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(Adnkronos) - Riparte la stagione sportiva invernale, con l'occhio alle prossime Olimpiadi Milano-Cortina 2026. Gli appassionati di sci sono pronti a tornare in pista. "Con l'avvio della stagione e la riapertura degli impianti sciistici in Italia si riapre anche il dibattito in merito alla preparazione fisica e alla prevenzione del rischio di infortunio. A livello mondiale si stima un'incidenza tra 1,9 e 3,5 incidenti per 1.000 giorni di sci per gli sciatori amatoriali, e considerando circa 400 milioni di giorni di sci in tutto il mondo capiamo come siano numeri importanti. Come in tutti gli altri sport, la chiave per minimizzare il rischio di infortunio è anche la preparazione fisica. In questo caso se vogliamo anche di più, perché lo sci è un'attività altamente complessa che richiede l'interazione tra sciatore, attrezzatura (scarpone, attacco, sci, bastoncini) e ambiente (neve, condizioni della pista, temperatura, impianti di risalita, altri sciatori)". A fare il punto per l'Adnkronos Salute è Andrea Bernetti, professore Medicina fisica e riabilitativa dell'università del Salento. "Oltre alla preparazione generale, variabili individuali come età, genere, peso, fitness, livello di abilità, affaticamento, attenzione, controllo neuromuscolare e precedenti infortuni o patologie sono considerati fattori importanti per il rischio di infortunio. Naturalmente esistono infortuni di tipo traumatico, legati alle cadute, per cui i dispositivi di protezione individuale, fra cui il casco, sono fondamentali - puntualizza Bernetti, segretario generale della Simfer (Società italiana di medicina fisica e riabilitativa) - Esistono poi infortuni da sovraccarico, soprattutto a carico delle articolazioni di ginocchio e anca, così come della colonna. Infortuni sicuramente più frequenti in chi ha anche delle condizioni cliniche latenti, come ad esempio l'artrosi o le discopatie del rachide. Inoltre nello sci c'è sicuramente un rischio maggiore di traumi distorsivi del ginocchio, per cui è fondamentale fare delle considerazioni biomeccaniche cruciali come ad esempio valutare l'angolo di flessione del ginocchio che ha una forte influenza sullo stress del legamento crociato anteriore, così come il rapporto di attivazione tra quadricipite femorale e ischiocrurali". "Consideriamo infatti come, a livello statistico, circa il 30% degli infortuni riguardi il ginocchio, in particolare nelle persone di sesso femminile, con il legamento collaterale mediale e il legamento crociato anteriore che sono le strutture maggiormente interessate in queste tipologie di trauma. Quindi è di sicura importanza fare una valutazione fisica, e anche medica, per arrivare preparati al momento di indossare di nuovo scarponi e sci", raccomanda il medico-fisiatra. Se invece valutiamo la popolazione under 18, "sebbene la popolazione pediatrica costituisca circa il 20-30% degli sciatori - precisa Bernetti - rappresenta una grande proporzione degli infortuni. Gli infortuni più comuni nella popolazione pediatrica sono le fratture (30%), seguite da traumi distorsivi (20%). I siti di frattura più comuni sono la gamba, seguita da spalla e braccio. In assoluto il rischio di fratture è maggiore nei più giovani, con le fratture che rappresentano il 35% degli infortuni nei bambini di età media pari a 13 anni, rispetto al 25% negli adolescenti (14-18 anni). Fra tutti i meccanismi di infortunio in questa fascia di popolazione, l'infortunio è sicuramente maggiormente legato alle cadute con impatto la neve". "Diventa quindi cruciale - conclude l'esperto - arrivare preparati alla stagione sciistica, usare l'attrezzatura e i dispositivi di protezione individuale appropriati, anche in considerazione delle caratteristiche individuali, con particolare attenzione all'età e alle eventuali patologie di cui si soffre, e naturalmente approcciare a questa attività con buon senso".
(Adnkronos) - Per un Giubileo che si sta per chiudere a Roma, ce ne è un altro che si è appena aperto. Si celebra in Spagna, a Valencia, che è uno dei sette centri giubilari del mondo (cinque sono proprio nel paese iberico, oltre a Roma e Gerusalemme). Conosciuta per le architetture avveniristiche dell’archistar Calatrava ma anche per i suoi edifici gotici e barocchi, nonché per essere la culla della paella, piatto nazionale, in pochi sanno però che questa che è la terza città della Spagna custodisce da ben seicento anni uno degli oggetti più venerati e misteriosi della storia: il Santo Graal o Santo Calice. La coppa che si ritiene, secondo studi storici e archeologici, possa essere quella utilizzata da Gesù nell’Ultima cena si trova infatti all’interno della Cattedrale di Valencia, dove è arrivata, dopo un lungo e tortuoso viaggio, nel 1437. Ma è solo nel 2015 che, per volere di Papa Francesco, a Valencia viene concesso l’Anno giubilare del Santo Calice, che si celebra ogni cinque anni e per dodici mesi offre ai fedeli e ai viaggiatori la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria. Quello che è iniziato ufficialmente il 30 ottobre e che terminerà il 29 ottobre 2026, quindi, è il terzo ma, considerando che la seconda edizione ha coinciso con il periodo della pandemia, è questa la prima vera occasione per far conoscere al mondo questo evento, il tesoro che lo ispira e soprattutto la città che lo ospita. Dalla sua fondazione da parte dei Romani nel 138 a.C., diverse culture hanno lasciato la loro impronta a Valencia; così, nel centro storico, la Ciutat Vella, si trovano reperti romani, resti di mura moresche, edifici gotici e rinascimentali, art nouveau e architetture contemporanee, e persino rifugi antiaerei utilizzati durante la guerra civile spagnola. “In questo Anno giubilare ci aspettiamo tanto turismo religioso e culturale, per scoprire la storia del Santo Calice e del secolo d’oro che l’ha visto arrivare a Valencia, che in quel periodo è diventata una capitale culturale ed economica. Questo è il primo Anno giubilare che possiamo davvero promuovere dal punto di vista turistico. Per tutto l’anno ci sarà un Centro visitatori per accogliere e orientare i turisti, introdurli nel contesto storico di quello che vedranno. Ci sarà una mostra legata alle rappresentazioni artistiche del Santo Calice. Inoltre, proponiamo una visita guidata tutti i venerdì con partenza dalla piazza del Comune, e con un’autoguida tramite app”, afferma David Arlandis, responsabile Cultura di Visit Valencia, l’Ufficio del turismo della città (per tutte le informazioni si può visitare il sito www.visitvalencia.com/it e la pagina dedicata del portale dell’Ente Spagnolo del Turismo www.spain.info). L’itinerario urbano del Santo Graal toccherà i principali luoghi legati alla reliquia: l’Almudín, il Real Monasterio de la Trinidad, il Museo de Bellas Artes, la Lonja de la Seda, il Real Colegio del Patriarca, le Torres de Serranos, la Basilica della Vergine e la Cattedrale. Andare sulle tracce della sacra reliquia, quindi, vuol dire andare alla scoperta di Valencia. E per rafforzare il messaggio che la reliquia è custodita qui, è stata ideata anche una campagna di comunicazione internazionale, “Valencia, Città del Santo Graal”, con un sito web e un’app dedicata alla visita. Per aiutare pellegrini e turisti a capire la storia della sacra reliquia e ad orientarsi, dunque, è stato creato il nuovo Centro visitatori, gestito dalla Fondazione del Santo Calice, diretta da Alicia Palazón Loustaunau, situato nello storico edificio dell’Almudín, vecchio deposito del grano del XV secolo, trasformato in sala per esposizioni. Grazie a pannelli informativi e contenuti audiovisivi, è il migliore punto di partenza per andare alla scoperta del patrimonio legato al Santo Calice, che è la reliquia più documentata della cristianità. Qui si comincia a svelare, ad esempio, come è fatto il Santo Calice e si può toccare con mano un modellino: la parte superiore, realizzata in agata lucidata, è la vera reliquia e, secondo gli studi del professore Antonio Beltrán, fu realizzata tra il IV secolo a.C. e il I d.C. in un laboratorio orientale, probabilmente in Egitto, Siria o Palestina; la base fu aggiunta intorno al XII secolo e proviene da un vaso egiziano o califfale del X o XI secolo; le perle e le pietre preziose che lo decorano sono posteriori e potrebbero essere state aggiunte quando il Santo Graal era già in Spagna. Il Centro resterà aperto fino al 2027 per poi essere sostituito da un Centro di interpretazione che sarà permanente e avrà sede vicino alla Cattedrale. In arrivo anche la mostra ‘Un mondo da scoprire. Il Santo Calice di Valencia’, allestita al Muvim, il Museo valenciano dell’Illustrazione e della modernità, diretto da Rafael Company: uno spazio di riflessione e di interazione, che vanta un’importante Biblioteca documentale, sui problemi civici e sociali, creato là dove sorgeva l’ospedale generale, con il reparto psichiatrico che, dal 1410, è stato il primo al mondo. La mostra resterà aperta fino a febbraio e illustra quanto il Santo Calice ha ispirato le arti, dalla pittura alla musica con il Parsifal di Richard Wagner, legato alla leggenda dei cavalieri del Santo Graal, e per la prima volta accosta opere antiche e moderne ispirate alla reliquia. Ma come è arrivato il Santo Calice a Valencia? E’ la storia di un lungo viaggio che da Gerusalemme, per mano di San Pietro, ha portato la coppa a Roma, dove è stata utilizzata dai successivi Papi nelle celebrazioni eucaristiche fino all’anno 258, quando Sisto II incaricò il suo diacono San Lorenzo di metterla in salvo dalla persecuzione dell’imperatore Valeriano. Fu così che la reliquia entrò in terra di Spagna, dapprima a Huesca, e poi nel monastero di San Giovanni della Peña, nei Pirenei, finché fu consegnata al re d’Aragona, nel 1399, che la trasferì nella sua residenza a Saragozza. A portarla poi a Valencia, nel 1432, ci pensò Alfonso il Magnanimo, che però, dopo averla collocata nel suo Palazzo reale (che oggi non c’è più), la cedette alla Chiesa in cambio di un prestito per finanziare la conquista del Regno di Napoli. Ed ecco che, nel 1437, il Santo Calice fece il suo ingresso nella Cattedrale di Valencia. Da allora ne è uscito solo per essere messo al sicuro durante la Guerra civile spagnola, per mano di una parrocchiana, e prima ancora durante la Guerra di Indipendenza. In tempi più recenti, è stato usato da due Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, per la celebrazione della messa durante la loro visita a Valencia. Tutt’oggi, viene trasportato solo due volte l’anno in processione all’Altare Maggiore della Cattedrale: il Giovedì Santo e l’ultimo giovedì di ottobre per la Messa della Festa annuale del Santo Graal. All’interno della Cattedrale, il Santo Calice ha avuto in questi secoli diverse collocazioni, fino a quella attuale, dal 1916, nella cappella a destra dell’ingresso dalla porta principale: la mistica Cappella del Santo Caliz, dove la sacra reliquia è conservata all’interno di una teca di vetro di fronte a un altare in alabastro dell’artista italiano Giuliano Poggibonsi. L’unico a poterla toccare è il custode, don Alvaro Almenar, canonico della Cattedrale, instancabile narratore di questa affascinante storia. Questo luogo meta di pellegrinaggio, e non solo durante l’Anno giubilare, resta avvolto nel silenzio della venerazione che, credenti o curiosi e appassionati di storia, si ha per un oggetto per tutti fortemente simbolico. Un’esperienza certamente emozionante che si completa nella visita di tutta la Cattedrale: costruita su un tempio romano poi divenuto moschea, e risalente al XIII secolo, testimonia una fusione di stili architettonici, dal romanico al barocco, presente anche nei suoi tre portali e nella imponente torre-campanile gotico-veneziana alta quasi 51 metri, detta Miguelete, da cui si può ammirare il panorama della città. C’è poi il Museo della Cattedrale, che conserva la Biblioteca dei Borgia, resti di catacombe, un serbatoio d’acqua arabo, la carrozza per la processione del Corpus Christi più grande d’Europa, opere d’arte e altre reliquie. Se la Cattedrale, con il Santo Calice, rappresenta sicuramente la meta per eccellenza del pellegrino, l’Anno giubilare offre l’opportunità di visitare anche altri luoghi simbolo, da monumenti e ritratti ispirati alla sacra reliquia a tutti quegli edifici, civili e religiosi, testimoni dell’epoca in cui il Graal approdò qui, il 1400, considerato il secolo d’oro valenciano, quando la città era la capitale della Corona d’Aragona e visse un momento di grande prosperità economica, grazie soprattutto al commercio della seta. Un periodo di grande apertura al mondo, sotto l’impulso dei papi valenciani Callisto III e Alessandro VI, entrambi della famiglia Borja (nome originario dei Borgia), e al mecenatismo dei re come Alfonso il Magnanimo. Così, Valencia fu porta d’ingresso del Rinascimento in Spagna e punto di riferimento culturale in Europa in quel 'siglo de oro' che ha lasciato un’impronta artistica unica in un centro storico che è tra i meglio conservati d’Europa e che testimonia più di duemila anni di storia. Monumento simbolo del potere commerciale e della centralità di Valencia nel Mediterraneo è la Lonja de la Seda (Loggia della Seta), dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco ed esempio di architettura gotica civile tra i più importanti in Europa. Costruita a partire dal 1483, sono visitabili le quattro sale, dove si riunivano i mercanti, il Torrione che ospitava la prigione e il giardino degli aranci. L’industria della seta trasformò l’economia ma anche l’assetto urbano della città: nel quartiere dei Velluters, tra stradine e case signorili, lavoravano centinaia di artigiani che producevano tessuti pregiati con la tecnica acquisita dalla scuola genovese ed esportati in tutta Europa. A raccontare la tradizione serica di Valencia è il Museo della seta, dove, nella sede del Colegio del Arte Mayor de la Seda fondato nel 1686, sono conservati telai che ricreano il modello di lavoro dei secoli passati. Oggi la tradizione della seta è rimasta solo per la creazione dei fastosi costumi che vengono indossati in occasione di una delle feste popolari più importanti della Spagna, le Fallas, e non è raro imbattersi per le vie della città in negozi specializzati solo in queste stoffe e confezioni. Ma per portare a casa un souvenir si può approfittare dello shop del Museo dove si possono compare alcuni dei pochi manufatti in seta che ancora vengono fatti in città. Altro Museo imprescindibile per seguire il percorso della Ruta de la Seda è il Museo nazionale della Ceramica, che si trova all’interno di quello che è considerato il miglior esempio di barocco in Spagna: il Palazzo del Marqués de Dos Aguas. E’ la maggiore collezione nazionale di ceramiche, che va dall’VIII secolo all’epoca contemporanea, compresi pezzi di Picasso, e merci della Via della seta. E una sala dedicata alla Ruta de la Seda si trova persino all'Iber, il Museo dei Soldatini di Piombo, la più grande collezione di miniature storiche del mondo, con oltre 95.000 pezzi esposti all’interno delle sale gotiche del Palacio de Malferit. E poi palazzi, chiese e chiostri ricordano il mecenatismo dei Borja e la ricchezza artistica di un’epoca che trasformò Valencia in una delle città più vivaci del Mediterraneo. A cominciare dallo stesso Palazzo dei Borja, residenza rinascimentale della famiglia e oggi sede delle Corts Valencianes. Il loro mecenatismo stimolò anche il sapere ed è di quell’epoca la fondazione dell’Università di Valencia (1499): nell’antico Palazzo della Nau, che ospita la sede di rappresentanza e un centro culturale, ci si può addentrare fino al chiostro. Si trova accanto alla Chiesa del Patriarca appartenente al Real Collegio Seminario del Corpus Domini, dove tra l’altro si può ammirare sull’altare maggiore ‘L’Ultima Cena’ di Francisco Ribalta, oltre a dipinti di Caravaggio, El Greco e Benlliure esposti nel suo museo. Sempre ai Borgia si deve il rinnovamento gotico, tra il 1419 e il 1455, della Chiesa di San Nicola risalente al 1242, cui seguì due secoli dopo la vasta decorazione barocca. Quella che appare al visitatore oggi è una volta ricoperta di spettacolari affreschi, tornati al loro splendore dopo un recente restauro concluso nel 2021: non solo si può visitare questa che viene considerata la ‘Cappella Sistina valenciana’, ma, da luglio, si può anche assistere a un nuovo spettacolo immersivo di luci, ‘La Luz de San Nicolas’, che sulla volta proietta infinite sfumature di colori. Ma fra tutte c’è una chiesa davvero speciale nel cuore di quello che era il Foro romano: la Basilica della Madonna degli Abbandonati, costruita ex novo nel XVII secolo. Un luogo di pellegrinaggio per i credenti in quanto nell’abside si trova la statua della Virgen de los Desamparados, patrona venerata in città, con una profonda e popolare tradizione di assistenza agli 'ultimi', come testimonia l’ampia iconografia conservata nel Museo Mariano al suo interno. Inoltre, sull’altare di una piccola cappella chiamata ‘Coveta’, si può vedere dal 2014 una replica del Santo Graal che contiene una reliquia del sangue di San Giovanni Paolo II. La Basilica si trova alle spalle della Cattedrale, a cui è collegata da una struttura muraria ad archi, che fa da quinta alla piazza della Virgen, creando una prospettiva davvero unica, e sulla quale si affaccia anche il Palau de la Generalitat, palazzo gotico del XV secolo sede del governo regionale. Proprio nell’angolo in cui la Basilica incontra la Cattedrale, ancora oggi ogni giovedì si riuniscono i rappresentanti dei canali di irrigazione (raffigurati nella fontana al centro della piazza) che formano il Tribunale delle acque, l’istituzione legale più antica d’Europa, che fin dai tempi degli arabi si occupa di dirimere le controversie sull’uso dell’acqua. I turisti in visita a Valencia durante l’Anno giubilare potranno poi finalmente accedere alla chiesa dei Santos Juanes, proprio di fronte alla Loggia della Seta, in procinto di riaprire dopo un lungo restauro. Un altro affresco dedicato all’Ultima Cena, di José Vergara, si può vedere nella chiesa di San Martino Vescovo e Sant’Antonio Abate, in cui appare la riproduzione del Santo Graal che si trova nella Cattedrale di Valencia. Per avere una ‘summa’ delle opere in cui è stato dipinto il Santo Calice, non si può mancare di visitare il Museo di Belle Arti di Valencia (gratuito come la maggior parte dei musei e comodamente aperto fino alle 20), la migliore collezione di pittura gotica valenciana e la seconda galleria d’arte più grande di Spagna: in particolare due esemplari del Salvador Eucarístico di Joan de Joanes del XVI secolo e la Santa Cena di un altro pittore valenciano, Joan Ribalta, oltre a una ricchissima galleria di pale d’altare. Con questo Anno Giubilare, Valencia rafforza la sua posizione di destinazione turistica culturale d’eccellenza (facilmente raggiungibile grazie a un aeroporto internazionale collegato con 28 paesi, con voli giornalieri da diverse città italiane, e a 90 minuti di treno da Madrid), aggiungendo alla sua identità mediterranea una dimensione che la collega alla sua storia più profonda. Visitare Valencia, città del Santo Graal, durante l'Anno Giubilare, è quindi un’occasione per contemplare un simbolo universale di fede e speranza, ma anche per riscoprire una città che custodisce nel suo cuore questo gioiello dal valore inestimabile.
(Adnkronos) - "Il sistema di finanziamento della gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati (ovvero i pannelli installati in impianti che non beneficiano degli incentivi previsti dai Conti Energia) non potrà garantire il corretto trattamento di questi rifiuti: il contributo unitario 'segregato' per ciascun pannello non è infatti sufficiente a coprire tutti i costi di gestione (trasporto, rimozione delle sostanze inquinanti, riciclo) del pannello stesso". È quanto emerge dallo Studio 'La gestione nel rifiuto fotovoltaico in Italia: un nuovo modello di finanziamento' realizzato dal Laboratorio Ref Ricerche. “La gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è certamente l’aspetto più delicato del settore dei Raee - afferma Giorgio Arienti, direttore generale Erion Weee - Nei prossimi anni assisteremo a una crescita esponenziale delle quantità di pannelli che saranno dismessi: a ciascuno di questi pannelli è associato, in un trust di uno dei numerosi Consorzi Raee, un contributo del tutto insufficiente ad assicurare una corretta gestione. Per evitare un disastro ambientale è indispensabile modificare al più presto la normativa”. I numeri: entro il 2050 si stima che oltre ai 300 milioni di pannelli fotovoltaici già installati, altri 20 milioni di pannelli saranno allacciati alla rete. Nel giro di pochi decenni, il numero di pannelli destinati alla dismissione aumenterà di quasi trenta volte, con ricadute enormi per i detentori degli impianti, i consorzi e l’intera collettività. Si passerà dai circa 427mila pannelli smaltiti nel 2025 a oltre 12 milioni nel 2050, con un corrispondente incremento della quantità da trattare: da 9mila tonnellate a 264mila tonnellate annue di Raee fotovoltaici da smontare, trasportare e gestire correttamente. In base alla normativa vigente, il finanziamento del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è a carico dei Produttori di tali pannelli. "Al momento dell’immissione sul mercato di un pannello, il Produttore versa al Consorzio a cui aderisce un contributo - stabilito dal Consorzio stesso - che viene segregato in un trust; questo contributo (univocamente associato a quel pannello) sarà 'liberato' quando il pannello giungerà a fine vita, e sarà utilizzato per finanziare le attività di riciclo di quel pannello - spiega Erion in una nota - Negli ultimi anni, la 'caccia ai Produttori' ha spinto la maggior parte dei Consorzi Raee ad abbassare continuamente il valore del contributo chiesto per i pannelli fotovoltaici non incentivati: valori vicini a 1 euro non sono sufficienti per garantire il corretto trattamento di un pannello tra 10, 15 o 20 anni". “Lo studio fatto da Ref Ricerche solleva seri dubbi sulla sostenibilità economica del sistema oggi in vigore e sulla sua reale capacità di coprire i costi di gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati, dato che non è serio fare oggi una scommessa su quanto costerà smaltire un modulo tra vent’anni, poiché il potenziale valore delle materie prime in esso contenute è una assoluta incognita - continua Arienti - Certo, il totale delle risorse accantonate è ingente, ma il contributo unitario (quello che può essere utilizzato per la gestione del singolo pannello, a cui il contributo unitario è associato) non è sufficiente. È un paradosso: nei trust dei Consorzi ci sono milioni di euro, ma questa montagna di denaro non riuscirà ad assicurare un corretto riciclo dei pannelli”. Cosa accadrà? Secondo l'analisi, la mancanza di adeguate risorse finanziarie favorirà comportamenti opportunistici, come l’esportazione dei pannelli dismessi verso 'paesi emergenti' (privi di adeguati impianti di trattamento) o il loro abbandono nell’ambiente. Oltre ai rischi ambientali, questa gestione non corretta si porrebbe in contrasto con le direttive europee, che promuovono il recupero dei materiali (vetro, alluminio, silicio e argento) compromettendo lo sviluppo di una filiera circolare nazionale e trasformando una misura nata per garantire sostenibilità e responsabilità ambientale in un potenziale boomerang finanziario, sociale e ambientale. Sulla base delle evidenze dello studio di Ref Ricerche, Erion Weee propone l’adozione del modello di finanziamento generazionale - già utilizzato per tutte le altre tipologie di Raee Domestici - anche ai pannelli fotovoltaici: con questo modello, la responsabilità economica della gestione del fine vita è attribuita ai Produttori presenti sul mercato in ciascun anno, in proporzione all’immesso sul mercato nello stesso anno. Questo modello 'generazionale', che funziona in settori a bassissima crescita come quello dei frigoriferi o dei 'grandi bianchi', a maggior ragione funzionerebbe in un settore in costante, significativo sviluppo come quello del fotovoltaico: se un Produttore esce dal mercato, ci saranno certamente altri Produttori in grado di farsi carico - anno per anno - dei costi di una corretta gestione dei Raee fotovoltaici. Inoltre, nel lungo termine, si affiancheranno nuove tecnologie sostitutive che finanzieranno progressivamente il fine vita di tali rifiuti, come avvenuto in tante altre categorie di prodotti. “Il sistema impiantistico nazionale si sta già preparando ad accogliere volumi crescenti di pannelli da trattare, anche grazie agli investimenti del Pnrrr - conclude Arienti - È necessario che il modello di finanziamento venga adeguato a garantire la sostenibilità ambientale ed economica nel lungo periodo scongiurando lo scoppio di una bolla che creerebbe un danno economico, ambientale e reputazionale di dimensioni clamorose”.