve in coppa, e a volte la sua dolcezza può ingannare sul grado alcolico. Luogo di nascita di questo leggendario cocktail, che ha tanto di Denominazione di origine, è considerato il Cafè de Madrid, epicentro della società bohemienne valenciana negli anni ‘40 e oggi incorporato nel boutique hotel Marques House. Ma si può degustare anche al Cafè de las Horas, locale-bomboniera curato in ogni dettaglio, dove si beve tra quadri, specchi e broccati: impossibile non passare di qui anche solo per una foto. Se si vuole vivere una mattina da vero ‘local’, però, non può mancare l’esperienza dell’esmorzaret. Conviviale quanto le tapas ma meno ‘globalizzato’, è una sorta di brunch alla spagnola, che è considerato un vero e proprio rito: si consuma tra le 9 e le 12 (lo offrono diversi bar e ristoranti) e prevede un primo giro di arachidi e sottaceti, seguito da un maxi panino con farcitura a scelta, accompagnato da birra o vino o, ancora meglio, vino con gassosa. A chiudere un caffè ‘corretto’, il cremaet, con rum, buccia di limone, aroma di cannella e chicchi di caffè sul fondo. Il Km 0, dunque, è il vero leit motiv della cucina valenciana e che si ritrova anche nei ristoranti innovativi. E gli estimatori del fine dining non rimarranno delusi a Valencia, che ospita nomi di spicco della gastronomia spagnola. Uno su tutti è Ricard Camarena, considerato un vero e proprio alchimista degli ortaggi; nel suo locale nell’ex fabbrica di Bomba Gens, due stelle Michelin e tre soli della Guida Repsol, propone sapientemente una cucina vegetale, con prodotti coltivati nel proprio orto, che gli è valsa anche la stella verde Michelin, che premia l'impegno per la sostenibilità in campo gastronomico. E poi, vicino alla piazza del Municipio, si trova uno dei ristoranti di Quique Dacosta, El Poblet, con due stelle Michelin e due soli Repsol. I prodotti del mare, del frutteto e dell’Albufera sono alla base della cucina dello chef Luis Valls, che interpreta ricette e sapori tradizionali in versione alta cucina. Un altro locale di Quique Dacosta che merita sicuramente una visita è Llisa Negra: propone carni e pesce alla griglia, forno a legna e paella cotta su legno d'arancio. Cucina di prodotto anche presso Entrevins, che vanta un’ampia carta di vini della zona da vitigni autoctoni. Mentre non lontano dal Mercato di Colon, un’esperienza culinaria dove i piatti tradizionali sono rivisitati in chiave innovativa si può fare da Noble, locale di design dall’atmosfera sofisticata. Spostandosi dal centro, una passeggiata sul lungomare offre l’opportunità di vedere le rinomate spiagge di El Cabanyal, Malvarrosa e Patacona, con la moderna Marina di Valencia, con affaccio sulle onde, e di pranzare in uno dei ristoranti fronte mare. Come Casa Carmela, proprio accanto alla Casa Museo dello scrittore valenciano Blasco Ibanez, vero e proprio tempio della paella sfornata a gettito continuo dalla cucina a vista con i fuochi sempre accessi. Fuori dal centro si può abbinare la gastronomia al design scegliendo di mangiare o anche solo bere un caffè in una delle spettacolari strutture progettate dall’architetto valenciano Santiago Calatrava, che formano la Città delle Arti e della Scienza, luogo diventato simbolo della città, dove non manca l’offerta culinaria. Per restare in tema green, ad esempio, nel Caixa Forum risorto nel 2022 come centro multidisciplinare all’interno dell’edificio azzurro dell’Agorà, il punto ristoro è un giardino di piante aromatiche. Per i camminatori provetti, ci si arriva percorrendo i Giardini del Turia, il parco creato negli anni Ottanta lungo il vecchio letto del fiume dopo le trasformazioni che hanno fatto seguito a una delle storiche alluvioni che si sono abbattute sulla città e i suoi dintorni. L’ultima, quella catastrofica di giusto un anno fa, è ormai un brutto ma lontano ricordo e i turisti sono tornati a godere della proverbiale convivialità di questa città e della sua gustosissima cucina.
(Adnkronos) - "Il sistema di finanziamento della gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati (ovvero i pannelli installati in impianti che non beneficiano degli incentivi previsti dai Conti Energia) non potrà garantire il corretto trattamento di questi rifiuti: il contributo unitario 'segregato' per ciascun pannello non è infatti sufficiente a coprire tutti i costi di gestione (trasporto, rimozione delle sostanze inquinanti, riciclo) del pannello stesso". È quanto emerge dallo Studio 'La gestione nel rifiuto fotovoltaico in Italia: un nuovo modello di finanziamento' realizzato dal Laboratorio Ref Ricerche. “La gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è certamente l’aspetto più delicato del settore dei Raee - afferma Giorgio Arienti, direttore generale Erion Weee - Nei prossimi anni assisteremo a una crescita esponenziale delle quantità di pannelli che saranno dismessi: a ciascuno di questi pannelli è associato, in un trust di uno dei numerosi Consorzi Raee, un contributo del tutto insufficiente ad assicurare una corretta gestione. Per evitare un disastro ambientale è indispensabile modificare al più presto la normativa”. I numeri: entro il 2050 si stima che oltre ai 300 milioni di pannelli fotovoltaici già installati, altri 20 milioni di pannelli saranno allacciati alla rete. Nel giro di pochi decenni, il numero di pannelli destinati alla dismissione aumenterà di quasi trenta volte, con ricadute enormi per i detentori degli impianti, i consorzi e l’intera collettività. Si passerà dai circa 427mila pannelli smaltiti nel 2025 a oltre 12 milioni nel 2050, con un corrispondente incremento della quantità da trattare: da 9mila tonnellate a 264mila tonnellate annue di Raee fotovoltaici da smontare, trasportare e gestire correttamente. In base alla normativa vigente, il finanziamento del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è a carico dei Produttori di tali pannelli. "Al momento dell’immissione sul mercato di un pannello, il Produttore versa al Consorzio a cui aderisce un contributo - stabilito dal Consorzio stesso - che viene segregato in un trust; questo contributo (univocamente associato a quel pannello) sarà 'liberato' quando il pannello giungerà a fine vita, e sarà utilizzato per finanziare le attività di riciclo di quel pannello - spiega Erion in una nota - Negli ultimi anni, la 'caccia ai Produttori' ha spinto la maggior parte dei Consorzi Raee ad abbassare continuamente il valore del contributo chiesto per i pannelli fotovoltaici non incentivati: valori vicini a 1 euro non sono sufficienti per garantire il corretto trattamento di un pannello tra 10, 15 o 20 anni". “Lo studio fatto da Ref Ricerche solleva seri dubbi sulla sostenibilità economica del sistema oggi in vigore e sulla sua reale capacità di coprire i costi di gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati, dato che non è serio fare oggi una scommessa su quanto costerà smaltire un modulo tra vent’anni, poiché il potenziale valore delle materie prime in esso contenute è una assoluta incognita - continua Arienti - Certo, il totale delle risorse accantonate è ingente, ma il contributo unitario (quello che può essere utilizzato per la gestione del singolo pannello, a cui il contributo unitario è associato) non è sufficiente. È un paradosso: nei trust dei Consorzi ci sono milioni di euro, ma questa montagna di denaro non riuscirà ad assicurare un corretto riciclo dei pannelli”. Cosa accadrà? Secondo l'analisi, la mancanza di adeguate risorse finanziarie favorirà comportamenti opportunistici, come l’esportazione dei pannelli dismessi verso 'paesi emergenti' (privi di adeguati impianti di trattamento) o il loro abbandono nell’ambiente. Oltre ai rischi ambientali, questa gestione non corretta si porrebbe in contrasto con le direttive europee, che promuovono il recupero dei materiali (vetro, alluminio, silicio e argento) compromettendo lo sviluppo di una filiera circolare nazionale e trasformando una misura nata per garantire sostenibilità e responsabilità ambientale in un potenziale boomerang finanziario, sociale e ambientale. Sulla base delle evidenze dello studio di Ref Ricerche, Erion Weee propone l’adozione del modello di finanziamento generazionale - già utilizzato per tutte le altre tipologie di Raee Domestici - anche ai pannelli fotovoltaici: con questo modello, la responsabilità economica della gestione del fine vita è attribuita ai Produttori presenti sul mercato in ciascun anno, in proporzione all’immesso sul mercato nello stesso anno. Questo modello 'generazionale', che funziona in settori a bassissima crescita come quello dei frigoriferi o dei 'grandi bianchi', a maggior ragione funzionerebbe in un settore in costante, significativo sviluppo come quello del fotovoltaico: se un Produttore esce dal mercato, ci saranno certamente altri Produttori in grado di farsi carico - anno per anno - dei costi di una corretta gestione dei Raee fotovoltaici. Inoltre, nel lungo termine, si affiancheranno nuove tecnologie sostitutive che finanzieranno progressivamente il fine vita di tali rifiuti, come avvenuto in tante altre categorie di prodotti. “Il sistema impiantistico nazionale si sta già preparando ad accogliere volumi crescenti di pannelli da trattare, anche grazie agli investimenti del Pnrrr - conclude Arienti - È necessario che il modello di finanziamento venga adeguato a garantire la sostenibilità ambientale ed economica nel lungo periodo scongiurando lo scoppio di una bolla che creerebbe un danno economico, ambientale e reputazionale di dimensioni clamorose”.