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(Adnkronos) - La legge di Bilancio 2026, al netto di possibili emendamenti, va in una direzione chiara: l'età per andare in pensione sale ancora. Non basteranno più 67 anni per l'effetto combinato di una serie di misure: vengono cancellate le norme di flessibilità che in questi anni hanno 'mitigato' in piccola parte gli effetti della legge Fornero, quota 103 e opzione Donna, e vengono adeguati i requisiti di pensionamento all'aspettativa di vita, con uno scatto di un mese nel 2027 e un ulteriore scatto di due mesi nel 2028. La conseguenza sarà che per andare in pensione di vecchiaia serviranno 67 anni e 1 mese nel 2027 e 67 anni e 3 mesi dal 2028. Non solo, anche la pensione anticipata subirà un innalzamento dei contributi necessari rispetto agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Tutto questo rientra in un fisiologico spostamento in avanti dell'età pensionabile, che dipende essenzialmente dalle conseguenze del trend demografico e dall'esigenza sempre più stringente di tenere in equilibrio finanziario il sistema. Le modifiche che porta la manovra vanno a incidere però in un quadro che per il sistema previdenziale, insieme alla sostenibilità economica, deve tenere conto anche della sostenibilità sociale. Se n'è parlato diffusamente in un incontro organizzato dal Patronato Acli, che ha visto le analisi puntuali di grandi esperti del tema previdenziale, da Tiziano Treu al presidente del Civ Inps Roberto Ghiselli, partendo dalle evidenze di un lungo e approfondito lavoro di ricerca, 'Tracciare il futuro. Prospettive pensionistiche per le nuove generazioni', curato dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia e coordinato da prof. Stefano Giubboni. La tesi, condivisa, che è emersa dai lavori è che l'attuale sistema, ormai quasi interamente contributivo, per effetto delle criticità del mercato del lavoro, produce distorsioni che vanno corrette: è necessario trovare una chiave per risolvere il problema della sostenibilità nel tempo, per garantire prestazioni adeguate in futuro, non sacrificando la solidarietà e l’equità fra le generazioni. In sostanza, servono riforme sul lavoro per arginare il lavoro povero e le criticità del mercato. Gli interventi possibili in ambito previdenziale sono, invece, una pensione contributiva di garanzia; il ricorso più deciso alla fiscalità generale per adeguamenti e/o nuovi strumenti; un sostegno, reale, alla previdenza complementare. Significative le due proposte principali che ha messo sul tavolo il presidente del Patronato Acli, Paolo Ricotti. Primo, un vero 'pacchetto flessibilità', capace di restituire stabilità, certezza e inclusività al sistema pensionistico italiano. La proposta prevede di consentire l’uscita dal lavoro tra i 63 e i 65 anni, con almeno 20 anni di contributi, stabilendo un assegno calcolato proporzionalmente all’età di accesso. Si tratta di un approccio che intende superare le soluzioni temporanee e selettive degli ultimi anni, restituendo equità e diritti certi a tutti i lavoratori. Secondo, l’appello per l’introduzione di una pensione minima di garanzia nel sistema contributivo, al fine di scongiurare situazioni di grave disagio economico. Cosa suggerisce tutto questo? Che le misure che si introducono con la manovra vanno lette anche alla luce dello stato di salute del sistema previdenziale e dei correttivi che servirebbero nel senso della flessibilità. (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - "I dazi antidumping del 91,74% sull'importazione di pasta italiana annunciati dagli Stati Uniti non sono, al momento, ancora entrati in vigore. Da quando sono stati comunicati, a inizio settembre, si è infatti aperta una finestra di 120 giorni per presentare ricorso e la procedura è tuttora in corso. Sommati al cosiddetto dazio reciproco del 15%, i dazi antidumping porterebbero il dazio totale per importare pasta dall'Italia agli Usa a quasi il 107%. Se guardiamo ai prezzi al dettaglio della pasta italiana in vendita nei supermercati americani, risulta davvero difficile immaginare che i produttori italiani di pasta pratichino dumping. In Italia mezzo chilo di pasta si vende intorno a 1 euro, 1 euro e 10 centesimi. Negli Stati Uniti un pound (454 grammi) viene venduto a 2,50, 2,99 fino anche a 3,20 dollari. Sembra difficile pensare a un ribasso artificiale. Se questi livelli di prezzo vengono considerati dumping, allora a quanto si dovrebbe vendere la pasta in America? Dieci dollari al pound? È evidente che l’accusa non regge". Ad affermarlo, ad Adnkronos/Labitala, Lucio Miranda, presidente di ExportUsa (società di consulenza che aiuta le imprese italiane a entrare, con successo, nel mercato americano). "Analizzando i documenti del Dipartimento del Commercio americano, emerge - spiega - che alcune aziende sottoposte ad audit non avrebbero fornito tutte le informazioni richieste; in alcuni casi la documentazione è stata prodotta, ma in italiano. Queste imprese sono state classificate come 'uncooperative', ovvero non collaborative. Riteniamo, quindi, che i dazi antidumping siano stati imposti per questo atteggiamento 'uncooperative', piuttosto che per una ragione legata a vere e proprie pratiche di dumping sul mercato Usa. La logica del Dipartimento è chiara: se non mi dimostri che non stai facendo dumping, io applico il dazio". "Proprio per questo motivo, un ricorso ben costruito e presentato nei tempi previsti può realmente avere effetto. I ricorsi vanno redatti con la massima accuratezza: se la motivazione del dazio è stata la presunta mancata collaborazione, allora bisogna dimostrare in modo impeccabile il contrario. Ne vale la pena e bisogna muoversi rapidamente perché il tempo stringe. Ricordo che nel 2024 l’Italia ha esportato negli Stati Uniti circa 750 milioni di dollari di pasta, su un mercato totale che vale 6,2 miliardi di dollari. Le importazioni complessive americane di pasta ammontano a circa 1,8 miliardi: l’Italia, con i suoi 750 milioni, rappresenta quindi quasi il 40%. Un settore di questo peso merita una difesa solida e ben strutturata", conclude.
(Adnkronos) - "Asvis ha deciso di lanciare un progetto che si chiama Ecosistema Futuro. Con un vasto programma, cioè quello di mettere il futuro al centro della riflessione culturale, politica, sociale del Paese". Così Enrico Giovannini, direttore scientifico Asvis, nel suo intervento a 'Salute e benessere come priorità sociale', evento di apertura della Social Sustainability Week che si è svolto questa mattina presso il Palazzo dell’Informazione a Roma. "Come Asvis è attuatore dell'Agenda 2030, Ecosistema Futuro, che è un spin-off di Asvis, è l'attuatore del Patto sul futuro, una decisione delle Nazioni Unite di settembre 2024 con la quale viene chiesto a ogni Paese, tra le altre cose, di dotarsi di strutture di governance anticipante", spiega. Giovannini ricorda, poi, la modifica dell'articolo 9 della Costituzione del 2022, "che cita l'interesse delle future generazioni". Conseguentemente "il governo ha adottato la nostra proposta di creare la valutazione di impatto generazionale. Il Parlamento ha votato il testo definitivo qualche settimana fa, la Vig entrerà in vigore dopo il decreto attuativo e dice due cose: la prima è che bisognerà valutare l'impatto di tutte le nuove leggi in termini sociali e ambientali". Dopodiché, aggiunge, "il governo ha scritto il primo comma che dice: le leggi della Repubblica promuovono l'equità tra generazioni. Lo sottolineo perché capiate la potenza teorica, sperando che non diventi qualcosa di puramente burocratico, della rivoluzione: il combinato disposto del cambio della Costituzione e dell'adozione di questa legge". Dunque, conclude Giovannini, "se questi due passi che sono in linea con il Patto sul futuro verranno realizzati concretamente, forse recupereremo anche un po' di fiducia, dei giovani in particolare, nel sentire che chi è al comando ha un'idea di dove vuole andare ma soprattutto si sottopone alla valutazione pubblica dei propri atti. Una potenziale rivoluzione e spetta a tutti noi aiutare il governo ad attuarla nei prossimi mesi".