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(Adnkronos) - È un fenomeno più comune di quanto si pensi quello delle 'momfluencer' o dei 'dadfluencer'. Parola di chi i social li conosce a fondo. "Spesso - spiega all'Adnkronos Salute Selvaggia Lucarelli - con la scusa di condividere la gioia della maternità e consigli su come gestire la vita con figli, in realtà si creano pagine che hanno come unico scopo quello di monetizzare grazie al fatto di essere madri o padri. Ci sono pagine che vertono solo su quell'argomento, addirittura i nomi stessi sono 'Mamma di tre figli', 'Mamma di quattro figli'". Partono già così, racconta l'esperta, commentando i risultati di un'analisi Uk pubblicata su 'Plos One', che mostra come in 3 post su 4 pubblicati da popolari mamme influencer compaiano i loro bambini (quasi la metà sono post pubblicitari). "Altri profili, invece - continua Lucarelli - nascono in teoria con scopi diversi che possono essere banalmente anche solo mostrare se stessi, la propria vita, quotidianità. Non appena arriva una gravidanza, però, si spostano completamente sulla narrazione della maternità. Non perché sia più interessante, ma perché i contenuti sulla maternità sono sempre quelli più cliccati, con più engagement". Ed engagement "vuol dire soldi", chiarisce. "Se un post in cui faccio vedere la mia foto al mare fa 50mila like, e uno in cui faccio vedere che costruisco con mio figlio un castello di sabbia al mare ne fa 150mila, è chiaro che il valore economico è più alto - i Ferragnez insegnano - e pian piano la narrazione si sposta completamente sui figli, perché i figli fanno fatturare di più, è molto semplice il discorso. I Ferragnez quando erano i Ferragnez postavano quasi solo contenuti sui figli, perché erano i contenuti che creavano più engagement". Ma questi post hanno un risvolto economico anche quando non compare direttamente la sponsorizzazione di un prodotto? "Certo - analizza Lucarelli - perché aggiungono valore, perché danno valore al proprio profilo. Anche quando il contenuto con un figlio non è un 'adv', sarà sicuramente quello che riceve più 'like' e che ha più engagement. E questo alza il valore della pagina". In altre parole, "nel 'borsino' delle pagine ne vale di più una con 6 milioni di interazioni di una che ne ha 2 milioni. E le interazioni le crei soprattutto mettendo foto con i figli". Per Lucarelli "sarebbe certamente necessario" lavorare a una nuova legislazione che protegga maggiormente i bambini online, come suggerito dalle ricercatrici, perché "molti genitori di fatto trasformano i propri figli in 'prodotti'. E siccome per monetizzare i contenuti con i figli - puntualizza - i figli li devi mostrare, non puoi semplicemente ritrarli di spalle o alludere, diventa sostanzialmente un circolo vizioso, perché più li mostri e più guadagni". Il problema, precisa poi Lucarelli, "non è che c'è un contenuto più dannoso di un altro. Il tema è che tu crei un'identità digitale a un bambino che da adulto può desiderare non possederla. E non è una scelta reversibile. Non si torna indietro, una volta che hai pubblicato migliaia di contenuti su tuo figlio". "Io non sono categorica su queste cose. Se pubblichi la foto di un figlio, sei uno sconosciuto e lo fai una volta ogni tanto, non succede niente - è la riflessione di Lucarelli - e capisco che ogni tanto faccia piacere condividere la foto di un figlio, l'ho fatto anche io. Però un conto è condividere una tantum uno scatto di un bambino, un conto è far sì che tuo figlio diventi il centro del tuo 'business' e che, in virtù del fatto che grazie a tuo figlio fatturi, sacrifichi la sua privacy e gli crei un'identità digitale di cui non si libererà mai più". Ci sono poi genitori, fa notare, "che postano anche contenuti imbarazzanti, contenuti di cui magari un ragazzino domani - o anche oggi - si vergogna. Quello che tu pubblichi di tuo figlio, infatti, lo vedono anche magari i bambini che vanno a scuola con lui, le loro mamme. Perché io devo sapere che quella notte il bambino ha vomitato?", si chiede Lucarelli, portando pure altri esempi. "Ci sono madri che riprendono i figli sul vasino mentre fanno i bisogni", dice. Scandagliando i social, Lucarelli ha visto di tutto. "C'è una famiglia - racconta - che è finita di recente al centro dell'attenzione perché c'è questo padre che pubblica quotidianamente 15-20 video dei suoi quattro figli, di tutte le età. E naturalmente sta già monetizzando, perché riceve pacchi, regali, eccetera". Fra i commenti ai post, però, ce ne sono anche di offensivi. "Lui lo vede e, a ragione, fa l'indignato. Ma di fatto sa che il meccanismo storto è questo e va avanti, perché alla fine sul piatto della bilancia ci sono da una parte le monetizzazioni e dall'altra la serenità dei propri figli, e ha scelto di monetizzare. Però non è molto diverso da quello che hanno fatto sempre i Ferragnez e mille altri profili. Mariano Di Vaio, per esempio, ha i figli, minorenni, che hanno già tutti degli account social". E si ritorna al tema della possibilità di scegliere. In Francia, segnala lo studio pubblicato su 'Plos One', esiste una sorta di diritto all'oblio per i bimbi che vengono inclusi nei post di influencer, che si attiva su loro richiesta. Però, obietta Lucarelli, "tu puoi rimuovere un contenuto da un social media, ma poi quel contenuto ripassa altrove. Chi monetizza grazie ai bambini ha un livello di popolarità importante, altrimenti non ti pagano per sponsorizzare prodotti per bambini. Per cui questo vuol dire che sostanzialmente quei contenuti sono già usciti, sono rimbalzati su siti, giornali. Si può tamponare" con misure di questo tipo, ex post, "ma il problema non lo puoi più rimuovere alla radice". Per esempio appare irrealistico "che oggi Leone e Vittoria", i figli di Fedez e Chiara Ferragni, "possano far rimuovere tutti i post" che li ritraggono. E' meglio dunque partire da "regole che siano al di là dell'utilizzo dei social network, delle regole generali", conclude Lucarelli. Tra l'altro, osserva, "i giornalisti hanno delle regole molto stringenti sulla pubblicazione di qualsiasi contenuto che riguarda minori. Se 'sgarriamo' c'è il garante e mille organi che ci riprendono. Non si capisce perché invece un genitore possa ritenere il figlio 'proprietà' e diventare non più un tutore, ma una persona che ha a disposizione la vita e la morte mediatica del proprio figlio. Ritengo che si debba dunque lavorare alla base del problema". Foto di famiglia con pet, video che 'rubano' attimi spensierati di giochi in cameretta, le gag divertenti tra fratelli, i ricordi dei viaggi con bebè al seguito, scatti in posa con travestimenti a tema per mamma, papà e prole - spesso numerosa - al completo. Sono alcuni dei post più frequenti nei profili delle mamme influencer. Pagine che vantano anche milioni di follower, a suon di hashtag accattivanti: #momlife, #love, #motherandson. Un universo parallelo di sorrisi, bellezza, perfezione ai limiti della realtà, anche quando ad essere ritratti sono buffi momenti familiari apparentemente disastrosi. A esplorare questo mondo è un team di ricercatori in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica 'Plos One'. Le autrici, Katherine Baxter della Liverpool Hope University e Barbara Czarnecka della London South Bank University, si sono concentrate su dieci popolari influencer britanniche della maternità, con follower sopra quota 10mila su Instagram, e hanno condotto un'analisi dei contenuti di 5.253 post, integrandola con dati auto-riportati dalle influencer stesse. Obiettivo: approfondire in particolare le pratiche di condivisione delle immagini dei figli. Quello che emerge è che i bambini compaiono in 3 post su 4 (oltre il 75%, cioè 3.917), pur rimanendo relativamente bassa la quota di post con contenuti imbarazzanti, intimi o rivelatori (11,5%). In particolare, le ricercatrici hanno rilevato che le sponsorizzazioni e la pubblicità di prodotti erano presenti nel 46,4% dei post che mostravano bambini, "il che - evidenziano nell'analisi - indica che le immagini di bambini vengono spesso utilizzate per guadagni economici". Nonostante ciò, lo studio mostra che la popolarità dei post non varia in base all'inclusione o meno dei piccoli: i post in cui sono presenti non ricevono più 'like' di quelli che non li mostrano. Le influencer al centro della ricerca, spiegano le esperte, "hanno espresso una forte fiducia nella sicurezza online su Instagram e hanno mostrato indifferenza o disponibilità verso lo sharenting", come viene definita la pratica dei genitori che condividono via social immagini e contenuti sui propri figli, "indicando che" questa condivisione "potrebbe essere una strategia deliberata piuttosto che un atto accidentale". Ricerche precedenti, ricordano le autrici, hanno suggerito l'esistenza di un 'paradosso della privacy', in base al quale le preoccupazioni dichiarate dalle persone sulla privacy online non sono in linea con il loro comportamento di pubblicazione. Le 'momfluencer' si trovano spesso in situazioni in cui i confini sono sfumati. La tesi è che l'aspettativa di condividere continuamente momenti privati può portare a un senso di vulnerabilità e perdita di controllo sulla propria vita. Questa relazione paradossale tra esposizione pubblica e vita privata crea una tensione che le influencer devono costantemente gestire e che molti ricercatori affermano porti a vivere il paradosso della privacy. Ma l'apparente mancanza di preoccupazione delle influencer prese in esame sul tema dello sharenting "non sembra supportare questo paradosso", analizzano le esperte. "Negli ultimi 2 decenni - osservano le ricercatrici - gli influencer dei social media sono diventati una strategia di comunicazione popolare in tutto il mondo, sollevando preoccupazioni sulla privacy, in particolare nel contesto della condivisione di immagini di bambini". Il materiale pubblicato viene spesso condiviso per benefici finanziari, tra cui pubblicità e contenuti sponsorizzati. Le influencer della maternità sono diventate una delle categorie più 'prolifiche': condividono immagini che mostrano i loro figli e le loro famiglie che promuovono marchi e prodotti o che ritraggono importanti temi chiave vissuti nella genitorialità. Sono anche criticate, evidenziano Baxter e Czarnecka, "per il fatto di condividere troppi contenuti privati e intimi, in particolare video e immagini dei loro figli e spesso per fini commerciali, sollevando dibattiti sulle implicazioni etiche e sulla privacy". La ragione è evidente: i bambini non possono acconsentire alla condivisione online di immagini ed eventi della loro vita. Alcune forme di sharenting "invadono la privacy" di questi minori, ripercorrono le autrici dell'analisi, "e potrebbero avere potenziali impatti psicologici futuri, in particolare quando il bambino ottiene un seguito ampio e potenzialmente indesiderato sui social". Altri problemi che si sono verificati includono "l'uso improprio delle immagini dei bambini, la potenziale informazione che finisce nelle mani" di persone sbagliate con fini criminali, "il monitoraggio non tracciato dei bambini per uso commerciale da parte di organizzazioni, l'uso illegale delle immagini per vendere prodotti". E va considerato anche che l'impronta dei social e la permanenza digitale sono "eterne", e che non si possono escludere risvolti di bullismo o molestie per il bambino che viene esposto. Questi i rischi che vengono riportati da diversi studi e analisi. In Francia, si legge nella ricerca, "questo problema è stato preso così seriamente che è stata recentemente approvata una legge per conferire ai bimbi inclusi nei post di influencer il diritto all'oblio, in base al quale su richiesta del bambino qualsiasi contenuto può essere rimosso completamente dalla piattaforma dei social media". I risultati di questo studio, concludono le autrici, "dimostrano che le influencer della maternità usano immagini dei loro figli nella maggior parte dei post sui social media e in quasi la metà dei post sponsorizzati. Sebbene i contenuti sensibili siano stati condivisi relativamente sporadicamente, ci uniamo all'appello di chi sostiene che dovrebbe essere sviluppata una nuova legislazione per proteggere i bambini online e salvaguardarli per impedire che vengano sfruttati". Perché, fanno notare le esperte guardando nello specifico alla situazione normativa in Uk, "mentre vengono introdotte maggiori limitazioni sui contenuti generati dagli utenti sui social media, i diritti dei bambini non sono ancora sufficientemente specificati".
(Adnkronos) - Sarà la giovane produttrice Elena Salviucci, titolare dell’azienda vitivinicola Campotondo, a guidare per il prossimo triennio la Strada del Vino Orcia. La nomina è arrivata il 9 gennaio, all’interno del primo Consiglio del nuovo corso dell’Associazione che raccoglie i 12 comuni dell’Orcia Doc, oltre a numerosi soci rappresentati da cantine e attività produttive. Insieme alla presidente sono stati nominati anche i due vicepresidenti che l’affiancheranno nel percorso, Andrea Francini, sindaco di Trequanda, e Marco Bartoli, sindaco di San Quirico d’Orcia. “Per me è un grande onore guidare questa associazione - ha commentato Elena Salviucci - che rappresenta un unico nel suo genere e che soprattutto lavora per promuovere un territorio che è Patrimonio Unesco e tra i più famosi e attrattivi al mondo. Ora dobbiamo lavorare al consolidamento di un sistema turistico integrato e aggregato di area vasta che include la Val d’Orcia, l’Amiata e la Valdichiana sense con l’obiettivo di dare un’immagine unitaria alla promozione e al marketing territoriale con un focus specifico sull’agroalimentare e integrando le varie offerte turistiche dell’area”. Oltre a questo, tra gli obiettivi anche quello di accrescere la capacità delle reti locali di imprese di attrarre e accogliere visitatori promuovendo la conoscenza del territorio favorendo tassi più lunghi di permanenza e migliorando il customer retention rate. Promuovere all’interno della destinazione turistica locale un’offerta turistica integrata e diffusa, di qualità e sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Elena Salviucci, 29 anni, è nata e cresciuta a Campiglia d'Orcia, un piccolo borgo a cavallo tra Amiata e Val d’Orcia. Dopo aver frequentato il Liceo Classico e la laurea in mediazione linguistica, la nuova presidente ha deciso di portare avanti l'azienda agricola della famiglia, Campotondo, dove oltre alla cantina si preoccupa anche della parte enoturistica e amministrativa. In parallelo con il lavoro, nel 2019, Elena Salviucci ha conseguito il titolo di sommelier e un master in marketing e management per imprese vitivinicole presso l'Università degli studi di Firenze. Impegnata come membro del Cda del Consorzio del Vino Orcia, oltre a svolgere attività di volontariato in diversi progetti di valorizzazione e tutela del patrimonio artistico, culturale, paesaggistico, umano e agroalimentare del territorio. Il turismo 'rigenerativo' tra gli obiettivi del mandato. Il turismo rigenerativo si basa sull’idea che il turismo debba essere al servizio del territorio, anziché viceversa: in questo modo può generare benefici per i territori, le comunità che lo abitano e i visitatori. Uno dei principali benefici del turismo rigenerativo è la creazione di valore non solo economico ma anche culturale e sociale, duraturo nel tempo. Tale approccio incoraggia infatti la partecipazione delle comunità locali, degli operatori, delle imprese e dei visitatori. Questo è uno degli obiettivi di questo nuovo mandato. Insieme alla presidenza, fanno parte del rinnovato Consiglio di amministrazione della Strada del Vino Orcia anche Giulitta Zamperini (presidente del Consorzio del Vino Orcia), Ada Anna Becheri, Donatella Cinelli Colombini, Francesco Pifferi, Luchino Grappi, Marco Capitoni e Gabriella Giannetti. La Strada del Vino Orcia è nata nel 2003. Sono 1 i comuni che ne fanno parte: Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda, Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena. Nel 2004 la Val d’Orcia viene iscritta nel Patrimonio mondiale dell’umanità sotto la tutela dell’Unesco, divenendo il primo territorio rurale ad essere premiato con questo riconoscimento, tanto che oggi il suo meraviglioso paesaggio è divenuto l’icona della campagna Toscana. La Strada del Vino Orcia è un invito a scoprire questo territorio, la vita che scorre con i ritmi della natura, a vivere immersi in 'un luogo del sogno'. Suggerimento di luoghi dove gli uomini vivono ancora in armonia con la natura. Chi vuol davvero conoscere questa terra deve mettere incontro di non poter più farne a meno, di ritornare di persona o con la mente alla fonte di tante emozioni.
(Adnkronos) - A livello mondiale, nel 2024 le catastrofi naturali hanno causato perdite per 320 miliardi di dollari, di cui circa 140 miliardi assicurate. Gli eventi meteorologici estremi sono stati responsabili del 93% delle perdite complessive e del 97% delle perdite assicurate. A fare il punto è Munich Re, fornitore di soluzioni di riassicurazione, assicurazione primaria e rischi assicurativi, in un report globale sui danni registrati lo scorso anno a causa dei disastri naturali. A livello mondiale, secondo i calcoli di Munich Re, nel 2024 le catastrofi naturali hanno causato perdite per 320 miliardi di dollari (268 miliardi nel 2023, rettificati per l’inflazione), di cui circa 140 miliardi (106 miliardi) assicurate. Le perdite complessive e, ancor più, quelle assicurate sono state notevolmente superiori alla media, aggiornate per l’inflazione, degli ultimi dieci e trent’anni (perdite totali: 236/181 miliardi di dollari; perdite assicurate: 94/61 miliardi di dollari). In termini di danni assicurati, il 2024 è stato il terzo anno più costoso; in termini di danni totali, si colloca al quinto posto nella scala dei costi dal 1980. Gli eventi meteorologici estremi sono stati responsabili del 93% delle perdite complessive e del 97% delle perdite assicurate. Nel 2024, circa 11mila persone hanno perso la vita a causa di catastrofi naturali, un numero significativamente inferiore rispetto alla media. Le perdite dovute a eventi non di picco, come inondazioni, incendi e forti temporali, sono state ancora una volta consistenti, per un totale di 136 miliardi di dollari, di cui circa 67 miliardi assicurati. Nel 2024, i cicloni tropicali hanno contribuito da soli con 135 miliardi di dollari alle perdite totali e con 52 miliardi di dollari alle perdite assicurate. La maggior parte di queste perdite è stata causata dai grandi uragani negli Stati Uniti (105 miliardi di dollari, di cui 47 miliardi assicurati). Gli uragani Helene e Milton, che hanno colpito gli Stati Uniti in rapida successione, rispettivamente a settembre e ottobre, sono stati i disastri più distruttivi del 2024. L’uragano Helene ha causato le maggiori perdite complessive dovute a catastrofi naturali nel 2024, pari a 56 miliardi di dollari, di cui 16 miliardi a carico degli assicuratori. L’uragano Milton ha prodotto i maggiori danni assicurati dell’anno, per un totale di 25 miliardi di dollari. Le perdite complessive sono state di 38 miliardi di dollari - calcola Muniche Re - La terza catastrofe naturale più costosa dell’anno in termini di perdite complessive è stata un terremoto in Giappone il giorno di Capodanno, che ha scosso la costa occidentale del Paese vicino alla penisola di Noto, scarsamente popolata, con una magnitudo di 7,5. Le perdite complessive sono state stimate in 15 miliardi di dollari, con danni assicurati per circa 2,5 miliardi di dollari. Il disastro naturale con il più alto numero di vittime è stato il tifone Yagi: circa 850 persone sono state uccise quando ha attraversato le Filippine, l’isola cinese di Hainan, la punta meridionale della provincia cinese di Guangdong, il Vietnam e il Myanmar a settembre. Con perdite totali di 14 miliardi di dollari, Yagi è stato anche uno dei disastri più costosi dell’anno, ma solo una piccola parte è stata assicurata, circa 1,6 miliardi di dollari. Il Nord America (compresi l’America Centrale e i Caraibi) ha registrato ancora una volta la quota più alta dei danni da catastrofi naturali a livello mondiale, e una percentuale più elevata del solito (circa il 60% dei danni totali, media decennale 54%). In totale, le perdite sono state pari a circa 190 miliardi di dollari, di cui circa 108 miliardi assicurati. Oltre agli uragani, anche i forti temporali hanno causato danni enormi: solo negli Stati Uniti hanno causato perdite per 57 miliardi di dollari, di cui 41 miliardi assicurati. In Europa, lo scorso anno le catastrofi naturali hanno distrutto beni per un valore di 31 miliardi di dollari, di cui 14 miliardi assicurati. La catastrofe più grave è stata l’inondazione in Spagna, vicino a Valencia. Almeno 200 persone hanno perso la vita, diventando così il disastro naturale più letale degli ultimi 50 anni in Spagna. I danni totali ammontano a circa 11 miliardi di dollari, di cui 4,2 miliardi assicurati. Anche le inondazioni in Germania e nei Paesi limitrofi a giugno e nell’Europa centro-orientale a settembre hanno causato danni per oltre 9 miliardi di dollari, di cui ben 4 miliardi assicurati. “Il 2024 è stato un anno che ha nuovamente messo in evidenza la crisi climatica in Italia. Gli eventi atmosferici estremi che abbiamo affrontato, dalle alluvioni alle grandinate, dalle ondate di calore alle raffiche di vento, sia pur non raggiungendo a livello di danni assicurati i valori del 2023, hanno avuto un impatto significativo sulle economie locali del nostro paese, ma anche sul panorama assicurativo globale come riportato nel nostro report globale. È necessario rafforzare l’impegno verso soluzioni innovative non solo per mitigare i rischi, ma anche per favorire uno sviluppo sostenibile che protegga le generazioni future”, ha dichiarato Thomas Wilde, Ceo Munich Re Italia. Nella regione Asia-Pacifico e in Africa, le perdite totali di circa 91 miliardi di dollari sono state superiori a quelle dell’anno precedente (66 miliardi di dollari) e alla media decennale (66 miliardi di dollari). Le perdite assicurate, pari a circa 16 miliardi di dollari, sono state significativamente superiori a quelle dell’anno precedente (10 miliardi di dollari).