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(Adnkronos) - "Ci ha messo tre settimane per dire che non era Alzheimer". Simone Cristicchi è finito, nuovamente, nel mirino di Selvaggia Lucarelli. Il cantante è tornato a parlare della canzone 'Quando sarai piccola', classificata al quinto posto al Festival di Sanremo 2025, e ha fatto chiarezza, probabilmente una volta per tutte, sulla malattia della madre. Dichiarazioni che non sono passate inosservate alla giornalista. Intervistato dal Corriere della Sera, Simone Cristicchi ha ribadito di non aver nominato mai l'Alzheimer, nonostante fosse per molti il tema centrale della canzone. "Non ho mai incentrato il discorso sull'Alzheimer o la demenza senile. Il tema ha una prospettiva più ampia, e va al di là della singola patologia", ha detto il cantautore, spiegando inoltre che 'Quando sarai piccola' è una canzone declinata al futuro e cioè di un figlio che rassicura la mamma. Selvaggia Lucarelli, che durante la settimana sanremese aveva accusato Cristicchi di aver "romanticizzato" la malattia, è tornata sulle dichiarazioni del cantante: "È una canzone che racconta alcuni sintomi molto specifici che non sono propri di tutte le malattie dei genitori. La perdita di memoria è da tutti facilmente associata ad Alzheimer e demenze senili. La canzone parla soprattutto di questo", ha tuonato la giornalista sulle Instagram stories. E ancora: "In tutte le interviste ha giocato sull'ambiguità", ha scritto la giornalista, riprendendo interviste che l'artista aveva rilasciato durante la settimana sanremese: "Poteva dire 'Non ho scritto una canzone sull'Alzheimer, anche perché non è la malattia di mia madre, ma la malattia è un tema universale. E invece...''". La giornalista ha commentato anche le dichiarazioni che Simone Cristicchi ha fatto sulla politica: "A destra trovo più apertura mentale", ha detto il cantautore al Corriere. "Gli piace la Meloni perché è notoriamente dalla parte degli ultimi. Per esempio lui", ha ironizzato la Lucarelli.
(Adnkronos) - La conquista, da parte delle donne, di posizioni e ruoli professionali sempre più rilevanti nel mondo del lavoro appare un fenomeno in costante evoluzione, anche se i tempi per una effettiva parità di opportunità sembrano dilatarsi. Alle donne italiane che lavorano, o che hanno lavorato in passato, è stato chiesto se hanno mai pensato di andare a lavorare all’estero, un’opzione valutata, più o meno concretamente, in quasi la metà dei casi. Alla base di questa scelta, soprattutto la ricerca di migliori condizioni economiche e stabilità lavorativa. Emerge dallo studio Eurispes sulle donne. Una larga parte delle lavoratrici afferma di aver lavorato anche senza contratto (41,7%) e tre su dieci hanno lavorato anche in condizioni di scarsa sicurezza (ambienti non a norma, lavoro rischioso) e 1 su 5 in caso di necessità accetterebbe di lavorare in un luogo non sicuro. Il 52% delle donne che lavorano ritiene che la propria occupazione non consenta di fare progetti per il futuro e poco meno della metà (48%) afferma che non garantisca sicurezza alla propria famiglia. Più di una donna che lavora su quattro (26,4%) con la propria situazione lavorativa si trova costretta a chiedere aiuto alla propria famiglia d’origine o a rinunciare ad avere figli (17,2%). Ma il disagio non è solo economico: molte lavoratrici lamentano carichi troppo pesanti di lavoro (41,1%), rapporti conflittuali con i superiori (38,2%) e mancanza di tempo da dedicare a se stesse (37,8%). Circa un terzo indica come fattori negativi la difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia (33,8%), gli spostamenti casa-lavoro (33,6%), l’assenza di stimoli professionali (32%), mentre sono il 31,3% a dichiarare di avere rapporti conflittuali con i colleghi. Il 30,2% delle lavoratrici è in burn out, il 28,3% soffre l’insicurezza del posto di lavoro, il 26,1% ritiene che i propri diritti siano scarsamente tutelati e circa il 25,4% è preoccupata dalla precarietà del contratto; quasi un quarto (23,6%) sperimenta l’irregolarità nei pagamenti. Ben un terzo (33,3%) ha svolto un doppio lavoro, quasi una su 4 ha svolto un lavoro meno qualificato rispetto alle sue competenze, il 14,3% ha svolto un lavoro notturno. Il 13,9% ha lasciato il posto di lavoro perché vittima di mobbing, ovvero di comportamenti aggressivi e vessatori reiterati nel tempo da parte di colleghi e/o superiori; un ulteriore 17% ci ha pensato, ma non lo ha fatto, per un totale del 30,9% delle lavoratrici che hanno sofferto per forme di mobbing. L’assenza di un contratto ha spinto il 10,6% a lasciare il lavoro, mentre il 12,2% ha pensato di farlo. Il 4,9% ha lasciato il lavoro per molestie sessuali, ed un 11,7% ha pensato di farlo; il 16,6% delle lavoratrici si è dovuta, dunque, confrontare con questo reato particolarmente odioso. Circa un quinto delle donne, rileva l'Eurispes, è stata vittima di aggressività o ingiurie sui social/in rete (20,6%). Il 18,5% ha visto violata la propria privacy (con la pubblicazione di video/foto in cui era presente, senza aver dato il consenso). Ancora più allarmante il dato relativo al 14,3% di donne che riferiscono di aver subito cyberstalking. Un non trascurabile 8,3% è stata vittima di revenge porn (la pubblicazione di sue foto/video intimi senza il suo consenso, per vendetta, ricatto, ecc.), reato particolarmente odioso. Inoltre una donna su 4 (25,1%) almeno una volta ha ricevuto apprezzamenti fisici pesanti sul web o sui social; il 24,4% ha ricevuto esplicite proposte sessuali, il 18,6% è stata vittima di body shaming, ovvero critica o derisione del proprio corpo. Oltre un quinto (21,7%) delle intervistate dall'Eurispes ha dichiarato di aver assunto farmaci come ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore, antipsicotici nell’ultimo anno (non ne ha assunti il 78,3%). Gli ansiolitici ed i tranquillanti sono stati tra i farmaci psicotropi più comunemente utilizzati. Quasi una donna su tre (31,7%) ha cercato supporto da uno psicologo. L’11,6% delle donne, inoltre, ha dichiarato di aver seguito sedute di terapia online. L’indagine ha rilevato altri segnali di difficoltà emotive: in particolare, il 64,1% delle donne ha riferito di aver sperimentato, nel corso dell’ultimo anno di rilevazione, depressione, il 63,7% sbalzi d’umore, il 61,3% insonnia. Inoltre, sebbene non in percentuale maggioritaria, ben il 41,8% ha dichiarato di aver avuto crisi di panico. Con riferimento in particolare alle donne e alla loro esperienza di madri, l’indagine Eurispes ha esplorato il vissuto personale, le scelte difficili, le rinunce, la stabilità familiare. Sommando le risposte 'abbastanza' e 'molto', si vede che il 58,7% delle donne, come madre, ha fatto rinunce in ambito economico, il 56% ha rinunciato ai propri interessi e svaghi, il 55,3% ha sacrificato il tempo riservato alle relazioni con gli amici e alla cura di sé, il 52,7% ha sottratto tempo ed energie al rapporto di coppia e il 44,7% dichiara di aver rinunciato ad opportunità in ambito lavorativo. Per la maggioranza delle donne, dunque, la maternità ha comportato rinunce in quasi tutti gli ambiti della vita. Esplorando gli effetti della genitorialità sul rapporto di coppia, emerge come la maggioranza delle donne (61,5%) ritenga che la nascita del figlio abbia contribuito ad una maggiore unione nella coppia. Inoltre, il 52,6% delle donne afferma di aver trovato un equilibrio nella gestione delle responsabilità di genitore. Il 46,3% delle donne ha riferito che lo stress legato ai nuovi impegni di genitori ha creato nervosismo nella coppia, mentre il 42% ha dichiarato di aver incontrato difficoltà nel coltivare il rapporto di coppia. Circa un terzo delle madri (32,6%) afferma di aver sofferto di depressione nella fase successiva alla nascita di un figlio. Il 40,5% del campione di donne single dell'indagine Eurispes ritiene che il giudizio altrui sulla condizione di single 'dipende dai casi'; il 29,8% che è 'neutro'. I giudizi positivi e negativi sono meno frequenti. Nel 35% dei casi essere single è stata una scelta personale. La libertà, che spesso viene associata allo status dei single, viene percepita da meno della metà delle donne (48,2%). Per il 46% delle donne, rileva l'Eurispes, la presenza femminile in politica non è sufficiente; per il 34,1% delle donne intervistate, invece, il problema non risiede tanto nell’inclusione politica (considerando il numero delle donne adeguato), quanto nell’accesso a ruoli di potere e di leadership. Circa la metà delle donne è contraria alle quote rosa (49,9%). Nel 34,3% dei casi le intervistate sostengono di non essere d’accordo in quanto è solo creando le giuste condizioni che si può garantire alle donne una partecipazione alla vita pubblica. Per quanto riguarda le possibili soluzioni per riuscire a favorire una maggiore partecipazione femminile alla vita politica, le risposte indicano come l’impegno nella vita lavorativa e domestica sia individuato quale principale causa della minore partecipazione delle donne alla vita pubblica, motivo per cui sarebbe necessario intervenire attraverso politiche di sostegno e una divisione del carico delle responsabilità familiari tra i partner. Servirebbe, dunque, un intervento a livello di sistema e un cambio di paradigma culturale capace di creare cambiamento anche nel sistema sociale. Quasi ad una donna su 10 (9,8%), rileva l'Eurispes, è capitato di essere vittima di stalking, ossia vittima di persone che le abbiano perseguitate; il 7,9% non ha voluto rispondere alla domanda. In un quarto dei casi lo stalker è un ex partner, ma nel 29,1% le donne affermano di non sapere di chi si tratti; per il 17,1% si è trattato di un conoscente. In meno di 2 casi su 10 le vittime denunciano lo stalker (17,1%). Nell’82,9% dei casi, quindi, agli atti persecutori non fa seguito una denuncia formale alle autorità. L’identikit dello stalker, che nella larga maggioranza dei casi è molto vicino alla vittima e fa parte o ha fatto parte della sua quotidianità, suggerisce che si cerchi più frequentemente la via della conciliazione, piuttosto che rivolgersi alle autorità competenti. Oltre un terzo delle donne, rileva l'Eurispes, confessa di essere poco soddisfatta del proprio aspetto esteriore e quasi una su 10 addirittura per nulla. Il peso corporeo è una parte importante del proprio aspetto esteriore (62,2%) e la maggior parte delle donne fa attenzione alla linea, controllando l’alimentazione (61,5%); potendo, molte cambierebbero in parte il proprio corpo (57,2%) e vorrebbero essere più magre (54,7%). La metà delle donne sorveglia inoltre la linea attraverso l’attività fisica (50,8%). Oltre un terzo del campione (36,7%) riferisce di provare frustrazione perché non riesce a raggiungere quello che ritiene essere il suo peso ideale e crede che se raggiungesse il suo peso ideale piacerebbe di più agli altri (35,3%). Il pensiero dell’invecchiamento del corpo angoscia il 41,1% delle intervistate, forse anche per questo un quarto delle donne (25,3%) ammette di essersi sottoposta alla chirurgia estetica. In considerazione dell’influenza delle aspettative sociali in relazione al peso sul benessere psicologico di molte donne, alle intervistate sono state rivolte alcune domande relative ai più noti disturbi alimentari. Anoressia e bulimia, disturbi alimentari particolarmente allarmanti, pur restando minoritari, coinvolgono o hanno coinvolto, ciascuno, poco meno di una donna su 10. Decisamente più comune risulta essere la fame nervosa, che si manifesta con il mangiare in modo compulsivo, fare abbuffate, sperimentata dal 22,9% delle rispondenti. Il 14,6% riferisce episodi di fame notturna, il 12,1% di ortoressia nervosa – l’ossessione per il cibo sano e naturale. Dall’analisi delle risposte, giudizio sociale sull’esteriorità delle donne è risultato essere piuttosto frequente, una pressione, anche quando non malevola, inevitabilmente ingombrante, che può esercitare condizionamenti anche forti. La gran parte delle donne viene con una certa frequenza richiamata dal prossimo all’opportunità, quando non all'obbligo sociale, di ben apparire. I dati confermano la maggiore pressione sociale, esterna, ma anche interiorizzata, sulle donne giovanissime e giovani rispetto alle adulte e, ancor più, alle anziane. Sono poche le donne (poco più di una donna su quattro) che sono riuscite a risparmiare nel periodo a cavallo tra il 2023 e il 2024. Più della metà (57%) incontra problemi ad arrivare alla fine del mese. Canone d’affitto (44,3%), bollette e utenze (31,9%) e rata del mutuo (28,7%) sono le spese più difficili da sostenere, ma non manca chi ha difficoltà a far fronte anche alle spese mediche (28,4%). A dirlo l'Eurispes che, in concomitanza con l’8 marzo, ha voluto realizzare una lettura sintetica dei dati raccolti negli ultimi due anni per esplorare alcuni aspetti della vita e del vissuto delle donne italiane. L’indagine offre uno sguardo sulla situazione lavorativa e sulla percezione delle proprie condizioni economiche da parte delle donne, ma anche sui cambiamenti nel rapporto uomo-donna e nella genitorialità, sull’essere single e sul benessere psicologico e sul rapporto con il proprio aspetto, sui timori e le difficoltà. Situazione economica: permane una sacca di disagio Per ottenere liquidità il 32,9% delle donne ha chiesto, nel periodo analizzato, sostegno finanziario alla famiglia di origine; il 15,7% è ricorsa al sostegno di amici, colleghi e altri parenti; il 15,7% ha richiesto un prestito in banca, mentre il 13,9% ha dovuto chiedere soldi in prestito a privati (non amici o parenti) non potendo accedere a prestiti bancari e questo dato è presumibilmente da sovrapporsi a fenomeni di usura. In linea con un quadro di difficoltà abbastanza diffuse, il 21,5% ha tardato nel pagamento delle tasse. Oltre un decimo delle donne (11,3%) è tornata vivere in casa con la famiglia d’origine (o con la famiglia del partner). Il bisogno di risparmiare ha invece spinto il 33,1% delle italiane a pagare in nero alcuni servizi come ripetizioni, riparazioni, baby sitter, medici, pulizie, ecc., e, tra coloro che ne avrebbero bisogno, il 39,2% ha dovuto rinunciare alla baby sitter e il 20% alla badante. Per affrontare l’acquisto di nuovi beni il 41,7% ha optato per la rateizzazione dei pagamenti e fra le opzioni di rateizzazione, il 21,7% ha scelto piattaforme online che offrono servizi finanziari senza interessi (ad es. Klarna, Scalapay, ecc.).
(Adnkronos) - I rischi ambientali e gli effetti legati al clima che cambia sono stati al centro del convegno che si è svolto a Trieste dal 4 al 6 marzo grazie al progetto Return (Multi-Risk Science for Resilient Communities under a Changing Climate), finanziato dal Pnrr. Il convegno 'Sfide scientifiche e gestionali per una società resiliente ai rischi ambientali in un clima che cambia', organizzato dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale - Ogs, ha riunito più di 300 esperti per affrontare le sfide legate alla gestione del rischio e alla resilienza in un contesto di cambiamenti climatici sempre più evidenti. Una tavola rotonda, cui hanno partecipato il Dipartimento della Protezione Civile, la Protezione Civile della Regione Friuli Venezia Giulia, l’Ogs, l’Arpa Fvg e la Fondazione Cima, ha affrontato i temi della gestione delle emergenze e della pianificazione a lungo termine per definire una strategia di protezione civile più efficace e lungimirante. L’obiettivo è stato quello di superare la logica della risposta reattiva e costruire una cultura della prevenzione e della resilienza, facendo dialogare attivamente tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei rischi per prevedere, prevenire e mitigare gli impatti dei disastri naturali, migliorando la sicurezza dei territori e la capacità di risposta delle comunità. “La gestione del rischio non può limitarsi all’intervento durante l’emergenza, ma deve fondarsi su una solida pianificazione basata sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili - commenta Nicola Casagli, presidente dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale - Ogs - Oggi abbiamo a disposizione strumenti avanzati di analisi multi-rischio, dati climatici sempre più accurati e tecnologie di monitoraggio in tempo reale, e dobbiamo integrarli in strategie efficaci per proteggere le nostre comunità”. Un’altra sessione del convegno ha affrontato il tema della resilienza in termini di capacità di risposta ai diversi rischi ambientali e di origine antropica, in particolare in contesti urbani. “Per una migliore comprensione e previsione di effetti meteorologici estremi, sono stati presentati avanzamenti nella capacità di integrare diversi tipi di modelli per ottenere previsioni più precise, adattabili al contesto locale e alle crescenti variazioni climatiche. Questi sviluppi sono di particolare rilevanza per affrontare le principali problematiche legate alla gestione della risorsa idrica in ambiente urbano, soprattutto nelle aree esposte a rischi di contaminazione dell’acqua”, spiega Marina Lipizer, prima ricercatrice dell’Ogs e co-coordinatrice del comitato organizzatore del convegno. “La gestione dei rischi multipli naturali e di origine antropica in contesti urbani ed industriali è particolarmente complessa, anche a causa delle molteplici necessità delle comunità. Tra i diversi obiettivi del progetto Return vi è proprio quello di integrare le più avanzate conoscenze sperimentali e previsionali, anche con il fine di sviluppare strategie preventive. Esempi sono la gestione dei rischi alluvionali nelle aree urbane e nelle aree di transizione tra l’ambiente marino e quello fluviale”, precisa Lipizer. Con l’imminente obbligatorietà delle coperture catastrofali per le Pmi in Italia e normative analoghe già attive o in fase di discussione in altri Paesi Europei, il settore assicurativo è chiamato a un’evoluzione strategica. Ridurre il protection gap - ovvero il divario tra i danni subiti e quelli effettivamente coperti da polizze - richiede un approccio sempre più sofisticato nella comprensione e gestione dei rischi. Durante il meeting sono stati individuati alcuni elementi chiave per affrontare questa sfida: l’uso crescente di dati e modelli predittivi per analizzare le dinamiche climatiche e naturali, e il loro impatto sui portafogli assicurativi; la collaborazione tra compagnie assicurative, università e centri di ricerca, per favorire lo sviluppo di soluzioni innovative a beneficio dell’intera collettività e l’importanza della prevenzione. Comprendere meglio le cause degli eventi estremi permette di promuovere azioni efficaci di mitigazione, che riducano i danni derivanti da fenomeni naturali. “I cambiamenti climatici rappresentano uno dei trend di cambiamento più rilevanti per il settore assicurativo e la sua gestione fa parte integrante della transizione verso una società più verde e resiliente che possa proteggere le famiglie e le imprese - afferma Francesca Monti, Group Head of Climate Hub di Generali - Il Gruppo Generali è infatti fortemente impegnato a promuovere partnership pubblico-private e a sostenere con le proprie competenze le istituzioni pubbliche nel raggiungimento di questo obiettivo. In tale contesto, contribuiamo concretamente all'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, nonché alla riduzione del divario di protezione per le comunità vulnerabili in tutto il mondo”. l prodotti sviluppati nel corso del progetto Return possono contribuire in maniera significativa a supportare la valutazione dei rischi e dei loro impatti anche ai fini della definizione di polizze assicurative catastrofali. “La Fondazione Return, che annovera tra i partner il Dipartimento di Protezione Civile e Generali Assicurazioni, intende approfondire la collaborazione con compagnie assicurative e broker per confrontarsi sui modelli di valutazione dei rischi e promuovere lo sviluppo di una strategia da proporre agli enti governativi affinché le polizze catastrofali e gli eventuali obblighi vengano supportati in maniera scientificamente robusta e siano ispirati a principi di sostenibilità economica e inclusione nei riguardi dei cittadini”, commenta Andrea Prota, presidente della Fondazione Return.