ENTRA NEL NETWORK |
ENTRA NEL NETWORK |
(Adnkronos) - Presa a schiaffi e pugni, anche durante la gravidanza, spinta per terra, tirata dai capelli e sbattuta con la testa contro i fornelli della cucina, minacciata di morte con dei coltelli e pedinata ovunque. È la spirale di violenza cristallizzata nella denuncia fatta ai carabinieri da Rosita Gentile, 57enne di Torino, ma residente a Soverato nel Catanzarese, nei confronti dell’ex compagno ed ex convivente Mario Gregoraci, 74 anni, padre della popolare showgirl. Per l'uomo, indagato per maltrattamenti, atti persecutori e lesioni personali aggravate e attualmente sottoposto alla misura del divieto di dimora nei Comuni di Davoli e Soverato, il pubblico ministero della Procura di Catanzaro Graziella Viscomi - che nei suoi confronti aveva chiesto gli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico - ha chiesto il rinvio a giudizio. L'udienza preliminare davanti al gup del Tribunale di Catanzaro è fissata alle 10 del 5 novembre prossimo. Le violenza, stando al racconto della donna, sarebbe andata avanti per tutta la durata della convivenza, dal 2012 al 2021, protraendosi anche dopo la fine della relazione, fino al 2024, e anche davanti alla figlia, all’epoca dei fatti minorenne. Una serie di vessazioni quotidiane non soltanto fisiche, ma anche psicologiche: l’uomo, infatti – si legge negli atti d’indagine come la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di applicazione della misura cautelare - soleva apostrofarla con epiteti offensivi, o con frasi come: “Sei la più schifosa delle donne”, “Non vali niente”, “Tu sei niente, meglio di te la trovo all’angolo di Copanello”, oppure minacciarla di morte: “Io non ho niente da perdere, non so quanti anni mi sono rimasti da vivere, ma a te ti ammazzo pure”, “Ti metto un coltello davanti e te lo faccio uscire di dietro”. Botte e umiliazioni sarebbero andate avanti anche mentre Rosita era incinta: “Sentivo un click alla mandibola quando tirava queste sberle – ha raccontato la donna ai carabinieri -. Una volta non riuscivo a sentire per due giorni, lo confidai al mio medico curante, però lui mi disse di andare in ospedale e io non lo feci, primo perché non volevo fargli del male, volevo proteggerlo, poi perché mi vergognavo e poi non volevo che lo sapesse mia figlia. Poi, nel tentativo di fermarlo, quando aspettavo questo bambino, lui mi dette una spinta talmente forte, io cominciai a sanguinare, me lo sentivo, e andai a sbattere col fianco al bracciolo del divano. Io rimasi lì per terra, lui sbatté la porta e se ne andò”. Proprio nei giorni scorsi, in un’intervista a Calabria 7, Rosita aveva ripercorso quei momenti di terrore, rivelando che l’ex compagno le disse che “me ne dovevo liberare, mi diceva se vuoi tenerlo me ne lavo le mani”. A ciò si aggiungeva una gelosia morbosa e accecante, un controllo ossessivo delle sue abitudini e del suo modo di vestire, la minaccia di tagliarle la minigonna con le forbici e farla in mille pezzi se solo avesse osato indossarla, i pedinamenti sul lungomare e fino a sotto casa, gli escamotage più assurdi, come ad esempio legare con un filo da cucito le estremità del cancello per monitorare le uscite di casa e alludere, così, a ipotetici tradimenti. Comportamenti che, inizialmente, la donna avrebbe giustificato attribuendoli alle “provocazioni delle figlie” di Gregoraci, note donne dello spettacolo, le quali non accettavano la relazione tra lei e il padre, ma che poi ha avuto il coraggio di denunciare per porre fine allo stato di forte ansia e paura per la propria incolumità in cui era costretta a vivere da anni.
(Adnkronos) - La Calabria, e il suo patrimonio olivicolo, non possono più considerarsi 'zona franca' dalla xylella. E' l'allarme che lancia Cia Calabria sottolineando che "47 ulivi infetti individuati a Cagnano Varano, nel Gargano, rappresentano un punto di svolta negativo nella diffusione della Xylella fastidiosa. La malattia, che ha colpito duramente il Salento dal 2013, dimostra di non arrestarsi: le condizioni climatiche favorevoli e la mobilità degli insetti vettori suggeriscono che la Calabria non può più considerarsi 'zona franca'. Anche la Basilicata, con la presenza di sottospecie del batterio in prossimità dei confini pugliesi, mostra come l’infezione possa penetrare da settori contigui, aumentando il rischio per i territori olivicoli calabresi", sottolinea l'organizzazione agricola. E per Cia Calabria non c'è più tempo da perdere: "il mondo agricolo calabrese, le istituzioni regionali e centrali e le strutture tecniche devono stabilire un programma di prevenzione attiva che anticipi l’epidemia, anziché rincorrerla. Serve nomina di un Commissario straordinario nazionale dotato di poteri semplificati e risorse dedicate, capace di coordinare le misure su scala nazionale e regionale. È imprescindibile che la Regione Calabria, attraverso gli assessorati competenti, istituisca un piano regionale d’emergenza, con protocolli sanitari aggiornabili e tempestivi. Occorre inoltre che il Governo centrale riconosca alla Calabria lo status di regione 'a rischio elevato' e attivi fondi straordinari di sorveglianza, ricerca e compensazione in caso di danni. Il dialogo con l’Unione Europea deve tradursi in finanziamenti aggiuntivi per la regione che sarà bersaglio imminente del batterio", continua Cia. La Calabria, ricorda Cia, vanta una delle più antiche e raffinate tradizioni olivicole italiane, dove cultivar come la Carolea, la Roggianella o la Ciciarello costituiscono non solo una risorsa economica, ma anche culturale e paesaggistica. "Questa eredità la rende essenziale e al tempo stesso vulnerabile. Le mappe di rischio agronomico mostrano che molte aree della regione – in particolare le fasce collinari e le zone costiere con clima mite – sono compatibili con la sopravvivenza e la diffusione del batterio. È un dato che non lascia spazio all’improvvisazione: ogni azione deve partire ora, con decisione e coerenza", spiegano da Cia Calabria. Secondo gli esperti dell'organizzazione agricola "dal fronte sperimentale e dai territori pugliesi emergono indicazioni che in Calabria dovrebbero diventare prassi consolidate. Il monitoraggio continuo, con controlli mirati e analisi fitosanitarie su piante sospette, è la prima barriera efficace. Qualora si individuino piante infette, l’azione tempestiva di eradicazione e l’istituzione di zone tamponi circostanti possono impedire che il batterio si diffonda. Contemporaneamente, intervenire sui vettori, in particolare la Philaenus spumarius, la 'sputacchina', con interventi agronomici (lavorazioni leggere superficiali, diserbo programmato) e trattamenti mirati è fondamentale per ridurre la pressione infettiva". Secondo Cia Calabria "un altro pilastro è la gestione del verde spontaneo e delle piante ospiti. Terreni incolti, bordi di strade, fossi e aree non curate offrono habitat ideali per il vettore; mantenerli puliti e ben gestiti è un impegno che deve riguardare non solo gli agricoltori, ma anche le amministrazioni locali e gli enti territoriali. In questo senso, la prevenzione è una responsabilità collettiva", sottolinea ancora l'organizzazione. E per Cia in un contesto di rischio crescente, i vivai che operano con materiali certificati e sani diventano un presidio fondamentale. Abbiamo vivai anche in Calabria che storicamente rappresentano un punto di riferimento importante per gli agricoltori: producono piante certificate, garantiscono qualità genetica e fitosanitaria e sono impegnati da generazioni nell’evoluzione tecnica del vivaismo. Per Maria Grazia Milone, presidente di Cia Agricoltori Italiani Calabria Centro, “la qualità è lo strumento per superare le difficoltà e vincere le sfide insieme. Il vivaio è punto di partenza della filiera produttiva agroalimentare, per cui per ottenere produzioni di qualità è necessario partire da piante di qualità. Per piante di qualità intendo piante certificate, cioè sane e certe dal punto di vista genetico. Queste sono garanzie necessarie che un imprenditore agricolo deve avere per fare un impianto remunerativo, che duri nel tempo, che abbia bisogno di minori input e che produca di più e meglio", sottolinea. Ma per Cia Calabria "un ruolo strategico in questa sfida è affidato al servizio fitosanitario regionale, il quale con un attento e capillare monitoraggio potrebbe scongiurare la presenza del batterio e/o tempestivamente individuare ed eradicare un primo focolaio. Per fare questo, però, è necessario che al Servizio fitosanitario regionale, da anni sottodimensionato, venga riconosciuto il ruolo che ricopre e le diverse funzioni che svolge. È necessario che questo comparto venga potenziato: avere un numero maggiore di ispettori, maggiori risorse e un dirigente dedicato", sottolinea l'associazione. La lotta alla Xylella non può essere delegata solo agli agronomi e agli agricoltori: serve una mobilitazione istituzionale forte, secondo Cia per la quale "la Calabria ha oggi l’occasione, forse l’ultima, per mobilitarsi prima che l’infezione varchi i suoi confini, ammesso che non lo abbia già fatto, visto che finora non sono stati fatti controlli sufficienti per asserire questo con sicurezza. Il comparto olivicolo regionale, la cui crescita negli ultimi decenni è stata costante, rischia di subire danni irreparabili. L’avvento del batterio e il diffondersi della malattia impatterebbero sulla tradizione, la bellezza del panorama e sull’economia che si basa in modo consistente sull’olivicoltura", lancia l'allrme l'associazione. Per il presidente regionale di Cia Calabria Nicodemo Podella "se il meccanismo di difesa è messo in moto oggi, con responsabilità e visione collettiva, si può sperare di evitare che la Xylella tenga il destino della Calabria nelle sue spire. La chiamata è alle istituzioni, agli agricoltori, alle filiere, e alla stessa società civile affinché, insieme, costruiscano una barriera di prevenzione che salvi il nostro patrimonio verde dalle ombre di un batterio implacabile.
(Adnkronos) - In occasione del World Energy Day, giornata che promuove a livello globale un utilizzo più consapevole e sostenibile delle risorse energetiche, Automobili Lamborghini annuncia il completamento dell’ampliamento del proprio impianto fotovoltaico nello stabilimento di Sant’Agata Bolognese. L’impianto - si sottolinea - "segna un ulteriore passo nella strategia di decarbonizzazione della Casa e rafforza l’autonomia energetica del sito produttivo". D'altronde il percorso di Automobili Lamborghini nell’ambito delle energie rinnovabili è iniziato nel 2010 con l’installazione del primo impianto fotovoltaico, successivamente esteso fino a raggiungere una superficie complessiva di 15.000 mq, tra i più grandi della regione all’epoca, in grado di generare oltre 2 milioni di kWh all’anno e ridurre circa 800 tonnellate di CO₂ ogni anno. L’ampliamento dell’impianto fotovoltaico si inserisce in un processo che già nel 2015 ha visto Automobili Lamborghini conseguire il raggiungimento della neutralità carbonica on balance del sito produttivo: un traguardo - si spiega - conseguito come scelta volontaria e pionieristica, che ha reso lo stabilimento di Sant’Agata Bolognese il primo certificato all’interno del Gruppo Audi e il primo al mondo a ottenere la certificazione di neutralità da parte dell’ente DNV". Da allora, Automobili Lamborghini ha mantenuto questo status nonostante il raddoppio delle superfici produttive, grazie a una strategia integrata che combina crescita dello stabilimento, investimenti in efficienza energetica, riduzione diretta delle emissioni e progetti di compensazione delle emissioni residue. Con l’ampliamento appena ultimato, che ha interessato la superficie in copertura del magazzino, la capacità complessiva dell’impianto è cresciuta ulteriormente: oggi è in grado di produrre circa 2,89 milioni di kWh aggiuntivi all’anno, garantendo una riduzione stimata delle emissioni pari a 1.200 tonnellate di CO₂ annue. L’intervento ha previsto l’installazione di più di 4.000 pannelli fotovoltaici su una superficie di circa 12.000 metri quadrati, con una potenza installata complessiva pari a 2,5 MWh.