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(Adnkronos) - La corruzione in Vaticano, il covid, le critiche e il rapporto con Benedetto XVI: questi alcuni dei temi al centro dell'intervista che l'allora direttore dell'Adnkronos Gian Marco Chiocci fece a Papa Francesco il 30 ottobre 2020. Fu un evento storico, la prima intervista rilasciata da Bergoglio a un'agenzia di stampa italiana, e fece il giro del mondo. *** (di Gian Marco Chiocci) - Un filo di voce accompagnato dal sorriso. ”Buongiorno, benvenuto…”. Il Santo Padre mi accoglie così nelle stanze vaticane dove ha acconsentito a rispondere agli interrogativi che tanto stanno scuotendo la Chiesa, preoccupando le porpore, angustiando i fedeli, dividendo gli addetti ai lavori che lo osannano o lo criticano a seconda della parrocchia d’appartenenza. Incontrare un Papa non è cosa di tutti giorni, regala emozioni rare, intense, fortissime anche se il padrone di casa fa di tutto per mettere l’ospite non solo a proprio agio ma – ed è davvero paradossale - sullo stesso piano. Parlare con Lui in una stanza spoglia, due sedie, un tavolo e un crocifisso, mentre fuori tracima l’apprensione per la pandemia, accresce quel desiderio di speranza e di fede di fronte all’ignoto, fede che per alcuni starebbe venendo meno a causa degli scandali, degli sprechi, delle continue rivoluzioni di Francesco e financo del virus, e di questi temi il Papa parlerà nel colloquio con l’Adnkronos. L’occasione è utile innanzitutto per mettere un punto e tirare la riga sull’annosa questione morale fra le mura al di là del Tevere che il Papa stesso non fatica a definire un “male antico che si tramanda e si trasforma nei secoli”, ma che ogni predecessore, chi più chi meno, ha cercato di debellare coi mezzi e le persone sulle quali in quel momento poteva contare. “Purtroppo la corruzione è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione”. Certo, nella vita millenaria della Chiesa non si ricorda un Papa così, tanto coraggioso quanto incurante di inimicarsi la potente curia romana con il mondo affaristico che le scodinzola intorno: Francesco è deciso a fare piazza pulita di ecclesiastici propensi a mettere il denaro (“i primi padri lo chiamavano lo sterco del diavolo e pure San Francesco” dice) prima della Croce. Coerente col suo dettame francescano il Vicario di Cristo fa quel che nessuno ha mai avuto la forza di fare per una Chiesa che sia davvero una casa di vetro, trasparente, com’era quella delle origini, votata agli ultimi, al popolo. In una Chiesa per i poveri, più missionaria, però – ed è questo il credo di Francesco - non c’è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l’abito talare. “La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All’inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: 'qui dentro c’è tutto – disse -, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te'. Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera”. Già, Benedetto XVI. Una narrazione tradizionalista e conservatrice racconta di un Papa emerito perennemente in guerra con quello regnante, e viceversa: dissidi, dissapori, spigolosità, diversità di vedute su tutto e tutti, trame sotterranee e pettegolezzi. C’è del vero? Il Santo Padre si prende qualche secondo e poi sorride: “Benedetto per me è un padre e un fratello, per lettera gli scrivo 'filialmente e fraternamente'. Lo vado a trovare spesso lassù (con il dito indica la direzione del monastero Mater Ecclesiae proprio alle spalle di San Pietro, ndr) e se recentemente lo vedo un po' meno è solo perché non voglio affaticarlo. Il rapporto è davvero buono, molto buono, concordiamo sulle cose da fare. Benedetto è un uomo buono, è la santità fatta persona. Non ci sono problemi fra noi, poi ognuno può dire e pensare ciò che vuole. Pensi che sono riusciti perfino a raccontare che avevamo litigato, io e Benedetto, su quale tomba spettava a me e quale a lui”. Il Pontefice riannoda le fila del discorso partito da lontano, ripensa a quando arrivò al soglio di Pietro e di cosa pensava allora dei mali materiali della Chiesa, nulla rispetto a quel che poi ritroverà affondando le mani nella gestione opaca delle finanze vaticane, l’obolo di San Pietro, l’imprudenza di certi investimenti all’estero, l’attivismo poco caritatevole di pastori d’anime trasformatisi in lupi di rendite. Bergoglio si rifà a Sant’Ambrogio, vescovo, teologo e santo romano, per sintetizzare la sua linea guida: “La Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice. Diciamo meglio: una parte di essa, perché la stragrande maggioranza va in senso contrario, persegue la giusta via. Però è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici della Chiesa, hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli. A me colpisce il Vangelo quando il Signore chiede di scegliere: o segui Dio o segui il denaro. Lo ha detto Gesù, non è possibile andare dietro a entrambi”. Da Sant’Ambrogio il Papa passa alla nonna dispensatrice di buoni consigli: “Lei, che certo non era una teologa, a noi bambini diceva sempre che il diavolo entra dalle tasche. Aveva ragione”. Come aveva ragione quella vecchina incontrata in una sterminata baraccopoli di Buenos Aires il giorno in cui morì Giovanni Paolo II: “Mi trovavo in un autobus – ricorda Francesco - stavo andando in una favela, quando venni raggiunto dalla notizia che stava facendo il giro del mondo. Durante la messa, chiesi di pregare per il Papa defunto. Finita la celebrazione mi si avvicinò una donna poverissima, chiese informazioni su come si eleggeva il Papa, le raccontai della fumata bianca, dei cardinali, del conclave. Al che lei mi interruppe e disse: senta Bergoglio, quando diventerà Papa per prima cosa si ricordi di comprare un cagnolino. Le risposi che difficilmente lo sarei diventato, e se nel caso perché avrei dovuto prendere il cane. “Ogni volta che si troverà a mangiare – fu la sua risposta - ne dia un pezzettino prima a lui, se lui sta bene allora continui pure a mangiare”. Questo pensa la gente del Vaticano? Che la situazione è fuori controllo che può succedere di tutto? “Era ovviamente una esagerazione” taglia corto il Santo Padre. “Ma dava conto dell’idea che il popolo di Dio, i poveri fra i più poveri al mondo, aveva della Casa del Signore attraversata da ferite profonde, lotte intestine e malversazioni”. La lotta pubblica e senza sconti al malaffare vaticano di questi tempi regala l’immagine di un Pontefice molto concreto, deciso, risoluto, un eroe solitario osannato dalle folle ma osteggiato da un nemico invisibile. Un Papa che appare solo nei palazzi del piccolo Stato, ma che solo non è avendo dalla sua la quasi totalità degli osservanti e dei devoti. Francesco inarca le sopracciglia, allarga lentamente le braccia cercando al contempo lo sguardo del suo ospite. Sono secondi interminabili. “Sarà quel che il Signore vuole che sia. Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c’è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta. Ci sono stati esempi di malaffare, di tradimenti, che feriscono chi crede nella Chiesa. Queste persone non sono certo suore di clausura”. Sua Santità ammette di non sapere se vincerà o meno la battaglia. Ma con amorevole risolutezza si dice certo di una cosa: “So che devo farla, sono stato chiamato a farla, poi sarà il Signore a dire se ho fatto bene o se ho fatto male. Sinceramente non sono molto ottimista (sorride, ndr) però confido in Dio e negli uomini fedeli a Dio. Ricordo di quand’ero a Cordoba, pregavo, confessavo, scrivevo, un giorno vado in biblioteca a cercare un libro e mi imbatto in sei-sette volumi sulla storia dei Papi, e anche tra i miei antichissimi predecessori ho trovato qualche esempio non proprio edificante”. Oggi la miglior difesa dei nemici giurati del Papa è l’attacco a Francesco attraverso i continui richiami a quel che presto, sperano, verrà dopo di lui. Una sorta di liberazione e di resurrezione per un pontificato dato già per archiviato perché troppo divisivo, politicamente scorretto, ideologicamente schierato da una parte sola. Sul toto-papa che impazza nei passaparola, Bergoglio la prende con ironia: “Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo. Recentemente, nello stesso giorno, mi sono sottoposto a degli esami medici di routine, i medici mi hanno detto che uno di questi si poteva fare ogni cinque anni oppure ogni anno, loro propendevano per il quinquennio, io ho detto facciamolo anno per anno, non si sa mai (il sorriso stavolta si fa più generoso, nda)”. Papa Bergoglio ascolta con attenzione l’elenco delle critiche che gli sono state rivolte nel tempo, non fa trasparire insofferenza sulla sortita del cardinal Ruini (“criticare il Papa non significa essergli contro”) sembra segnarsele a mente una per una le contestazioni, dalle unioni civili all’accordo con la Cina. Ci pensa su una decina di secondi e infine consegna un pensiero a tutto tondo: “Non direi il vero, e farei torto alla sua intelligenza se le dicessi che le critiche ti lasciano bene. A nessuno piacciono, specie quando sono schiaffi in faccia, quando fanno male se dette in malafede e con malignità. Con altrettanta convinzione però dico che le critiche possono essere costruttive, e allora io me le prendo tutte perché la critica porta a esaminarmi, a fare un esame di coscienza, a chiedermi se ho sbagliato, dove e perché ho sbagliato, se ho fatto bene, se ho fatto male, se potevo fare meglio. Il Papa le critiche le ascolta tutte dopodiché esercita il discernimento, capire cosa è a fin di bene e cosa no. Discernimento che è la linea guida del mio percorso, su tutto, su tutti. E qui – continua Papa Francesco – sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare la verità su quel che sta succedendo all’interno della Chiesa. E’ vero che poi se nella critica devo trovare ispirazione per fare meglio non posso certo lasciarmi trascinare da ogni cosa che di poco positivo scrivono sul Papa”. Il tempo di elaborare la domanda successiva e il Santo Padre anticipa ancor di più la risposta: “Non credo possa esserci una sola persona, dentro e fuori di qui, contraria ad estirpare la malapianta della corruzione. Non ci sono strategie particolari, lo schema è banale, semplice, andare avanti e non fermarsi, bisogna fare passi piccoli ma concreti. Per arrivare ai risultati di oggi siamo partiti da una riunione di cinque anni fa su come aggiornare il sistema giudiziario, poi con le prime indagini ho dovuto rimuovere posizioni e resistenze, si è andati a scavare nelle finanze, abbiamo nuovi vertici allo Ior, insomma ho dovuto cambiare tante cose e tante molto presto cambieranno”. Fatta salva la presunzione di innocenza per chiunque sia finito o finirà nel mirino della magistratura vaticana, è sotto gli occhi di tutti quanto di buono stia facendo Francesco camminando sul filo del dirupo dell’immoralità diffusa in settori precisi della Chiesa. Ci chiediamo, e con un po’ di timidezza chiediamo al Santo Padre: ma il Papa ha paura? La replica stavolta è più ponderata. Il silenzio sembra non finire mai, sembra in attesa di trovare le parole giuste. Sembra. “E perché dovrei averne?” si domanda e ci domanda il Santo Padre. “Non temo conseguenze contro di me, non temo nulla, agisco in nome e per conto di nostro Signore. Sono un incosciente? Difetto di un po’ di prudenza? Non saprei cosa dire, mi guida l’istinto e lo Spirito Santo, mi guida l’amore del mio meraviglioso popolo che segue Gesù Cristo. E poi prego, prego tanto, tutti noi in questo momento difficile dobbiamo pregare tanto per quanto sta accadendo nel mondo”. Il coronavirus è tornato fra noi, si trascina dietro inquietudine, morti e paura. Il Sommo Pontefice si prende la parola e non la lascia più, e parla quasi tenendoti per mano, come non ti aspetteresti mai dal pastore in terra della chiesa universale. “Sono giorni di grande incertezza, prego tanto, sono tanto, tanto, tanto vicino a chi soffre, sono con la preghiera a chi aiuta le persone che soffrono per motivi di salute e non solo”. Il riferimento va ai famosi eroi, i “santi della porta accanto” come ebbe a definirli due settimane dopo l’appuntamento globale del 27 marzo, quand’era solo in piazza San Pietro, sotto la pioggia, in preghiera per la fine della pandemia ai piedi del crocifisso inondato dalle lacrime piovute dal cielo. Padre Santo, gli chiediamo, si prospettano nuovi lockdown, si riparla di restrizioni per il culto, c’è un rischio di ripercussioni per la Chiesa? “Non voglio entrare nelle decisioni politiche del governo italiano ma le racconto una storia che mi ha dato un dispiacere: ho saputo di un vescovo che ha affermato che con questa pandemia la gente si è 'disabituata' – ha detto proprio così - ad andare in chiesa, che non tornerà più a inginocchiarsi davanti a un crocifisso o a ricevere il corpo di Cristo. Io dico che se questa 'gente', come la chiama il vescovo, veniva in chiesa per abitudine allora è meglio che resti pure a casa. E’ lo Spirito Santo che chiama la gente. Forse dopo questa dura prova, con queste nuove difficoltà, con la sofferenza che entra nelle case, i fedeli saranno più veri, più autentici, Mi creda, sarà così”. L’incontro termina qui, il commiato è semplice e commovente più del benvenuto. Diceva San Francesco che un solo raggio di sole è sufficiente a cancellare milioni di ombre. Nella stanza improvvisamente vuota la luce di speranza dell’unico Papa che ha preso il nome dal fraticello d’Assisi resta incredibilmente accesa. E per un istante con l’oscurità del virus si spegne anche il buio del peccato dei consacrati del Signore.
(Adnkronos) - "La mia esortazione personale alle imprese è quella di cogliere le opportunità per aumentare la competitività. Ce ne sono alcune facilmente fruibili e che possono addirittura essere finanziate". Così Flavio Ferretti, presidente di Ibc, l'Associazione industrie beni di consumo, partecipando, oggi a Bologna, al seminario 'Industria dei beni di consumo ed evoluzione del contesto competitivo. Strumenti e soluzioni per la trasformazione digitale'. Un incontro pensato dall’associazione per “avvicinarsi alle aziende direttamente sul territorio”, sottolinea Ferretti. Organizzato in collaborazione con GS1 Italy e la società di consulenza Deloitte, l’evento si inserisce nel piano di iniziative varato da Ibc per promuovere l’innovazione delle imprese associate, con particolare attenzione alle piccole e medie, e rafforzare la collaborazione tra i comparti produttivo e distributivo. “Il tessuto imprenditoriale italiano è molto diffuso e ampio - spiega il presidente dell’associazione - Delle 35mila aziende associate ad Ibc, 20 mila sono micro e piccole, al di sotto del milione di fatturato annuo. Un numero che la dice lunga sull’organizzazione e la tipologia di competenze che queste aziende possono avere nel proprio organico”. Adottare strumenti utili a ottimizzare i processi e aumentare le performance aziendali sono driver di sviluppo imprescindibili in un contesto in continua evoluzione. Proprio nell’intento di supportare le aziende a individuare tali tool, è stata recentemente siglata una partnership tra Ibc e Cerved, che con la piattaforma 'Cerca il bando', raggruppa i bandi disponibili in Italia e supporta le aziende nell'orientamento al loro utilizzo: “Raggiungere gli obiettivi di maggiore digitalizzazione e modernità nei processi logistici - conclude Ferretti - è estremamente necessario per riuscire a portare le nostre aziende a livelli più alti Cerved è la modalità che abbiamo identificato per aiutare gli associati a trovare quelle vie di finanziamento o di contribuzione che altrimenti farebbero più fatica a raggiungere”.
(Adnkronos) - Un laboratorio di buone pratiche che tutelano la biodiversità locale e accompagnano i visitatori alla scoperta della bellezza della natura: Brugherio accoglie il secondo Biodiversity Lab della provincia di Monza e della Brianza. Così E.On, tra i principali operatori energetici in Italia, e Rete Clima, Impresa Sociale che dal 2011 accompagna le imprese verso percorsi Esg e di decarbonizzazione, continuano insieme il proprio percorso per la conservazione della biodiversità degli ecosistemi in Italia. Il Biodiversity Lab è stato inaugurato all’interno del Parco Increa di Brugherio (MB): un vero e proprio 'laboratorio' dedicato alla biodiversità dove sono attuate una serie di azioni orientate alla conservazione ed al miglioramento funzionale degli ecosistemi locali. L’iniziativa, che si inserisce nell’ambito del progetto Boschi E.On e della Campagna forestale nazionale Foresta Italia, ha dato anche vita ad un vero e proprio percorso tra le diverse azioni attuate, che introdurrà i cittadini alla scoperta di soluzioni innovative per la tutela del capitale naturale e della biodiversità arborea, arbustiva ed animale. Il Biodiversity Lab di Brugherio nasce in seguito al successo del primo Lab di Giussano (MB), inaugurato nel 2024, con lo scopo di ripristinare e alimentare la biodiversità della flora e della fauna locali, grazie alla sinergia tra diverse tipologie di interventi, quali: la piantagione di BioForest, dette anche Tiny Forest o Miyawaki Forest, cioè foreste realizzate con tecniche innovative ad alta densità di piantagione per tutelare e promuovere la biodiversità vegetale e animale; l’installazione di un Bugs Hotel, strutture in legno utilizzate da una molteplicità di organismi viventi come rifugio e come luogo riproduttivo; il posizionamento di Biostuoie galleggianti, cioè strutture composte da materiali naturali che favoriscono la crescita di piante acquatiche per rinaturalizzare ambienti degradati e/o artificiali, riducendo il disturbo antropico e creando habitat per avifauna e insetti. Inoltre, è stato creato un Cariceto, una formazione vegetale costituita da piante erbacee tipiche delle zone umide che, una volta affermate, sono in grado anche di resistere a periodi siccitosi. A conclusione, come per Giussano, la realizzazione di una Flower Strip, strisce di rettangoli di terra seminati con diverse specie di fiori selvatici. Il luogo dell’intervento è il Parco Increa, un tempo adibito a uso agricolo e sede di attività estrattive, che oggi rappresenta un polmone verde importante per l’area tra Brugherio e Cernusco sul Naviglio e ospita un lago artificiale, platani monumentali e la panchina in plastica riciclata più lunga d'Italia. In questo contesto, E.On e Rete Clima hanno unito le forze per creare un bosco urbano che possa restituire benefici ecologici e ambientali, tra cui miglioramenti idrogeologici, microclimatici, faunistici e paesaggistici al territorio. "Lo scorso novembre l’Amministrazione Comunale, nell’ambito del costante impegno volto alla tutela e alla valorizzazione degli spazi a verde pubblici, primo fra tutti Parco Increa, ha ritenuto meritevole di attenzione la proposta di collaborazione presentata dall’Associazione Rete Clima per la realizzazione di interventi di forestazione urbana sul territorio comunale. A circa cinque mesi dall’avvio del protocollo di intesa, passeggiando al Parco, si possono già osservare con soddisfazione, oltre ai tanti fruitori incuriositi, i vari interventi eseguiti, chiaramente riconoscibili e ben tenuti, per un totale di circa 1000 mq e oltre duemila giovani piante, che presto si sveglieranno dal torpore del riposo vegetativo. E’ un primo piccolo grande passo, fra i tanti che l’Ente sta compiendo, per salvaguardare Parco Increa, e per ricostruirlo dopo le trombe d’aria del 2023. Accompagneremo, assieme a Rete Clima, queste giovani piccole incubatrici di biodiversità per i primi tre anni, per poi vederle crescere e autosostenersi nel prossimo futuro, così da poterci meravigliare, ogni giorno, della semplice e naturale, forza e resilienza della natura", afferma il sindaco del Comune di Brugherio, Roberto Assi. “Siamo orgogliosi di accompagnare realtà come E.On in percorsi concreti, integrati e tracciabili a tutela della biodiversità. La nostra collaborazione, attiva da anni, si fonda sulla condivisione di valori e sulla capacità di tradurli in progetti misurabili e di lungo termine. Ne è un esempio questo secondo Biodiversity Lab, il laboratorio sperimentale dedicato allo sviluppo di soluzioni multifunzionali a tutela della biodiversità vegetale e animale. Questo progetto rappresenta una nuova importante tappa all’interno di un percorso più ampio costruito insieme a E.On, a partire dalla sua adesione alla nostra Campagna nazionale Foresta Italia. Attraverso i Boschi E.On continuiamo a promuovere interventi di forestazione in territori che ne hanno più bisogno, come aree urbane, periurbane e zone colpite da eventi climatici estremi, con un approccio misurabile e di forte valore ambientale e sociale”, dice Paolo Viganò, fondatore e presidente di Rete Clima. “In E.On - afferma Daniela Leotta, Chief Strategy, Sustainability&Communication Director di E.On Italia - il nostro impegno va oltre la riduzione delle emissioni: vogliamo restituire valore alle comunità in cui operiamo, contribuendo concretamente alla tutela e al ripristino dell’ambiente. Il Biodiversity Lab rappresenta un esempio tangibile di questa visione, non solo perché aiuta a ricreare ecosistemi più sani e resilienti, ma anche perché promuove la conoscenza e la consapevolezza su un tema cruciale come la biodiversità. Un ambiente più sano porta benefici a tutti noi e, attraverso progetti come questo, vogliamo coinvolgere cittadini e stakeholder in un percorso che valorizza la natura e rafforza il legame tra sostenibilità, innovazione e benessere collettivo”. Queste attività sono cruciali per il benessere dei territori. Infatti, oltre ai benefici ambientali della riforestazione, si evidenziano anche impatti positivi sull’economia locale, sul tessuto sociale e sulla sostenibilità del territorio. Per comprenderne l'effettivo valore, E.On ha avviato un approfondimento basato sulla metodologia Sroi (Social Return on Investment) che consente di misurare il Social Value generato con l’attività di piantagione di alberi per una rete diversificata di stakeholder, comunità locali, imprese, enti pubblici e operatori del settore forestale. Oltre ai benefici diretti, come l’assorbimento della CO2, il Social Value include aspetti più ampi: coinvolgimento della comunità e creazione di opportunità lavorative nel settore forestale. Questo approccio fornisce una visione più completa del valore generato, considerando sia gli effetti immediati che quelli di lungo periodo sulla qualità della vita e sulla sostenibilità del territorio. Nel caso specifico della piantagione dei 17.200 alberi realizzata nel 2024 grazie al progetto Boschi E.On, l’analisi ha stimato gli effetti complessivi dell’attività lungo un ciclo di vita di trent’anni. Per ogni euro investito nella piantagione di alberi, si generano circa 3 euro di valore, distribuiti tra benefici concreti e immateriali. Tra questi, si evidenziano benefici tangibili sul miglioramento della qualità dell'aria, la biodiversità, lo sviluppo del turismo sostenibile e il benessere collettivo. Il contributo di E.On a questo progetto rientra nel contesto della più ampia iniziativa Boschi E.On che, dal 2011 a oggi, ha contribuito in maniera tangibile alla riforestazione di aree naturali, parchi nazionali e regionali su tutto il territorio italiano, consentendo la piantagione di 135mila alberi e un significativo contributo alla riduzione della CO2 (circa 85mila tonnellate assorbite dalle piante). Il progetto rientra nella più ampia strategia del Gruppo E.On 'Nature.On' che prevede l’adozione di misure e impegni specifici al fine di contribuire a un impatto netto positivo sulla natura e che prevede un approccio focalizzato su tre aree fondamentali: climate change, ecosistemi e biodiversità, risorse e rifiuti. Il progetto Biodiversity Lab rappresenta inoltre uno dei tasselli di Foresta Italia, la Campagna nazionale di forestazione promossa da Rete Clima in collaborazione con Coldiretti Nazionale e Pefc (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes) e patrocinata dal ministero dell’Ambiente e dal ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.