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(Adnkronos) - "Non so se la bellezza salverà il mondo, ma per me è balsamo e quiete". In questa frase, pronunciata con la voce calma di chi ha passato una vita a misurare la luce, c'è tutto Mimmo Jodice, uno dei più grandi fotografi italiani del secondo Novecento, morto all'età di 91 anni. E' stato protagonista di una stagione irripetibile della fotografia italiana, quella in cui l'obiettivo non serviva solo a documentare, ma a capire, a sentire, a prendere posizione. Dopo diversi lavori di impronta socio-antropologica sulla realtà della sua Napoli, la sua ricerca si è focalizzata sul mito antico delle civiltà mediterranee ('Isolario mediterraneo', 2000) e sugli spazi urbani, oniricamente deprivati della presenza umana ('Città visibili', 2006). Nato il 29 marzo 1934 a Napoli nel Rione Sanità, figlio di un'Italia povera e indomita, Domenico 'Mimmo' Jodice aveva imparato presto che il vedere è una forma di resistenza. La fame, l'ingiustizia, la fatica di vivere nei vicoli di Napoli furono le prime lezioni di composizione: insegnarono a guardare, e poi a raccontare, ciò che gli altri non volevano vedere. Negli anni Cinquanta si avvicina per caso alla fotografia. Non aveva studi accademici: autodidatta, curioso, mosso da una fame di immagini più che di pane. Nei primi esperimenti degli anni Sessanta - quelli presentati da Lucio Amelio, tra i fermenti dell'arte concettuale napoletana - la fotografia diventa linguaggio puro, spazio di libertà. Collabora con Andy Warhol, Joseph Beuys, Sol LeWitt, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis: artisti che, come lui, credevano che l'arte potesse cambiare la percezione del reale. Fu allora che Jodice cominciò a pensare la fotografia come un'arte autonoma, non ancella della pittura né semplice strumento di cronaca. "Volevo che la fotografia entrasse nell'Accademia come il disegno o la scultura", raccontava. E ci riuscì: dal 1970 al 1994 insegnò fotografia all'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove fondò la prima cattedra italiana della disciplina. Per generazioni di studenti fu maestro e compagno di cammino, uno che portava i ragazzi per strada "a educare lo sguardo alla luce", a eliminare il superfluo fino a far emergere la forma pura delle cose. Ma la sua storia non è solo quella di un artista, è quella di un uomo che ha creduto nella fotografia come strumento di giustizia. Negli anni Settanta, con la moglie Angela, militante e compagna di vita, pubblica riviste come 'Il cuore batte a sinistra' e 'Fabbrica e città', denunciando lo sfruttamento, lo scempio edilizio, la miseria delle periferie. Jodice fotografava "per cambiare il mondo". Le sue immagini - i vicoli, gli operai, i bambini del colera - sono colpi di luce e di pietà, mai di retorica. Poi arrivò la delusione: "Dopo dieci anni di impegno capii che nulla stava cambiando. Mi distrusse. Per un anno non fotografai più". Da quella crisi nacque la seconda vita di Jodice. Quando tornò a scattare, il suo sguardo si era spostato dentro di sé. 'Vedute di Napoli' (1980) segna la svolta: la città appare deserta, senza uomini, sospesa in una dimensione metafisica. È la Napoli dell'attesa, "deserta, triste, angosciante, ma anche misteriosa e bellissima". Da allora, le sue fotografie diventeranno luoghi del silenzio, spazi dove il tempo si ferma per lasciare parlare la memoria. La parola 'Attesa' ritorna spesso nel suo lessico. Non è rassegnazione, ma tensione: "tendere a", come suggerisce l'etimologia latina. In quell'attendere, Jodice trovava la speranza che il mondo potesse ancora cambiare, anche solo attraverso la contemplazione. Le statue greche del ciclo "Anamnesi", i templi di Mediterraneo, le nature morte di Eden: tutto in Jodice è movimento interiore, passaggio tra passato e presente, sogno e realtà. Ogni fotografia è un ponte invisibile tra l’uomo e ciò che resta. Nonostante la fama internazionale - le mostre al Philadelphia Museum of Art, al Louvre, alla Maison Européenne de la Photographie, al Museo di Capodimonte, al Mart, al Masp di San Paolo del Brasile - Jodice è rimasto sempre napoletano, nel senso più alto e tragico del termine: legato alla sua terra come a una madre dolente. Napoli per lui non è mai stata sfondo, ma interlocutrice, corpo vivo da interrogare e da amare. "È una città che non finisce mai di morire e di rinascere", diceva. Nel 2003 ricevette il Premio Antonio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei, primo fotografo a ottenerlo; nel 2006 fu insignito della laurea honoris causa in Architettura dall'Università Federico II di Napoli. Ma la consacrazione definitiva arrivò con le grandi retrospettive: nel 2007 espone alla Fondazione Forma di Milano l'importante retrospettiva "Perdersi a guardare - Trenta anni di fotografia in Italia" che verrà poi esposta l'anno successivo ad Arles e di cui l'Editore Contrasto pubblica il libro omonimo in italiano, inglese e francese. Il Museo d'arte contemporanea di Napoli (Madre) nel 2016 dedica la grande retrospettiva sul lavoro del fotografo dal titolo "Attesa 1960-2016". E infine "Senza Tempo" alle Gallerie d'Italia di Torino, curata da Roberto Koch con un documentario di Mario Martone. In quelle ottanta fotografie - esposte dal 29 giugno 2023 al 7 gennaio 2024 - scorreva mezzo secolo di sguardi, sperimentazioni, solitudini. Era un testamento visivo, e anche una confessione. Jodice parlava poco, ma sapeva ascoltare e, soprattutto, guardare. "Le mie fotografie sono i miei pensieri", ripeteva. In effetti, la sua opera sembra un lungo dialogo con se stesso e con la luce. Il bianco e nero di Jodice non è mai contrasto netto: è vibrazione, respiro, coscienza. Ogni scatto è una soglia, come se la macchina fotografica fosse un luogo di meditazione. La sua Napoli, come il suo Mediterraneo, vive in un tempo che non è più storico, ma interiore. Le rovine classiche, i volti di pietra, i porti sospesi in una calma innaturale raccontano una civiltà scomparsa e insieme ancora presente, un Sud che è luogo dell’anima. È questo, forse, il segreto della sua grandezza: avere restituito all’Italia un’immagine di sé lontana dai cliché, tragica e luminosa, ferita e immortale. Nel suo ultimo libro, "Saldamente sulle nuvole" (Contrasto, 2023), scritto con Isabella Pedicini, Jodice ripercorre la sua vita con la tenerezza di chi si sente parte di un sogno più grande. Parla di Angela, della sua compagna di sempre, e del figlio Francesco, anch’egli fotografo. Parla della povertà e della libertà, delle illusioni e delle attese. "Forse - scrive - le fotografie più belle sono quelle che ancora devo fare, chiuse in una busta Ferrania". Oggi quella busta resta sigillata, ma la sua eredità continua a svilupparsi nella memoria collettiva. (di Paolo Martini)
(Adnkronos) - I numeri dell’occupazione nel Veneto sono tutti sopra la media nazionale ma i conti sulle retribuzioni non tornano, soprattutto quelli delle donne e occorre intervenire con politiche mirate. Questi i temi al centro della discussione nell’assemblea di Manageritalia Veneto che si è svolta oggi all’Hotel Veronesi La Torre di Verona. L’incontro, aperto dal presidente Lucio Fochesato e dal vicepresidente Manuel Modolo, ha visto la partecipazione di Antonio Furlanetto, ceo di Skopìa Anticipation Services, con un intervento dal titolo 'Prepararsi ai futuri: sfide, visioni, competenze. Suggestioni per gestire i cambiamenti', che ha stimolato una riflessione sul ruolo del manager nel contesto attuale e futuro. L’assembla ha affrontato anche il tema della crescita a partire dai dati Istat che vedono l’occupazione totale in Veneto al 70,2% (62,3% donne e 78% uomini) e Venezia è la 47esima provincia in classifica con il 68,1% (60,7% donne e 75,5% uomini) mentre Verona è la 17esima con il 70,6% (62,6% donne e 78,4% uomini) entrambe abbondantemente sopra la media nazionale pari al 62,2% (53,3% donne e 71,1% uomini). Spiccano i dati dei 25-34enni: a Venezia la media totale è del 76,6% (donne al 68,1% e uomini all’87%) e a Verona è dell’80,8% (71,1% donne e 88,6% uomini), mentre a livello regionale la media per i giovani è dell’80,8% (donne 71,5% e uomini 89,6%). In questa fascia d’età la media nazionale è del 68,7% con il 60,8% delle donne e il 76,2% degli uomini. Guardando, invece, alle retribuzioni (quella lorda oraria per i dipendenti) se in Italia siamo a 14,78 euro di media, (15,40 uomini e 13,88 donne), in Veneto la media totale è ancora più bassa (14,70% di cui 13,70 euro per le donne e 15,44 euro per gli uomini). Valori non così distanti dal minimo legale proposto dalle forze sindacali di 9 euro. “I dati sull’occupazione ci raccontano una regione dinamica e in crescita, ma non possiamo accontentarci. È urgente affrontare il tema delle retribuzioni con interventi strutturali e una maggiore valorizzazione del ruolo femminile nel management. Solo così potremo trasformare la crescita occupazionale in un vero progresso sociale, equo e sostenibile. Il livello medio delle retribuzioni in Veneto, pur in un contesto produttivo avanzato, resta troppo vicino alla soglia minima e non riflette adeguatamente il valore del lavoro, soprattutto quello femminile. Serve un cambio di passo culturale e strategico”, ha dichiarato Lucio Fochesato, presidente di Manageritalia Veneto. In Veneto (secondo i dati elaborati da Manageritalia su base Inps) assistiamo a una crescita complessiva dei manager che si assesta al +1.4% nell’ultimo anno, arrivando a toccare 8.684 dirigenti (7.279 uomini e1.405donne) attivi in tutta la regione. Bilancio in positivo in 5 provincie su 7. Verona + 3,4%, Padova +5,2%. Bene Vicenza +3,5% anche Treviso +1,3%. Realtà in controtendenza Rovigo -0.7% Venezia -10,9%.
(Adnkronos) - In occasione del World Energy Day, giornata che promuove a livello globale un utilizzo più consapevole e sostenibile delle risorse energetiche, Automobili Lamborghini annuncia il completamento dell’ampliamento del proprio impianto fotovoltaico nello stabilimento di Sant’Agata Bolognese. L’impianto - si sottolinea - "segna un ulteriore passo nella strategia di decarbonizzazione della Casa e rafforza l’autonomia energetica del sito produttivo". D'altronde il percorso di Automobili Lamborghini nell’ambito delle energie rinnovabili è iniziato nel 2010 con l’installazione del primo impianto fotovoltaico, successivamente esteso fino a raggiungere una superficie complessiva di 15.000 mq, tra i più grandi della regione all’epoca, in grado di generare oltre 2 milioni di kWh all’anno e ridurre circa 800 tonnellate di CO₂ ogni anno. L’ampliamento dell’impianto fotovoltaico si inserisce in un processo che già nel 2015 ha visto Automobili Lamborghini conseguire il raggiungimento della neutralità carbonica on balance del sito produttivo: un traguardo - si spiega - conseguito come scelta volontaria e pionieristica, che ha reso lo stabilimento di Sant’Agata Bolognese il primo certificato all’interno del Gruppo Audi e il primo al mondo a ottenere la certificazione di neutralità da parte dell’ente DNV". Da allora, Automobili Lamborghini ha mantenuto questo status nonostante il raddoppio delle superfici produttive, grazie a una strategia integrata che combina crescita dello stabilimento, investimenti in efficienza energetica, riduzione diretta delle emissioni e progetti di compensazione delle emissioni residue. Con l’ampliamento appena ultimato, che ha interessato la superficie in copertura del magazzino, la capacità complessiva dell’impianto è cresciuta ulteriormente: oggi è in grado di produrre circa 2,89 milioni di kWh aggiuntivi all’anno, garantendo una riduzione stimata delle emissioni pari a 1.200 tonnellate di CO₂ annue. L’intervento ha previsto l’installazione di più di 4.000 pannelli fotovoltaici su una superficie di circa 12.000 metri quadrati, con una potenza installata complessiva pari a 2,5 MWh.