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(Adnkronos) - Mixed signals. Sono così definiti in inglese i messaggi contrastanti che Donald Trump ha lanciato ai microfoni di 60 Minutes, a due mesi dall'avvio dell'operazione al largo delle coste di Caracas, iniziata con raid mirati contro imbarcazioni di "narcoterroristi" e diventata il più grande dispiegamento militare americano nella regione dell'ultimo decennio. Da una parte il presidente americano ha detto di "dubitare" che gli Stati Uniti andranno in guerra contro il Venezuela, dall'altra però si è detto convinto che Nicolas Maduro abbia "i giorni contati". Parole destinate a rafforzare le accuse di Maduro, incriminato negli Stati Uniti per narcotraffico, che afferma che Washington sta usando i raid contro i presunti narcos per "imporre un cambio di regime" a Caracas e prendere il controllo del petrolio venezuelano. Da settembre a oggi sono oltre 15 i raid condotti contro imbarcazioni nel Mar dei Caraibi, e recentemente anche nel Pacifico, da parte delle forze militari Usa, con l'uccisione di almeno 65 persone definite dall'amministrazione Trump "narcoterroristi", senza però fornire prove specifiche a sostegno. I raid hanno provocato le condanne dei leader della regione, in particolare il presidente colombiano Gustavo Petro che ha accusato il governo americano di "omicidio" di un innocente pescatore e "violazione della sovranità nelle nostre acque territoriali" con Trump che ha risposto tacciandolo di essere il "leader dei narcos". Senza contare che molti esperti, ed esponenti del Congresso, hanno messo in dubbio la legalità di questi raid, ai quali è stato affiancato il dispiegamento militare. Nel corso degli ultimi due mesi gli Usa hanno dispiegato 10mila militari nella regione, ammassato almeno otto navi della Marina Usa e un sottomarino di fronte alle coste settentrionali dell'America del Sud, hanno ordinato a bombardieri B-52 e B-1 di sorvolare le coste del Venezuela e diretto verso la regione lo Strike Group della portaerei Gerald Ford, considerata dall'Us Navy "la più efficace e letale del mondo". "Si tratta di regime change, probabilmente non invaderanno, la speranza è che questo mandi dei segnali", ha recentemente detto alla Bbc Christopher Sabatini, esperto di America Latina della Chatham House, sottolineando che il 'build up" militare è teso ad "incutere paura" ai militari venezuelani e all'entourage di Maduro in modo da spingerli a ribellarsi al leader chavista che ha assunto il potere alla morte di Hugo Chavez nel 2013 e poi rieletto nel 2018 e poi del 2024, in un voto contestato da opposizione e comunità internazionale, con Usa e Ue con non lo riconoscono come presidente legittimo. La postura aggressiva di Washington nei confronti di Maduro è anche il risultato della soluzione di un conflitto interno all'amministrazione Trump riguardo alla politica con Caracas, che ha visto dalla scorsa estate l'imporsi dei fautori del cambio di regime, guidati dal segretario di Stato Marco Rubio. In effetti nei primi mesi della nuova presidenza Trump, sembrava essersi imposta la fazione dialogante, guidata dall'inviato speciale Richard Grenell, che era anche volato a Caracas per incontrare Maduro, riportando poi a casa un gruppo di prigionieri americani, insieme ad accordo per aprire agli Usa il cruciale mercato petrolifero e minerario venezuelano. In estate però è arrivata la svolta e Rubio, che definiva Maduro "un orribile dittatore" senza nascondere che stava lavorando ad "una politica" per costringerlo a lasciare il potere, ha rovesciato i termini del discorso, dicendo che non si trattava più di promuovere la democrazia, ma di difendere il territorio nazionale dall'infiltrazione del narcotrafficanti e della gang come il Tren de Aragua che avrebbero in Maduro il vero leader con il Venezuela quindi "governato da un'organizzazione di narcotrafficanti". Una narrativa che sembra aver convinto Trump, scriveva nei giorni scorsi Foreign Affaris, che a luglio ha così ordinato al Pentagono di ricorrere alla forza militare letale per colpire i narcos che, secondo l'amministrazione, rispondono direttamente a Maduro e ai suoi luogotenenti. Due settimane dopo l'amministrazione ha raddoppiato la taglia messa sulla testa di Maduro, da 25 a 50 milioni di dollari. E a metà ottobre Trump ha rivelato di aver autorizzato operazioni clandestine della Cia in Venezuela: "Ora guardiamo alla terra, perché abbiamo bene sotto controllo il mare", affermava riferendosi al dispiegamento navale. Di fronte all'intensificarsi della tensione e del rafforzamento delle posizioni militari Usa nella regione, Maduro, che in questi 12 anni ha fatto precipitare il Paese in una crisi politica e economica senza precedenti, con quasi 8 milioni di persone che hanno lasciato il Paese, ha continuato pubblicamente ad accusare Trump di voler "provocare una nuova guerra", mentre in privato si è rivolto a Cina, Russia e Iran, sollecitando aiuto e assistenza militare, secondo quanto rivelato dal Washington Post nei giorni scorsi. Infine bisogna considerare le posizioni dell'opposizione venezuelana, su cui sono stati accesi i riflettori nelle scorse settimane quando il comitato di Oslo del Nobel, ha conferito alla pasionaria anti-Maduro Maria Corina Machado il premio Nobel della pace. Grande alleata di Trump, che quindi non ha potuto lanciare contro di lei strali e anatemi per avergli sottratto il premio che secondo lui gli spettava ad ogni diritto, la neo Nobel per la pace sostiene a gran voce la strategia militarizzata contro Maduro, affermando che ricade su di lui la responsabilità di fare un passo indietro per evitare l'escalation. "Maduro e la sua struttura di narcoterrorismo sono stati sostenuti dal traffico di droga, di oro, di armi e anche di essere umani, e dobbiamo tagliarlo", ha detto Machado in una recente intervista alla Cnn, appoggiando e giustificando i raid letali americani. "Abbiamo bisogno dell'aiuto del presidente degli Usa per fermare la guerra" che Maduro starebbe conducendo contro il suo stesso Paese. E' però di parere diverso Henrique Capriles, candidato alle presidenziali del 2012 e del 2013 che considera il Vente Venezuela di Machado un partito "estremista" e rifiuta l'idea di un intervento armato Usa, chiedendo nuovi negoziati con Maduro: "Continuo a credere che i negoziati siano sempre migliori per il futuro del Venezuela", ha detto l'ex governatore dello stato di Miranda accusato da parti dell'opposizione di essere un 'venduto' per aver vinto un seggio nell'Assemblea Nazionale controllata dal partito di governo in elezioni da altri boicottate. Secondo un sondaggio realizzato a fine agosto dalla società di ricerca londinese Panterra, il 70% dei venezuelani si oppone al governo Maduro, con il 60% che è favorevole al sostegno Usa alla leadership di Machado, e solo il 16% in favore di nuovi negoziati con Maduro. In una lunga analisi Foreign Affairs concludeva che "aperto o segreto ogni tentativo di cambio di regime in Venezuela andrebbe incontro a sfide formidabili", ricordando che finora i tentativi coperti sono falliti ed è "improbabile che le minacce della forza o i raid aerei costringeranno Maduro a fuggire". E anche se Washington dovesse riuscire a deporre Maduro, "il gioco a lungo termine del cambio di regime sarebbe rischioso, storicamente il dopo di queste operazioni sono state caotiche e violente".
(Adnkronos) - Dopo il grande successo della prima edizione che si era chiusa con oltre 20.000 incontri tra candidati e aziende e con un pubblico variegato proveniente da tutta Italia, Domani Lavoro torna a Brescia dal 6 all’8 novembre presso Brixia Forum, con una nuova edizione ancora più ricca di opportunità, contenuti e collaborazioni. Organizzato da Seven events in collaborazione con ProBrixia e Area Fiera, l'evento si conferma come il principale punto di incontro tra aziende, enti formativi, istituzioni e candidati, con un obiettivo concreto: mettere in contatto diretto domanda ed offerta. "Domani Lavoro - dice in un'intervista all'Adnkronos/Labitalia Mauro Grandi, ceo di Seven Events - nasce per cambiare davvero l’esperienza di chi cerca un impiego o vuole crescere professionalmente. A differenza delle fiere tradizionali, dove spesso si consegna un curriculum e si attende una risposta, qui i candidati incontrano direttamente i responsabili hr delle aziende, parlano con loro, si raccontano e possono sostenere anche dieci colloqui in un solo giorno. E' un’occasione concreta, che ridà centralità alla relazione umana e accorcia i tempi tra candidatura e opportunità. Accanto all’esperienza dal vivo, abbiamo integrato strumenti digitali di matching, che permettono di incrociare in modo intelligente profili e offerte di lavoro già prima dell’evento, programmando i colloqui. In questo modo la fiera diventa un luogo dove fisico e digitale si incontrano: la tecnologia potenzia il contatto umano, non lo sostituisce". L'evento riunisce oltre 200 aziende e più di 1.600 offerte di lavoro. Ma quali settori professionali risultano oggi più dinamici e quali competenze sono maggiormente richieste dalle imprese presenti? "Il mercato del lavoro italiano - sottolinea - sta vivendo una fase di forte trasformazione. Secondo Unioncamere-Anpal, nel 2025 le imprese prevedono oltre 1,4 milioni di nuove assunzioni, con un fabbisogno crescente di profili tecnici e digitali. I settori più dinamici, rappresentati anche in fiera, sono manifatturiero avanzato, Ict e intelligenza artificiale, energia e sostenibilità, servizi alle imprese e grande distribuzione. Le aziende cercano figure con competenze specialistiche, ma anche persone capaci di adattarsi e collaborare. Le soft skills – comunicazione, problem solving, lavoro di squadra – stanno diventando decisive quanto le competenze tecniche. Cresce inoltre la domanda di profili Stem, data analyst, esperti di automazione, marketing digitale e green economy, a conferma di un mercato sempre più orientato all’innovazione". "Uno degli obiettivi centrali di Domani Lavoro - ricorda - è favorire il dialogo tra scuola, impresa e istituzioni. Questo dialogo è uno dei pilastri di Domani Lavoro. Crediamo che il futuro si costruisca solo se formazione, imprese e istituzioni lavorano insieme. Durante la fiera abbiamo previsto incontri, tavoli di confronto e momenti di networking tra dirigenti scolastici, università, Its, aziende e amministrazioni pubbliche, per discutere di competenze, orientamento e occupabilità giovanile. Il nostro obiettivo è rendere più fluido il passaggio tra scuola e lavoro, costruendo percorsi condivisi che uniscano teoria e pratica. Ci aspettiamo che da questi momenti nascano collaborazioni durature e progetti formativi concreti, capaci di rispondere ai reali bisogni del territorio e delle imprese". "Il programma della fiera - afferma Mauro Grandi - include incontri su temi come inclusione, intelligenza artificiale, soft skills e benessere lavorativo. Temi che rappresentano la realtà del lavoro di oggi. Le imprese non cercano solo competenze tecniche, ma persone consapevoli, curiose e aperte al cambiamento. Parlare di inclusione, intelligenza artificiale, soft skills, parità di genere e benessere significa guardare al lavoro come a uno spazio di crescita umana, non solo professionale. Domani Lavoro affronta questi argomenti con talk ispirazionali, workshop e testimonianze aziendali, aiutando i partecipanti a leggere i cambiamenti in atto e a costruire un percorso di carriera coerente con i nuovi scenari. E' una fiera che non si limita a offrire colloqui, ma propone una riflessione concreta sul futuro del lavoro e sulle competenze necessarie per viverlo da protagonisti". "La piattaforma di digital matching prevista da Domani Lavoro - commenta - è uno dei nostri punti di forza. E' un sistema che permette a candidati e aziende di incontrarsi prima, durante e dopo la fiera, incrociando automaticamente profili e offerte e consentendo di prenotare i colloqui. Questo strumento rende il processo molto più efficiente: i candidati arrivano in fiera già con una serie di appuntamenti fissati e possono concentrarsi sulle opportunità più adatte".
(Adnkronos) - L'Italia continua ad investire nel verde: oltre 3 milioni di nuovi alberi messi a dimora nel corso del 2024 (+ 31% in un anno) per un totale di quasi 4mila ettari di superficie. Un investimento in capitale naturale che andrà a generare un ritorno economico di più di 20 milioni di euro l'anno in servizi ecosistemici per ciascuno degli anni di vita degli impianti arborei ed arbustivi messi a dimora. È quanto emerge dalla quinta edizione dell'Atlante delle Foreste, il rapporto annuale realizzato da Legambiente e AzzeroCO2. Lo studio, basato sull'analisi di circa 294 progetti distribuiti in aree urbane ed extraurbane lungo la Penisola mostra come a livello territoriale l'impulso decisivo nel 2024 venga dai rimboschimenti nelle Città metropolitane, mentre le Regioni affrontano un rallentamento dovuto al passaggio tra i vecchi e i nuovi piani di finanziamento. Nonostante il bilancio totale positivo, a ridursi sensibilmente è il contributo diretto delle aziende. Andando ad analizzare i dati complessivi regionali, in cima alla classifica si conferma per il secondo anno consecutivo il Trentino-Alto Adige, con oltre 748mila nuove piante, seguito dalla Basilicata che ne conta più di 539mila. Sale nella classifica, guadagnando il terzo posto, il Veneto. Se molte Regioni sono in una fase di attesa, a trainare la forestazione nazionale del 2024 sono le Città metropolitane, grazie all'impulso decisivo dei fondi del Decreto Clima e del Pnrr. È il centro sud a guidare la classifica con le prime posizioni occupate da Messina e Roma, rispettivamente 357.612 e 265.501 nuove piante messe a dimora. Seguite da Reggio Calabria, Cagliari e Napoli. Quest’anno lo studio evidenzia che circa il 75% dei progetti ammessi a finanziamento nel 2022 con i fondi del Pnrr ha completato la fase di transplanting. Sul fronte delle fonti di finanziamento, lo studio evidenzia un andamento divergente. Per il periodo preso in esame gli investimenti pubblici si rivelano il pilastro della forestazione nazionale, con una crescita del 31% trainata dai fondi del Pnrr. Vi è però da evidenziare come si registri una brusca frenata del settore privato: i contributi volontari, spesso legati a iniziative di Corporate Social Responsibility (Csr) delle imprese, sono scesi del 72% rispetto al 2023 traducendosi in appena 40.852 alberi messi a dimora. Le ragioni di tale contrazione, secondo il report, non indicano un calo di interesse, ma una diversificazione nelle strategie di Csr delle imprese. “Il calo degli investimenti privati, che potrebbe sembrare un segnale negativo, in realtà racconta un cambio di prospettiva. Le aziende proseguono sempre sulla strada della sostenibilità superando però l'approccio focalizzato su un singolo tipo di intervento per adottare piani più ampi e integrati, che includono ad esempio azioni di tutela e ripristino degli ecosistemi - ha commentato Sandro Scollato, amministratore delegato di AzzeroCO2 - La domanda che ci viene posta oggi dalle imprese non è più soltanto ‘quanti alberi piantiamo?’ ma ‘come possiamo creare valore per il territorio?’. Così si moltiplicano progetti di rigenerazione ambientale e di promozione della biodiversità che, pur riducendo il numero di alberi messi a dimora, hanno un altissimo valore ecologico e sociale, confermando come questi siano i veri obiettivi guida delle azioni di Csr delle imprese”. L'analisi dell'Atlante va oltre il semplice conteggio degli alberi e traduce in valore economico i molteplici benefici - i cosiddetti servizi ecosistemici - generati dalle nuove infrastrutture verdi. Tra i più rilevanti la mitigazione di eventi climatici estremi e la regolazione della qualità dell'aria e del suolo il cui valore è stimato in 2.202,9 euro per ettaro all'anno. Tra le voci di rilievo si considera anche il valore socio-culturale, che include l'impatto positivo sul turismo e le attività ricreative, stimato in 639,2 euro per ettaro all'anno. Altra componente importante è il 'valore di lascito', la garanzia, cioè, di consegnare alle generazioni future ecosistemi sani e ricchi di biodiversità, stimata in 2.342,5 euro per ettaro ogni anno. Tuttavia, la piena realizzazione del potenziale economico dei nuovi rimboschimenti dipende da un fattore sempre più critico: la capacità dei nuovi impianti di sopravvivere e prosperare in un clima che cambia. L'Atlante dedica un capitolo approfondito alle tecniche per ridurre i rischi di mortalità delle giovani piante. La crisi climatica, con la siccità e le ondate di calore, sta infatti mettendo a rischio i nuovi progetti. Per evitare che un investimento si trasformi in uno spreco di risorse, è necessario un approccio che va ben oltre la messa a dimora. Questo percorso virtuoso, come indicato nello studio, va iniziato molto prima, con una pianificazione attenta che include l'analisi del suolo e del clima per scegliere le specie più adatte, prosegue con la preparazione del sito per favorire lo sviluppo delle piante e si conclude con un piano di manutenzione. Queste cure post impianto sono decisive e includono interventi come le irrigazioni di soccorso nei periodi di siccità o gli sfalci periodici per controllare le erbe infestanti. Solo in questo modo i progetti di forestazione potranno realmente diventare un investimento duraturo capace di fornire benefici ecologici, economici e paesaggistici alla collettività. “La messa a dimora di alberi è un intervento strategico per un futuro più sostenibile a beneficio dei nostri territori, perché ogni singolo albero in più contribuisce a mitigare il cambiamento climatico, migliora la qualità dell’aria, tutela il suolo e rende le città più belle e vivibili - sostiene il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti - Affinché i benefici che derivano dalle nuove alberature siano duraturi, c’è bisogno di un approccio lungimirante: non basta infatti piantare ma è fondamentale progettare, scegliendo le specie adatte al contesto e garantendo la loro manutenzione nel tempo. Solo in questa maniera la forestazione urbana può affermarsi come una vera infrastruttura verde, generando valore ambientale, sociale ed economico per le comunità. È proprio per promuovere questa visione che anche quest’anno Legambiente torna con la storica campagna Festa dell’Albero, in programma dal 21 al 23 novembre, con decine di iniziative in tutta Italia. L’obiettivo è quello di creare nuovi polmoni verdi nelle città, per renderle più resilienti di fronte agli effetti sempre più estremi della crisi climatica. Una sfida che passa anche da una gestione attenta e continuativa del verde urbano, una risorsa ancora troppo spesso trascurata”.