ENTRA NEL NETWORK |
ENTRA NEL NETWORK |
(Adnkronos) - ''La Russia vuole procedere cautamente'' rispetto al piano di pace per l'Ucraina che invece gli Stati Uniti, tramite Axios, ''hanno voluto far trapelare'' anche per fare ''pressione su Mosca''. Ma, allo stesso tempo, la decisione russa di ''intensificare i raid'', l'ultimo quello massiccio su Ternopil nell'Ucraina occidentale, ''non è una negazione della volontà di pace'', ma dimostra come il Cremlino voglia ''arrivare ai negoziati nelle migliori condizioni possibili'', ovvero ''con una posizione di forza''. Lo spiega all'Adnkronos Stefano Stefanini, senior advisor dell'Ispi ed ex ambasciatore alla Nato, secondo cui Trump ''vuole applicare lo stesso paradigma di Gaza con cui ha messo sotto pressione sia Hamas, sia Israele. La grossa differenza è che le leve di pressione americana su Israele o quelle dei Paesi arabi su Hamas erano molto più forti rispetto a quelle che gli Stati Uniti o altri hanno sulla Russia''. E se da un lato ''fino a che non sappiamo il contenuto è difficile giudicare la possibilità di successo'' del piano, dall'altro il modo in cui è trapelato, per volontà Usa ''anche se non ufficialmente'', fornisce uno spunto di riflessione sul ruolo dell'Europa e le garanzie a sua sicurezza. ''Dubito che Macron, Starmer e Meloni ne fossero a conoscenza'', quindi ''il ruolo dell’Europa non esiste - taglia corto Stefanini - Il piano viene alla luce senza alcuna traccia di consultazione con gli europei, nemmeno sulla parte del piano che dovrebbe riguardare la sicurezza europea''. Si tratterebbe, dunque, del ''frutto della consultazione tra gli Stati Uniti e la Russia senza la partecipazione europea o della Nato, il che non è un gran buon segno per l'Europa''. Ma ''gli americani obbietterebbero che gli europei hanno delegato la loro sicurezza agli Usa, quindi non dovremmo meravigliarci'', prosegue Stefanini ritenendo che ''l'Europa appare marginale nelle iniziative diplomatiche americane e americane-russe''. Ora, quello che resta da vedere è ''se da parte russa ci sia davvero l'intenzione di negoziare sedendosi a un tavolo, come si presume voglia fare l'Ucraina''. Stefanini sottolinea comunque che l'annuncio di ''questo piano arriva in un momento in cui chiaramente c’è un desiderio di entrambe le parti, anche ucraino, di arrivare a un negoziato. Zelenksy ne ha parlato a Erdogan, visto che la Turchia è stata ospite di vari tentativi negoziali di livello medio-bassi''. Ora, prosegue Stefanini, ''bisogna vedere se questo piano è riuscito ad avvicinare abbastanza le condizioni, se così fosse potrebbe essere la volta buona''. Ma ''se il piano riprende la linea russa senza smuoversi dalle condizioni'' poste da Mosca, ''allora il piano diventa inaccettabile per l'Ucraina e per gli europei''. Insomma, aggiunge Stefanini, ''bisogna vedere se entrambe le parti sono disposte a compiere un sacrificio. Se il piano ottiene dalla Russia qualcosa di veramente diverso dalle condizioni poste (cioé l'annessione di territori che ancora non controlla) allora qualche opportunità di successo c'è''. Secondo l'analista, ''una condizione minima'' per l'Ucraina ''sia non cedere più territorio di quello che ha già perso'', ma ''finora la Russia finora non ha dato segno di accontentarsi di quanto già preso''.
(Adnkronos) - Il sistema informativo Excelsior (2024) rivela che in Italia, nel quinquennio 2024-2028, la previsione del fabbisogno per i lavoratori in possesso di una formazione terziaria in ambito stem (science, technology, engineering, and mathematics) dovrebbe attestarsi tra 72mila e 82mila unità in media all’anno. Tuttavia, la ridotta presenza di studenti in possesso di questo tipo di formazione determinerà una carenza di queste figure compresa tra 8mila e 17mila giovani ogni anno, nonostante il numero di immatricolazioni sia in aumento (+73,4% nel gruppo scientifico dal 2000 al 2024, dati Censis). Come rendere le competenze nelle stem accessibili a un numero sempre maggiore di persone attraverso la formazione scientifica è stato il focus del talk Non solo numeri, cosa raccontano i dati che si è svolto nell’ambito del Cicap Fest 2025 a Padova. Oltre a essere un fattore di competitività, l’istruzione stem può essere un potente motore di promozione sociale, fornendo alle persone competenze tecniche e di risoluzione dei problemi e migliorando le loro prospettive di carriera. Ma proprio la dimensione sociale rappresenta spesso il primo ostacolo. "Le disuguaglianze economiche e sociali hanno un peso enorme nelle scelte formative e l’Università oggi non è più un vero ascensore sociale. I figli dei laureati hanno più possibilità di laurearsi a loro volta -afferma Lorenzo Montali, presidente di Cicap, professore associato di psicologia sociale, dipartimento di psicologia, università degli studi di Milano-Bicocca- secondo l’Istat 2025 nel periodo 1992-2022, al netto delle caratteristiche individuali (genere) e di territorio, si stima che uno dei due genitori laureato aumenti la probabilità di laurearsi della figlia/o di 20 punti percentuali rispetto ai figli di genitori non diplomati". Rafforzare le competenze stem è uno degli obiettivi della Commissione europea, che lo scorso marzo ha lanciato un piano strategico per la formazione in queste discipline, sulla base di una specifica raccomandazione contenuta nel rapporto sulla competitività di Mario Draghi. Rispetto a Paesi come Cina e India, dove oltre il 30% dei laureati proviene da aree stem, in Europa la percentuale di laureati Stem si aggira sul 25% (dato Oecd/Commissione Europea 2023). Le stem rappresentano oggi un importante elemento formativo non solo per il mondo del lavoro. "La conoscenza delle stem dovrebbe riguardare tutti, anche chi non diventerà mai un ingegnere o un biologo – osserva Silvia Bencivelli, giornalista scientifica, scrittrice, autrice e conduttrice radiotelevisiva – 'Cittadinanza scientifica' (scientific citizenship) significa che ogni persona debba avere un livello minimo di cultura scientifica per orientarsi nel mondo". Avvicinare i giovani alla scienza richiede un cambiamento di percezione sociale della conoscenza che superi lo stereotipo dello scienziato come monade isolata dal contesto. "Secondo i dati Eurostat 2024, in Italia il 23,4% dei laureati proviene da percorsi scientifici o tecnologici – dichiara Donata Columbro, Giornalista, divulgatrice e scrittrice – tendiamo a considerare le discipline scientifiche come qualcosa di 'tecnico', riservato a pochi. Invece, sono fondamentali in ogni contesto. I dati e la statistica permeano ormai tutti gli ambiti della società". Promuovere la formazione scientifica significa sostenere la crescita personale e sociale, stimolare la curiosità, rafforzare il legame tra scienza e comunità e ispirare talenti nelle stem anche attraverso il contributo decisivo del mondo delle imprese. È il principio alla base dell’impegno di Fondazione Amgen, che, attraverso diversi programmi di formazione nelle scienze della vita, offre agli studenti universitari la possibilità di vivere esperienze di ricerca in Università e Centri di eccellenza in tutto il mondo. Solo nel 2024 Fondazione Amgen ha raggiunto 25 milioni tra studenti e docenti a livello globale. Col progetto Amgen Scholars – attivo dal 2007 – la Fondazione ha coinvolto oltre 5.800 studenti universitari provenienti da più di 1000 college e Università, che partecipano a intense esperienze di ricerca estiva sotto la guida di professori di primo piano, prendendo parte a seminari, eventi di networking e simposi regionali. Per gli studenti europei sono cinque i centri ospitanti: Eidgenössische Technische Hochschule Zürich (Svizzera), Institut Pasteur (Francia), Karolinska Institutet (Svezia), Ludwig-Maximilians-Universität München (Germania) e University of Cambridge (UK). Ad oggi, gli alumni di questo programma lavorano in ambiti scientifici in oltre 40 Paesi. In parallelo, l’anno scorso è stato raggiunto il traguardo di 1 milione di studenti che dal ’90 hanno partecipato ad Abe (amgen biotech experience), il programma di insegnamento delle discipline stem che porta le biotecnologie sui banchi della scuola secondaria. "Amgen intende sostenere non solo l’innovazione tramite terapie di ultima generazione, studi clinici e ricerca in Italia, ma con Fondazione Amgen si impegna a promuovere il capitale umano del Paese, aspetto che consideriamo altrettanto fondamentale", dichiara Alessandra Brescianini, direttore medico Amgen Italia. "Realizziamo progetti rivolti a universitari che già studiano nel campo della scienza, e a cui offriamo l’opportunità di frequentare centri di eccellenza per affinare le proprie competenze ed inserirsi presso prestigiosi network internazionali. Intendiamo in questo modo incentivare l’approccio scientifico affinché i giovani apprendano non solo elementi che possano poi utilizzare in un successivo percorso di carriera, ma anche un metodo, che permetta loro di appassionarsi alla scienza e sviluppare un pensiero critico sempre più indispensabile a comprendere e capire il mondo", conclude.
(Adnkronos) - "Il sistema di finanziamento della gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati (ovvero i pannelli installati in impianti che non beneficiano degli incentivi previsti dai Conti Energia) non potrà garantire il corretto trattamento di questi rifiuti: il contributo unitario 'segregato' per ciascun pannello non è infatti sufficiente a coprire tutti i costi di gestione (trasporto, rimozione delle sostanze inquinanti, riciclo) del pannello stesso". È quanto emerge dallo Studio 'La gestione nel rifiuto fotovoltaico in Italia: un nuovo modello di finanziamento' realizzato dal Laboratorio Ref Ricerche. “La gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è certamente l’aspetto più delicato del settore dei Raee - afferma Giorgio Arienti, direttore generale Erion Weee - Nei prossimi anni assisteremo a una crescita esponenziale delle quantità di pannelli che saranno dismessi: a ciascuno di questi pannelli è associato, in un trust di uno dei numerosi Consorzi Raee, un contributo del tutto insufficiente ad assicurare una corretta gestione. Per evitare un disastro ambientale è indispensabile modificare al più presto la normativa”. I numeri: entro il 2050 si stima che oltre ai 300 milioni di pannelli fotovoltaici già installati, altri 20 milioni di pannelli saranno allacciati alla rete. Nel giro di pochi decenni, il numero di pannelli destinati alla dismissione aumenterà di quasi trenta volte, con ricadute enormi per i detentori degli impianti, i consorzi e l’intera collettività. Si passerà dai circa 427mila pannelli smaltiti nel 2025 a oltre 12 milioni nel 2050, con un corrispondente incremento della quantità da trattare: da 9mila tonnellate a 264mila tonnellate annue di Raee fotovoltaici da smontare, trasportare e gestire correttamente. In base alla normativa vigente, il finanziamento del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati è a carico dei Produttori di tali pannelli. "Al momento dell’immissione sul mercato di un pannello, il Produttore versa al Consorzio a cui aderisce un contributo - stabilito dal Consorzio stesso - che viene segregato in un trust; questo contributo (univocamente associato a quel pannello) sarà 'liberato' quando il pannello giungerà a fine vita, e sarà utilizzato per finanziare le attività di riciclo di quel pannello - spiega Erion in una nota - Negli ultimi anni, la 'caccia ai Produttori' ha spinto la maggior parte dei Consorzi Raee ad abbassare continuamente il valore del contributo chiesto per i pannelli fotovoltaici non incentivati: valori vicini a 1 euro non sono sufficienti per garantire il corretto trattamento di un pannello tra 10, 15 o 20 anni". “Lo studio fatto da Ref Ricerche solleva seri dubbi sulla sostenibilità economica del sistema oggi in vigore e sulla sua reale capacità di coprire i costi di gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici non incentivati, dato che non è serio fare oggi una scommessa su quanto costerà smaltire un modulo tra vent’anni, poiché il potenziale valore delle materie prime in esso contenute è una assoluta incognita - continua Arienti - Certo, il totale delle risorse accantonate è ingente, ma il contributo unitario (quello che può essere utilizzato per la gestione del singolo pannello, a cui il contributo unitario è associato) non è sufficiente. È un paradosso: nei trust dei Consorzi ci sono milioni di euro, ma questa montagna di denaro non riuscirà ad assicurare un corretto riciclo dei pannelli”. Cosa accadrà? Secondo l'analisi, la mancanza di adeguate risorse finanziarie favorirà comportamenti opportunistici, come l’esportazione dei pannelli dismessi verso 'paesi emergenti' (privi di adeguati impianti di trattamento) o il loro abbandono nell’ambiente. Oltre ai rischi ambientali, questa gestione non corretta si porrebbe in contrasto con le direttive europee, che promuovono il recupero dei materiali (vetro, alluminio, silicio e argento) compromettendo lo sviluppo di una filiera circolare nazionale e trasformando una misura nata per garantire sostenibilità e responsabilità ambientale in un potenziale boomerang finanziario, sociale e ambientale. Sulla base delle evidenze dello studio di Ref Ricerche, Erion Weee propone l’adozione del modello di finanziamento generazionale - già utilizzato per tutte le altre tipologie di Raee Domestici - anche ai pannelli fotovoltaici: con questo modello, la responsabilità economica della gestione del fine vita è attribuita ai Produttori presenti sul mercato in ciascun anno, in proporzione all’immesso sul mercato nello stesso anno. Questo modello 'generazionale', che funziona in settori a bassissima crescita come quello dei frigoriferi o dei 'grandi bianchi', a maggior ragione funzionerebbe in un settore in costante, significativo sviluppo come quello del fotovoltaico: se un Produttore esce dal mercato, ci saranno certamente altri Produttori in grado di farsi carico - anno per anno - dei costi di una corretta gestione dei Raee fotovoltaici. Inoltre, nel lungo termine, si affiancheranno nuove tecnologie sostitutive che finanzieranno progressivamente il fine vita di tali rifiuti, come avvenuto in tante altre categorie di prodotti. “Il sistema impiantistico nazionale si sta già preparando ad accogliere volumi crescenti di pannelli da trattare, anche grazie agli investimenti del Pnrrr - conclude Arienti - È necessario che il modello di finanziamento venga adeguato a garantire la sostenibilità ambientale ed economica nel lungo periodo scongiurando lo scoppio di una bolla che creerebbe un danno economico, ambientale e reputazionale di dimensioni clamorose”.