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(Adnkronos) - Allarme organico nei pronto soccorso italiani. Da gennaio 2026 uno su quattro avrà la metà del personale necessario. Lo rileva un'indagine della Società italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza (Simeu), condotta nei giorni 18 e 19 novembre. L’indagine istantanea su un campione di circa 50 pronto soccorso selezionati, corrispondenti per numero di strutture e quantità di accessi nel 2024 (oltre 2.300.000) al 12% del totale nazionale, raggiungono una discreta significatività rispetto alla realtà complessiva. La composizione del campione corrisponde alla situazione attuale anche dal punto di vista del livello delle strutture rispondenti: 26% Dea di II livello, 63% Dea di I livello, 11% strutture di pronto soccorso. È stato chiesto ai direttori di Struttura di dichiarare la copertura di organico medico prevista per il gennaio 2026, data che potrebbe rivelare nuove carenze in ragione della progressiva scadenza dei contratti con le società di servizi, nonché per la possibile scadenza di alcune tipologie di contratto risalenti alla pandemia ma tuttora in vigore. Ebbene, le risposte hanno evidenziato che "il 26% avrà meno del 50% dell’organico previsto; il 39% avrà un numero di medici in servizio tra il 50% e il 75% del necessario; il 31% delle strutture vedrà una copertura dell’organico superiore al 75% (il 100% è raggiunto molto raramente); nel 4% delle strutture l’organico medico sarà inferiore al 25% del necessario", riporta l'indagine della Simeu. “Questi dati evidenziano come il 69% dei pronto soccorso preveda per il gennaio prossimo una copertura organica inferiore al 75%, con quasi il 30% inferiore addirittura al 50%” - sottolinea il presidente nazionale Simeu Alessandro Riccardi – i dati, pur in lieve miglioramento rispetto agli anni precedenti, confermano come la crisi del personale medico continui a rappresentare un elemento fortemente critico nel sistema dell’emergenza urgenza. In mancanza della messa in campo di altre soluzioni per il prossimo futuro si conferma la necessità di ricorrere a soluzioni tampone, quali prestazioni aggiuntive e reclutamento di professionisti con modalità contrattuali esterne alla dipendenza dal Ssn”
(Adnkronos) - “Negli ultimi anni si è parlato molto di pensioni ma si sia fatto purtroppo molto poco, soprattutto per i lavoratori con redditi medio-bassi. Il sistema contributivo ha preso il posto di quello retributivo, ma non abbiamo visto l’introduzione di una vera flessibilità. Anzi, la flessibilità concessa è stata rigida e riservata a categorie spesso più abbienti”. E' quanto ha detto Paolo Ricotti, presidente nazionale del Patronato Acli intervenuto al seminario “Previdenza Next Gen” a Roma. Da qui il richiamo di Ricotti alla necessità di un “pacchetto flessibilità”, che permetta alle persone di scegliere quando andare in pensione: “Serve consentire l’uscita tra i 63 e i 65 anni con almeno 20 anni di contributi, come in un’evoluzione della riforma Dini. Ovviamente con delle decurtazioni, ma con la possibilità per ciascuno di decidere se privilegiare più tempo libero o più reddito. Questa è la vera flessibilità, possibile nel sistema contributivo ma oggi di fatto inesistente”. Ricotti ha sottolineato come le misure sperimentali degli ultimi anni abbiano avuto un impatto minimo: “Quota 103, nel 2024, è stata utilizzata da appena 1.100 persone in Italia. Segno evidente che non si trattava di un’opzione realmente accessibile”, ha detto. Il presidente del Patronato Acli ha messo poi in guardia sulle conseguenze della scomparsa della pensione minima nel contributivo. “Quando le carriere lavorative si interrompono per lutto, malattia o infortunio, oggi vengono liquidate pensioni da 100 o 200 euro al mese: importi insostenibili. Senza una pensione minima di garanzia –ha aggiunto– non rispettiamo l’articolo 38 della Costituzione, che impone allo Stato di assicurare mezzi adeguati anche in caso di eventi avversi. Dobbiamo ripristinare un livello minimo che garantisca alle persone una vita dignitosa”.
(Adnkronos) - "Il sistema di finanziamento della gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati (ovvero i pannelli installati in impianti che non beneficiano degli incentivi previsti dai Conti Energia) non potrà garantire il corretto trattamento di questi rifiuti: il contributo unitario 'segregato' per ciascun pannello non è infatti sufficiente a coprire tutti i costi di gestione (trasporto, rimozione delle sostanze inquinanti, riciclo) del pannello stesso". È quanto emerge dallo Studio 'La gestione nel rifiuto fotovoltaico in Italia: un nuovo modello di finanziamento' realizzato dal Laboratorio Ref Ricerche. “La gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è certamente l’aspetto più delicato del settore dei Raee - afferma Giorgio Arienti, direttore generale Erion Weee - Nei prossimi anni assisteremo a una crescita esponenziale delle quantità di pannelli che saranno dismessi: a ciascuno di questi pannelli è associato, in un trust di uno dei numerosi Consorzi Raee, un contributo del tutto insufficiente ad assicurare una corretta gestione. Per evitare un disastro ambientale è indispensabile modificare al più presto la normativa”. I numeri: entro il 2050 si stima che oltre ai 300 milioni di pannelli fotovoltaici già installati, altri 20 milioni di pannelli saranno allacciati alla rete. Nel giro di pochi decenni, il numero di pannelli destinati alla dismissione aumenterà di quasi trenta volte, con ricadute enormi per i detentori degli impianti, i consorzi e l’intera collettività. Si passerà dai circa 427mila pannelli smaltiti nel 2025 a oltre 12 milioni nel 2050, con un corrispondente incremento della quantità da trattare: da 9mila tonnellate a 264mila tonnellate annue di Raee fotovoltaici da smontare, trasportare e gestire correttamente. In base alla normativa vigente, il finanziamento del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è a carico dei Produttori di tali pannelli. "Al momento dell’immissione sul mercato di un pannello, il Produttore versa al Consorzio a cui aderisce un contributo - stabilito dal Consorzio stesso - che viene segregato in un trust; questo contributo (univocamente associato a quel pannello) sarà 'liberato' quando il pannello giungerà a fine vita, e sarà utilizzato per finanziare le attività di riciclo di quel pannello - spiega Erion in una nota - Negli ultimi anni, la 'caccia ai Produttori' ha spinto la maggior parte dei Consorzi Raee ad abbassare continuamente il valore del contributo chiesto per i pannelli fotovoltaici non incentivati: valori vicini a 1 euro non sono sufficienti per garantire il corretto trattamento di un pannello tra 10, 15 o 20 anni". “Lo studio fatto da Ref Ricerche solleva seri dubbi sulla sostenibilità economica del sistema oggi in vigore e sulla sua reale capacità di coprire i costi di gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati, dato che non è serio fare oggi una scommessa su quanto costerà smaltire un modulo tra vent’anni, poiché il potenziale valore delle materie prime in esso contenute è una assoluta incognita - continua Arienti - Certo, il totale delle risorse accantonate è ingente, ma il contributo unitario (quello che può essere utilizzato per la gestione del singolo pannello, a cui il contributo unitario è associato) non è sufficiente. È un paradosso: nei trust dei Consorzi ci sono milioni di euro, ma questa montagna di denaro non riuscirà ad assicurare un corretto riciclo dei pannelli”. Cosa accadrà? Secondo l'analisi, la mancanza di adeguate risorse finanziarie favorirà comportamenti opportunistici, come l’esportazione dei pannelli dismessi verso 'paesi emergenti' (privi di adeguati impianti di trattamento) o il loro abbandono nell’ambiente. Oltre ai rischi ambientali, questa gestione non corretta si porrebbe in contrasto con le direttive europee, che promuovono il recupero dei materiali (vetro, alluminio, silicio e argento) compromettendo lo sviluppo di una filiera circolare nazionale e trasformando una misura nata per garantire sostenibilità e responsabilità ambientale in un potenziale boomerang finanziario, sociale e ambientale. Sulla base delle evidenze dello studio di Ref Ricerche, Erion Weee propone l’adozione del modello di finanziamento generazionale - già utilizzato per tutte le altre tipologie di Raee Domestici - anche ai pannelli fotovoltaici: con questo modello, la responsabilità economica della gestione del fine vita è attribuita ai Produttori presenti sul mercato in ciascun anno, in proporzione all’immesso sul mercato nello stesso anno. Questo modello 'generazionale', che funziona in settori a bassissima crescita come quello dei frigoriferi o dei 'grandi bianchi', a maggior ragione funzionerebbe in un settore in costante, significativo sviluppo come quello del fotovoltaico: se un Produttore esce dal mercato, ci saranno certamente altri Produttori in grado di farsi carico - anno per anno - dei costi di una corretta gestione dei Raee fotovoltaici. Inoltre, nel lungo termine, si affiancheranno nuove tecnologie sostitutive che finanzieranno progressivamente il fine vita di tali rifiuti, come avvenuto in tante altre categorie di prodotti. “Il sistema impiantistico nazionale si sta già preparando ad accogliere volumi crescenti di pannelli da trattare, anche grazie agli investimenti del Pnrrr - conclude Arienti - È necessario che il modello di finanziamento venga adeguato a garantire la sostenibilità ambientale ed economica nel lungo periodo scongiurando lo scoppio di una bolla che creerebbe un danno economico, ambientale e reputazionale di dimensioni clamorose”.