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(Adnkronos) - Negli ultimi giorni si è riaccesa la guerra commerciale. Nell’attesa della lettera di Trump ai principali partner commerciali – Ue inclusa – con l’elenco dei nuovi dazi che entreranno in vigore ad agosto. Secondo alcune indiscrezioni, si tratta di disposizioni “reciproche” per Paese e settore, con un’aliquota di base del 10% e scaglioni più alti per beni strategici. Bruxelles, pur sperando di strappare esenzioni o aliquote ridotte, prepara contromisure e incentivi interni per l’industria europea; nel frattempo un’analisi dello Yale Budget Lab stima che l’attuale impianto tariffario USA possa aggiungere fino all’1,8 % all’inflazione di breve periodo, mentre i negoziati transatlantici per “disinnescare” il conflitto restano in bilico. È inutile fare proiezioni sul 10, il 35 o il 50%: finché non ci saranno accordi firmati tra Stati Uniti e i singoli paesi o blocchi, il presidente americano continuerà nel suo “Art of the deal”. C’è però una novità rispetto alle guerre commerciali del passato, cioè la possibilità di colpire in modo “chirurgico”: oggi esistono piattaforme basate su intelligenza artificiale in grado di mappare miliardi di transazioni, catene di approvvigionamento multi-livello e regole di origine, consentendo a governi e imprese di simulare in tempo reale l’impatto di ogni dazio e di mirare con precisione nodi, componenti o fornitori critici, riducendo al minimo gli effetti collaterali. Questa capacità promette dunque una politica commerciale più efficace, capace di chiudere le scappatoie (per esempio l’assemblaggio finale in Messico o Vietnam di componenti cinesi) e, al tempo stesso, di dare alle imprese una bussola per riallocare produzione e sourcing con rapidità. Per capire come funzionano queste piattaforme, Adnkronos ha contattato Evan Smith, ceo e co-fondatore di Altana AI, che sta lavorando con le agenzie federali americane e con imprese di tutto il mondo e che fornisce questa mappa inedita e precisa “al millimetro”. Nel luglio 2024 ha raccolto 200 milioni di dollari in un round di finanziamento. All'epoca la valutazione era di un miliardo, ma Trump doveva ancora tornare alla Casa Bianca... (L’intervista è disponibile in versione integrale sul nostro canale Youtube e in fondo al testo) I dazi annunciati dall’amministrazione Trump hanno già cambiato il panorama del commercio globale? Le aziende stanno ridisegnando le catene del valore? Sì. Già da qualche anno vedevamo reshoring, near-shoring e “friend-shoring”, cioè lo spostamento di alcune produzioni in paesi più vicini, sia geograficamente che politicamente. Ma in questi mesi il fenomeno è accelerato. Negli Stati Uniti lo Usmca, il trattato di libero scambio con Messico e Canada, ha spinto l’assemblaggio finale in questi due paesi; ora però Washington vuole chiudere le scappatoie che permettevano di importare semilavorati cinesi e godere comunque di dazi zero. Lo stesso accade nell’e-commerce europeo, dove spedizioni di basso valore eludevano Iva e controlli. In poche settimane le aziende si sono viste costrette a riprogettare rotte logistiche, aprire stabilimenti in Paesi “fidati” e rinegoziare contratti di fornitura pluriennali. Oggi non contano più solo efficienza e costo del lavoro. Si parla di sicurezza, resilienza e valori. Lei ha parlato di una "globalizzazione 2.0". Cosa significa? Dal 1945 al 2018 la logica è stata “meno costa, meglio è”. Il risultato? Esternalità sociali e ambientali e, alla fine, vulnerabilità economica e strategica. Ma leggi come l’Uyghur Forced Labor Prevention Act, che puntano a contrastare lo sfruttamento degli uiguri nella regione dello Xinjiang, in Cina, costringono le aziende a tracciare l’origine del cotone o del polisilicio fino al livello della miniera: chi non riesce a dimostrare l’assenza di lavoro forzato vede bloccate le merci al confine. Questa svolta normativa obbliga le imprese a costruire catene del valore trasparenti – un passaggio impensabile senza strumenti di AI capaci di “illuminare” fornitori di secondo e terzo livello. L’Europa rischia di essere l’anello debole tra due giganti. Può ancora giocare un ruolo da protagonista? Può, ma servono scelte politiche e industriali coraggiose. Dal 2000 al 2025 il Pil pro-capite europeo ha preso una traiettoria declinante rispetto a quello statunitense; le ragioni vanno dalla demografia alla burocrazia, ma il nodo è la perdita di capacità produttiva. Se Usa e Cina proseguono verso uno “sganciamento”, all’Ue conviene rafforzare l’alleanza transatlantica e costruire una “value chain fidata” con Nord America, India, Sud-Est asiatico e America Latina. Gli Stati Uniti sono pronti a sostituire la manifattura cinese e magari a rifornire l’Europa? No, da soli non possono. Ma un network di Paesi “affidabili” può coprire materie prime, lavorazioni a medio-basso costo e produzione hi-tech, riducendo il peso di Pechino su segmenti come terre rare o batterie. Pechino aveva come obiettivo quello di diventare leader in molti settori. Ci è riuscita, e oggi solo sull'AI gli Stati Uniti sono ancora in vantaggio. Settori simbolo europei—lusso e automotive—subiscono la concorrenza cinese. Come reagire? Il problema nasce da 25 anni di sussidi e condotte illecite cinesi, e da scelte di outsourcing occidentali di breve respiro (come le remunerazioni dei manager). Le case di moda che fino a dieci anni fa ancora producevano in Italia o Portogallo hanno delocalizzato, perdendo know-how. L’unica risposta è ristabilire condizioni eque: da un lato dazi anti-dumping mirati e controlli sulle regole d’origine; dall’altro incentivi e formazione per riportare fasi produttive strategiche in Europa, recuperando competenze artigianali e industriali. Ho fatto una prova della vostra piattaforma, Altana, che fa vedere il dazio “reale” di un prodotto a seconda di dove passa e di chi lo assembla. Significa che anche i governi possono disegnare strategie commerciali molto più precise? La nostra rete federata integra dati pubblici, licenze commerciali e informazioni operative dei clienti per creare un gemello digitale della catena mondiale. Oggi visualizziamo circa la metà delle connessioni globali; ciò basta già a individuare l’anello preciso – per esempio il produttore di magneti in una provincia cinese – su cui far scattare un dazio o una licenza d’esportazione. È la differenza fra bombardare un’intera filiera e usare un bisturi: colpisci il punto giusto e, al tempo stesso, fornisci alle imprese scenari per rilocalizzare la produzione prima che la misura entri in vigore. (di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Un angolo gourmet in un luogo dove il lusso ha un tocco umano. L’indirizzo che non ti aspetti, nel cuore di una delle città d’arte tedesche più amate, e che spicca tra un’offerta mediamente distante dagli standard nostrani. E’ il Gewandhaus di Dresda, hotel a cinque stelle del Gruppo Marriott Bonvoy (Autograph Collection) che in questa città della ex Germania Est rasa al suolo sul finire della Seconda Guerra mondiale, e poi orgogliosamente ricostruita, ha puntato su un’offerta food&beverage di altissimo livello e, soprattutto, con un format unico nel suo genere, che comprende un ristorante specializzato nella carne e un cake-shop. Il concept del ristorante interno all’albergo, aperto anche a clienti esterni con ingresso diretto dalla strada, è tutto nel nome: [m]eatery. Un vero e proprio invito rivolto ai meat-lovers per venire ad assaporare carne di eccellente qualità. A rendere originale la proposta è il fatto che qui la carne non viene solo selezionata dai migliori allevamenti e cucinata a regola d’arte, ma viene anche stagionata a secco ‘in casa’ all’interno di una cella climatizzata a vista, come la cucina, da cui il cliente può vedere il grado di maturazione e scegliere il taglio. Questo procedimento, che assicura la giusta temperatura fredda, un’elevata umidità e la costante circolazione di aria, consente di ottenere un manzo più tenero e dal gusto più concentrato. E le preparazioni sono le più varie, dalla tartare per gli amanti del crudo alla tagliata italian style, passando per le immancabili bistecca e filetto, fino ai tagli tipicamente americani come la rib-eye e la t-bone; tutto servito con una varietà di salse di accompagno e contorni a scelta. Un locale che è al tempo stesso una steakhouse per intenditori e un pub di lusso ma anche un ‘botanist bar’, con ricca carta di vini, birre, distillati e più salutari succhi e centrifugati. A completare la speciale offerta food&beverage del Gewandhaus hotel di Dresda è il Kuchen Atelier, una pasticceria raffinatissima che offre una selezione di torte e pasticcini, realizzati con ingredienti di prima qualità, dalla frutta fresca e secca al cioccolato fondente. Ce ne sono per tutti i gusti, dai macaron, ormai divenuti internazionali, all’Eierschecke, dolce tradizionale della città di Dresda: una torta a tre strati, con una base di pasta lievitata, uno strato intermedio di crema pasticcera e uno superiore a base di uova, burro, zucchero e vaniglia. Il Kuchen Atelier occupa un angolo colorato dell’albergo, a cui si accede dalla hall e, anche in questo caso, direttamente dalla strada; i dolci fanno bella mostra di sé nelle teche una volta usciti dalle mani del maestro pasticcere Dirk Gunther. Kuchen Atelier, infatti, è aperta a chiunque voglia acquistare un dolce, ordinarlo magari per una ricorrenza, oppure consumarlo in loco, che si sia alloggiati in hotel oppure clienti esterni. Così, a una certa ora soprattutto del pomeriggio gli eleganti saloni al piano terra del Gewandhaus, compreso il suo cortile interno coperto, diventa un luogo di ritrovo e un punto di riferimento per i più golosi che si danno appuntamento qui per gustare un irresistibile dolce accompagnato da un tè, un caffè o una bibita (da provare una speciale limonata bio alle erbe). Come spiega il direttore dell’hotel Gewandhaus, Stephan Becker, “questo è un format creato dalla proprietà, un piccolo Gruppo che è in franchising con Marriott fin dal 2015, anno in cui l’hotel è stato rinnovato”. “Nel ristorante, il cliente sceglie il taglio di carne che preferisce dalla vetrina: è la carne migliore, proveniente da Argentina, Stati Uniti e da allevamenti locali. Si può scegliere addirittura il coltello, che per i più affezionati viene personalizzato. Anche nella pasticceria è tutto fatto in casa dal nostro pasticcere e si può vedere la preparazione. Spesso ci ordinano torte particolari per occasioni speciali. Vero valore aggiunto è poi il personale, molto attento, fidelizzato, flessibile: qui, infatti, tutti sono sempre pronti a dare una mano per qualsiasi necessità, ad aiutarsi l’un l’altro nei vari reparti”, sottolinea. Il Gewandhaus è un hotel che, spiega il direttore, “vanta una clientela abituale, molti americani, ma anche tedeschi; tante le persone dall’Asia e dall’Europa dell’Est; Oltre agli ospiti dell’hotel, per il ristorante abbiamo una clientela esterna, anche business durante la settimana, mentre nei weekend prevalgono i turisti in città per un city break”. Una storia, quella del Gewandhaus, che va di pari passo con quella di Dresda. L’edificio infatti è menzionato fin dal 1295, ai suoi albori, e da allora ha seguito le sorti della città, fino al bombardamento del 1945, quando della struttura riprogettata nel 1724 dall’architetto Johann Friedrich Knobel rimasero solo tre muri esterni. Fu ricostruito, come tutta la città, esattamente dov’era e com’era, al numero 1 di Ringstrasse, in quello stile tra il Barocco e il Classicismo che nel 18° secolo rifletteva l’animo culturale ma anche mercantile del tempo. Il Gewandhaus, infatti, è stato in fasi alterne azienda, banca, teatro e poi albergo dalla ricostruzione del 1997 fino al rinnovamento che 10 anni fa lo ha reso il cinque stelle di oggi, con 94 camere e 3 suite. Il cortile interno coperto, da cui si accede anche alla Spa, ricorda i palazzi ringhiera e soprattutto offre un’atmosfera raccolta e al tempo stesso maestosa. Fiore all’occhiello sono gli arredi, tutti realizzati da artigiani del territorio, in un’ottica di sostenibilità. L’albergo si trova proprio a fianco del Rathaus e da qui ci si può facilmente muovere a piedi per una passeggiata in centro. Pochi passi e si è alla Kreuzkirche, con la sua inconfondibile torre campanaria, e nella piazza dell’Alt-Markt. Da qui, è facile raggiungere il Neumarkt con l’iconica Frauenkirche, emblema della ricostruzione post-bellica. Pochi passi ancora e si può passeggiare sulla terrazza affacciata sull’Elba, con la vista sul quartiere di Neu-Stadt, arrivare alla Cattedrale e al Castello o alla zona dei musei con il palazzo dello Zwinger, e il Semperoper, uno dei teatri più importanti della Germania. Tutto raggiungibile a piedi in pochi minuti, così come, in direzione opposta, la zona commerciale fino alla stazione centrale, dal Gewandhaus, dove le porte per viaggiatori e locals sono sempre aperte.
(Adnkronos) - Un valore della produzione salito dai 38 miliardi del 2015 ai 68 miliardi del 2025 e una crescita degli occupati, che in dieci anni sono passati da 90mila a 104mila. Sono alcuni dei dati sull’evoluzione del comparto delle utilities emersi oggi nell’Assemblea generale di Utilitalia, organizzata a Roma in occasione del decennale della Federazione sorta nel 2015 dopo la fusione tra Federutility e Federambiente. Dal 2015 al 2025 il valore della produzione delle utilities italiane è aumentato del 79%, arrivando a 68 miliardi. Gli occupati, anche a fronte di un consolidamento industriale che ha visto fusioni e aggregazioni, sono aumentati del 15%, dai 90mila del 2015 ai 104mila attuali. A testimonianza del valore generato dalle utilities sui territori nel quali operano, mediamente ogni euro di fatturato di queste aziende genera un livello di produzione di 2,6 euro e, al contempo, per ogni milione di euro di fatturato si impiegano tra i 16 e i 34 occupati. “Negli ultimi anni - spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini - tra pandemia, crisi energetica e siccità le utilities si sono trovate ad affrontare una serie di situazioni emergenziali che hanno rappresentato sfide enormi per il comparto. Ciò nonostante, le imprese non si sono limitate a garantire la continuità dei servizi ma hanno realizzato investimenti fondamentali per supportare la transizione ecologica del Paese, confermando la loro centralità all’interno di questo percorso”. ACQUA - Per quanto riguarda il settore idrico, gli investimenti pro-capite sono passati dai 38 euro annui del 2015 agli 80 euro stimati nel 2025, con una crescita del 110%. "Tra i nodi da sciogliere - segnala Utilitalia - figurano gli investimenti relativi alle gestioni 'in economia', dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico: qui gli investimenti crollano a 29 euro per abitante. Per il prossimo futuro, a fronte di un valore complessivo degli investimenti sostenuti dalla tariffa aumentato fino a circa 4 miliardi l’anno, il fabbisogno di settore è stimato da Utilitalia in almeno 6 miliardi l’anno. Negli ultimi anni il Pnrr ha destinato al settore circa 1,1 miliardi annui: serviranno dunque risorse aggiuntive pari a circa 0,9 miliardi di euro l’anno fino al 2026, e pari ad almeno 2 miliardi di euro l’anno dopo la chiusura del Pnrr, per innalzare l’indice di investimento complessivo". Nell’ottica della Federazione, "alle risorse derivanti dalla tariffa andrebbe affiancata anche una quota di contributo pubblico di almeno 1 miliardo di euro l’anno per i prossimi 10 anni". RACCOLTA DIFFERENZIATA - Investimenti che sono necessari anche nel settore dei rifiuti urbani, dove negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi in avanti sul fronte della raccolta differenziata (passata dal 47,5% del 2015 al 67% attuale) e del riciclaggio (salito dal 41,1 % del 2015 al 50,8% attuale). L’Unione europea ha posto obiettivi sfidanti al 2035 che riguardano l’effettivo riciclo per il 65% dei rifiuti urbani prodotti e uno smaltimento in discarica fino ad un massimo del 10%, mentre attualmente l’Italia si attesta al 16%, anche se molti passi avanti si sono fatti rispetto al dato del 2015 (26%). Per centrarli in futuro - avverte Utilitalia - sono necessari investimenti aggiuntivi pari a circa 4,5 miliardi: di questi, 3 miliardi riguardano la dotazione impiantistica (2,5 per impianti di incenerimento e 0,5 per la digestione anaerobica), mentre 1,5 miliardi saranno necessari per implementare i sistemi di raccolta differenziata. ENERGIA - "Il settore dell’energia, invece, è atteso a una radicale trasformazione per far fronte agli obiettivi di decarbonizzazione e di contrasto ai cambiamenti climatici. Con il Green Deal e la Legge Europea per il Clima, l’Ue ha individuato un punto di arrivo estremamente ambizioso: la neutralità climatica al 2050", osserva la Federazione. L’analisi dei piani industriali delle maggiori utilities impegnate in campo energetico ha evidenziato un volume di investimenti programmati pari a circa 19 miliardi di euro nei prossimi 5 anni: fra questi, 7,6 sono destinati ad investimenti per le reti elettriche, del gas e del teleriscaldamento, 7,7 alla produzione di energia rinnovabile e non rinnovabile, mentre circa 1,5 miliardi sono destinati all’efficientamento energetico e alla mobilità sostenibile. LE PRINCIPALI SFIDE PER LE UTILITIES VERSO IL 2035 - Guardando al futuro, il comparto delle utilities si trova davanti a sfide cruciali che richiedono un impegno strategico su più fronti. Come evidenzia il vicepresidente vicario di Utilitalia, Luca Dal Fabbro, “le imprese dei servizi pubblici si candidano a essere attori essenziali nel nuovo equilibrio tra sicurezza energetica ed ambientale, innovazione e crescita economica e coesione territoriale. In questo quadro, l’industrializzazione del settore e il superamento delle gestioni in economia, dove ancora presenti, restano fondamentali per migliorare le performance e aumentare la capacità di investimento complessiva. La strategia futura si fonda su tre assi portanti: una regolazione evolutiva, una governance industriale efficiente e non meno importante una forza lavoro competente e orientata al cambiamento”. Tra le priorità chiave individuate da Utilitalia figurano il rafforzamento del ruolo della regolazione indipendente, l’incremento degli investimenti nella sicurezza e resilienza delle infrastrutture e degli approvvigionamenti, le aggregazioni per una governance efficiente e il superamento dei vincoli normativi del Testo Unico sulle Partecipate. E ancora il consolidamento dell’industrializzazione dei settori, investimenti ancora più ingenti per garantire la qualità della risorsa idrica, misure tese a garantire la continuità agli investimenti oltre l’orizzonte del Pnrr, l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi operativi e gestionali e politiche del lavoro che favoriscano stabilità, formazione e innovazione organizzativa.