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(Adnkronos) - E' un Isis acefalo, quello che ''resiste come minaccia per l'Europa'', ''molto diverso e di minore intensità rispetto a 10 anni fa'', quando compì la strage del Bataclan a Parigi, ma comunque presente, principalmente tramite ''lupi solitari, soggetti che si autoattivano e si radicalizzano principalmente sul web''. Quindi potenzialmente meno potente, ma ''siccome non organizzato e slegato da gruppi centrali, risulta più difficile da intercettare''. E' l'analisi che Lorenzo Vidino, direttore del Program on Extremism della George Washington University, fa in un'intervista all'Adnkronos a dieci anni dagli attentati terroristici sferrati da un commando dell'Isis il 13 novembre del 2015 a Parigi e costati la vita a 132 persone con oltre 350 feriti. ''L'Isis ancora esiste, anche se è chiaramente molto diverso e meno forte rispetto a 10 anni fa'', ed è un Isis ''a cui manca quasi completamente quello che è il cervello centrale basato tra Siria e Iraq'', spiega Vidino, sottolineando che ''non è più l'Isis del Califfato, ma esistono una serie di gruppi a livello locale e regionale che usano il brand Isis e che hanno fortune alterne''. Di questi gruppi, ''il più importante è l'Isis-Khorasan in Afghanistan che ha più volte tentato di colpire in Europa in maniera strutturata mandando operativi in Francia, Austria e Germania, finora senza successo. Ma ha compiuto attentati importanti fuori dai confini afghani come quello a Mosca e in Iran''. Per quanto riguarda invece l'Isis in Africa, Vidino fa notare che ''non ha un impatto sull'Europa'' e riguardo alle sue affiliazioni africane ''nessuna di questa attrae jihadisti europei in numero importante''. Insomma ''nulla a che vedere con il flusso dei foreign fighters di 10 anni fa'', quando ''in cinquemila sono andati in Siria e in Iraq'' mentre oggi ''è diverso l'appeal emotivo di andare in Congo o in Mozambico, ma anche nel Sinai o in Afghanistan''. Tornando in Europa, e in particolare alla Francia dove alla vigilia delle commemorazioni per il 13 novembre è stato sventato un presunto attentato jihadista a Parigi, Vidino cita il rapporto dell'Europol per spiegare che ''ogni anno ci sono due-trecento arresti per jihadismo in Europa, 4-5 attentati riusciti spesso di piccola portata e una ventina di attentati sventati''. Per quanto riguarda l'Italia, l'analista spiega che è ''meno toccata da queste dinamiche anche grazie all'ottimo lavoro di prevenzione del nostro comparto antiterrorismo''. Sulla figura dei jihadisti, Vidino spiega che ''per lo più si tratta di soggetti non legati direttamente all'Isis, com'erano quelli del Bataclan che facevano parte di un commando armato addestrato e inviato'' dallo Stato Islamico. Oggi ''spesso sono soggetti molto giovani, non legati operativamente all'Isis, ma che si radicalizzano con un grandissimo ruolo del Web e attraverso interazioni tra piccoli gruppi autoradicalizzati''. Si tratta quindi di ''soggetti che adottano il credo jihadista, dell'Isis, e si autoattivano'', spiega l'analista. ''La dinamica è quella dei classici lupi solitari o dei piccoli gruppi, quindi meno professionali rispetto a chi è legato all'Isis in modo operativo, ma spesso più difficili da intercettare'', puntualizza Vidino, sottolineando che ''in teoria un gruppo di soggetti strutturato, legato all'Isis, che comunica con Siria e Iraq è più facile da intercettare rispetto a uno, due soggetti che rimangono nascosti e si autoattivano''.
(Adnkronos) - In merito alle dichiarazioni secondo cui la Manovra fiscale introdurrebbe presunti 'favori ai più ricchi', Federmanager invita a riportare il dibattito su basi oggettive. Ridurre le imposte su chi lavora e contribuisce in modo significativo non significa penalizzare altri, ma riconoscere il ruolo di chi sostiene la crescita, la spesa pubblica e il welfare del Paese. "La questione - dichiara Valter Quercioli, presidente di Federmanager - non va letta in termini di contrapposizione sociale tra chi ha di più e chi ha di meno ma come la necessità di riequilibrare un sistema che oggi grava in modo eccessivamente squilibrato su chi contribuisce di più. Il principio di progressività resta e deve restare fondamentale: il punto è renderlo equo e sostenibile, così da rafforzare la solidarietà e non indebolirla". La misura più discussa - la riduzione dal 35% al 33% dell’aliquota Irpef per i redditi tra 28mila e 50mila euro fino a 200mila euro complessivi – è un intervento mirato che si inserisce in una logica di riequilibrio. In Italia, infatti, l’aliquota massima del 43% scatta già a partire dai 50mila euro lordi, molto prima rispetto ad altri Paesi europei. Oggi solo il 27,41% dei cittadini, circa 11,6 milioni di contribuenti, versa quasi l’80% di tutta l’Irpef, mentre il 43,15% non dichiara alcun reddito (fonte: Osservatorio Itinerari previdenziali - Cida). La fascia sopra i 55mila euro - che comprende professionisti qualificati, quadri e dirigenti - rappresenta appena il 5,8% dei dichiaranti, ma contribuisce per oltre il 42% del gettito Irpef. "Sono dati - continua Quercioli - che parlano da soli . Non parliamo di una categoria privilegiata, ma di lavoratrici e lavoratori altamente qualificati che, insieme agli altri contribuenti onesti, garantiscono la tenuta del sistema Paese. Sostenere il ceto produttivo non significa accentuare le disuguaglianze, ma preservare le condizioni che consentono allo Stato di redistribuire risorse, investire in sanità, scuola e previdenza". Federmanager sottolinea che le disuguaglianze restano una delle ferite più gravi e profonde del Paese, e che vanno affrontate con coraggio, responsabilità e politiche di lungo periodo. Dietro ogni statistica ci sono persone e famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, e il disagio di chi vive con redditi bassi merita rispetto, ascolto e risposte concrete. "Non possiamo illuderci - osserva Quercioli - di combattere le disuguaglianze solo con la leva fiscale. La vera risposta è rilanciare il lavoro di qualità e l’industria, che è il comparto con i salari medi più elevati e la maggiore capacità di creare valore, innovazione e benessere diffuso. Ogni politica che ambisce a ridurre le distanze sociali deve partire dal lavoro stabile, dalla formazione continua e dal riconoscimento del merito in tutti i ruoli, perché solo una società che valorizza tutte le sue competenze può essere davvero giusta. Solo una politica industriale che rimetta al centro la produttività e le competenze potrà dare risposte durature al tema salariale". Federmanager ribadisce che una politica fiscale equa deve essere alleata del lavoro, non ostacolarlo, e che la lotta all’evasione e all’economia sommersa è una priorità imprescindibile per la giustizia sociale. "Il Paese - sottolinea - ha bisogno di fiducia, responsabilità e coesione. La sfida non è tra chi ha di più e chi ha di meno, ma tra chi vuole costruire un’Italia più equa e giusta e chi preferisce avvantaggiarsi delle pieghe del sistema Paese. Serve una fiscalità che premi chi produce valore, crea occupazione e contribuisce al bene comune, perché solo insieme potremo garantire dignità e futuro al lavoro di tutti".
(Adnkronos) - “A differenza degli anni scorsi, quest'anno abbiamo affrontato il tema del rottame, perché un'indagine Ispra ci dice che da circa un milione di tonnellate di rottami d'auto noi riusciremo a recuperare circa una tonnellata d'oro”. A spiegarlo è Omar Antonio Cescut, amministratore delegato dell’Unità circular economy di Btt, all’edizione 2025 di Ecomondo a Rimini, la fiera dedicata alla sostenibilità e all’economia circolare. Dati che portano con sé “un valore economico importante, pari a circa 100 milioni di euro recuperati dalla quantità di rottami che oggi l'Italia produce. La nostra tecnologia recupera il valore prezioso nello scarto dell'automotive - La transizione ecologica ed energetica sono una priorità per questo Paese soprattutto nel momento in cui queste permettono di recuperare e risparmiare i metalli preziosi e le materie prime che noi non abbiamo, non avendo miniere. La circolarità permette di innescare un circolo virtuoso per essere sempre più indipendenti e autonomi”.