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(Adnkronos) - Prima ricompensati con denaro, status e influenza. Ora finiti nel mirino della macchina repressiva del presidente russo Vladimir Putin, che sembra rivolgersi all'interno e li bolla come ''agenti stranieri'' o ''terroristi''. La nuova purga dello zar colpisce esponenti russi apertamente pro Cremlino e decisamente favorevoli alla guerra contro l'Ucraina, strenui sostenitori dell'invasione russa lanciata il 24 febbraio del 2022. Si tratta ad esempio dell'opinionista Sergei Markov, che per anni ha acclamato Putin come uno dei grandi uomini della storia sui media stranieri. O del blogger militare Roman Alyokhin, zelante raccoglitore di fondi per le truppe russe e promotore di una retorica apertamente genocida sull'Ucraina. O, ancora, della commentatrice di origini ucraine della rete statale Rt, Tatyana Montyan, convinta che la Russia avrebbe dovuto lanciare la sua invasione su vasta scala molto prima. Personaggi che hanno prosperato negli ultimi anni in Russia, sottolinea il Guardian, notando come la lealtà incrollabile e l'entusiasmo militante per la guerra in Ucraina siano stati prima ricompensati e ora li abbiano fatti finire nel mirino dello stesso Stato che elogiavano. Markov e Alyokhin sono stati entrambi definiti "agenti stranieri". Montyan è stata invece classificata come "terrorista ed estremista", etichetta solitamente applicata a coloro che il Cremlino considera i suoi nemici più pericolosi, come per esempio i membri dello staff di Alexei Navalny. Nel complesso, affermano gli analisti, quello che emerge è una nuova tendenza. Ovvero un'epurazione non solo dei dissidenti, ma anche degli stessi sostenitori del Cremlino mentre emerge uno scontro interno tra le fazioni rivali. "Prima hanno attaccato le voci contrarie alla guerra. Ora non ne sono rimaste più e la macchina repressiva non può essere fermata", ha affermato la politologa russa Ekaterina Schulmann, citata dal Guardian, convinta che seguiranno altri arresti, "l'apparato repressivo russo deve continuare ad autoalimentarsi". Mosca non ha fornito alcuna spiegazione ufficiale per le misure repressive e, a prima vista, ogni caso sembra essere stato innescato in modo diverso. Markov, noto per i suoi legami con le élite politiche dell'Azerbaijan, sembra ad esempio essere caduto in disgrazia dopo il peggioramento dei rapporti tra Mosca e Baku. Alyokhin, invece, è stato accusato di aver utilizzato in modo improprio i fondi raccolti per le truppe russe dopo aver ostentato sui social media una nuova auto sportiva e un costoso orologio. Anche Montyan è finita sotto indagine per appropriazione indebita di fondi raccolti per il fronte. Ma per Schulmann, dietro queste ragioni ci sarebbe una frattura più profonda. Ovvero la lotta tra due campi rivali: i veterani della propaganda strettamente legati al ministero della Difesa e al Cremlino, noti come "lealisti", e il vasto movimento popolare di sostenitori ultranazionalisti della guerra, noti come "militaristi" o Z-blogger, dalla lettera che è diventata il simbolo dell'invasione. Composto da centinaia di blogger di spicco e attivisti volontari, questo movimento ha raccolto fondi, acquistato droni e veicoli e consegnato rifornimenti direttamente in prima linea. Un movimento che ha preso forma subito dopo l'invasione dell'Ucraina, quando è diventato chiaro che l'esercito spesso non riusciva a fornire nemmeno le attrezzature e il supporto più basilari. I ''militaristi'' più intransigenti hanno talvolta criticato apertamente il modo in cui viene condotta la guerra e la loro relativa indipendenza dallo Stato ha portato Mosca ad appoggiare gli attacchi contro di loro. "Le autocrazie temono qualsiasi tipo di mobilitazione civica - ha detto Schulmann -. Qualsiasi movimento autentico, incluso quello a favore della guerra, è percepito come ostruzionistico e potenzialmente pericoloso". In passato il Cremlino è intervenuto per frenare le componenti del movimento pro-guerra che gli erano sfuggite di mano, in particolare con l'incarcerazione del popolare commentatore di estrema destra Igor Girkin nel 2024. Con miliardi di rubli destinati alla guerra in Ucraina, il denaro è diventato un altro punto di contesa. "In sostanza, il loro conflitto è una battaglia per le risorse", ha affermato Ivan Philippov, ricercatore e scrittore russo specializzato nel movimento pro-guerra del Paese. Philippov ha spiegato come Vladimir Solovyov, potente propagandista televisivo e volto pubblico del campo "lealista" con stretti legami con il ministero della Difesa, abbia guidato gli sforzi per epurare i blogger e i volontari pro-guerra, irritato dal fatto che molti di loro avessero raccolto più fondi per il fronte di quanti ne avesse raccolti la sua stessa organizzazione benefica approvata dallo Stato. "E' stato divertente osservare come coloro che non si erano mai opposti alla detenzione dei liberali stiano improvvisamente scoprendo che la giustizia in Russia è selettiva, che letteralmente chiunque può essere gettato in prigione senza motivo", conclude Philippov.
(Adnkronos) - "E' una manovra luci e ombre, perché vi sono indubbiamente alcuni aspetti positivi ma anche altri che non condividiamo. In primis, è positivo una tenuta forte dei conti pubblici, perché avere uno spread di 76 punti base significa avere minori interessi sul debito pubblico e quindi tendenzialmente maggiori risorse che vengono investite sul sistema". Così, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Cristian Camisa, presidente nazionale di Confapi, la Confederazione italiana della piccola e media industria privata, analizza la manovra economica del governo. Per Camisa, "altra cosa positiva è il rifinanziamento della Sabatini, che è comunque uno strumento importante per il mondo delle imprese, così come la sterilizzazione della plastic tax e della sugar tax", sottolinea. Secondo il numero uno di Confapi nel provvedimento del governo manca "una visione di politica industriale a lungo termine. Noi siamo imprenditori, siamo abituati a programmare, ad avere una programmazione pluriennale e quindi ci aspettiamo anche che i provvedimenti vadano in questa direzione", sottolinea. "Ad esempio -spiega Camisa- noi reputavamo il credito di imposta uno strumento estremamente importante, perché è già conosciuto dal nostro mondo, già utilizzato con l'industria 4.0, ma anche con 5.0, seppur con le difficoltà legate ai vincoli europei. Ritornare al superammortamento, all'iperammortamento significa privilegiare la grande industria, perché tutti gli studi e tutte le nostre esperienze ci dicono che questo strumento è utilizzato per la gran parte dalla grande industria, soprattutto perché lo si utilizza nel momento in cui si fanno degli utili. Mentre il credito di imposta -insiste Camisa- era fondamentale in una fase come questa, perché noi stiamo vivendo e andremo a vivere nei prossimi due o tre anni delle sfide epocali, tra cui quelle legate alla digitalizzazione e alla sostenibilità, che se non vinte rischiano di farci andare fuori mercato". "Altri punti non condivisibili -spiega- sono quello della tassazione sui dividendi per quelle anticipazioni sotto il 10%, perché da un lato aumenta la tassazione dall'1,2% al 24%, ma anche perché va a scoraggiare tutta una serie di investimenti in capitale di rischio che sono fondamentali anche per le nostre imprese. E soprattutto, ad esempio, tutte le imprese che sono all'interno delle filiere hanno a volte le partecipazioni incrociate, e quindi si arriva a una doppia tassazione che porta la tassazione complessiva su queste partecipazioni al 57,3%. E quindi non è condivisibile". E Camisa auspica, in conclusione, una "modifica sul tema del payback sanitario per le pmi, non solo una tassa inigua, ma anche insostenibile per le piccole e medie imprese e che rischia di portarle al collasso", ribadisce. Gli effetti dei dazi Usa Ma ad angosciare le pmi industriali sono gli effetti dei dazi Usa. "Il mercato statunitense -sottolinea Camisa- incide per il 10% dell'export complessivo italiano e quindi alcuni dazi, in particolare quello del 50% su acciaio e alluminio, quelli sulla pasta ma anche su altri prodotti stanno creando un danno potenziale estremamente importante per le nostre aziende quantificabile secondo uno studio recente in 20 miliardi di euro. Noi stiamo realizzando uno studio per avere una quantificazione complessiva sugli effetti sul mondo delle pmi industriali, ma possiamo già dire che di questi 20 miliardi all'incirca il 50%, e cioè 10 miliardi, è un danno riconducibile alle pmi industriali", sottolinea. E Camisa sottolinea che "a soffrire per i dazi sono sicuramente le industrie agroalimentari perché questa tassazione soprattutto su beni di consumo sta portando il livello dei prezzi a una condizione che comincia a diventare insostenibile, anche perché non dimentichiamoci che oltre il dazio del 15% su tanti prodotti c'è stato un deprezzamento del dollaro nei confronti dell'euro di circa il 13%, quindi l'aumento reale sul costo dei prodotti si avvicina al 30%, e tutto questo porta a una diminuzione importante dei consumi di certi beni di prima necessità", chiarisce. Secondo il presidente di Confapi il governo la manovra può essere un'occasione per agire a sostegno delle aziende che stanno subendo gli effetti dei dazi di Trump. "La nostra proposta -spiega Camisa- è di inserire in Manovra una 'sterilizzazione', attraverso un credito di imposta, dell'effetto dei dazi Usa sulle imprese italiane, che vada a compensare il peso di questi costi in più per le aziende che esportano negli Stati Uniti. E' un modo per dare respiro alle aziende, per poter fare una programmazione a medio e lungo termine perché purtroppo soprattutto per una pmi industriale cercare un nuovo mercato non è una questione di mesi ma di anni. E quindi, almeno a breve termine, è indispensabile avere un supporto, seppur consapevoli che le risorse non sono infinite, per non rischiare di fare entrare in crisi aziende per una decisione unilaterale che non è sicuramente frutto di una mala gestione dell'imprenditore", sottolinea. La crisi dell'automotive Le piccole e medie imprese industriali del settore dell'automotive in Italia "vivono una situazione molto negativa, questo è uno dei lati maggiormente dolenti per noi, e su questo auspico una grande moral suasion da parte del governo anche perché le ultime dichiarazioni dell'amministratore delegato di Stellantis, Filosa, sul mercato statunitense come principale mercato per l'investimento e su quello francese come secondo mercato di riferimento fanno pensare che si stia un po' dimenticando il mercato italiano. Noi abbiamo tantissime aziende che lavorano per fornitori di Stellantis che stanno chiudendo o sono in liquidazione perché senza ordini", spiega Camisa. "Noi rappresentiamo -continua Camisa- tantissime aziende del'industria dell'auto, in particolare nella zona piemontese, ma chiaramente non solo. Molto spesso rappresentiamo le seconde aziende di indotto all'industria, ma quelle che forniscono a fornitori di Stellantis. E da un momento all'altro aziende solide, capitalizzate, che avevano un business assolutamente fluido, si sono trovate senza un ordine perché le prime aziende dell'indotto hanno internalizzato tutta la produzione lasciando senza commesse le aziende di piccola e media dimensione", sottolinea. Uno shock "che sta portando queste aziende alla chiusura, alla liquidazione e qualsiasi idea, che pur è benvenuta, di riconversione non può essere fatta anche qui in poche settimane, in pochi mesi. Quindi anche su questo, seppur nelle difficoltà, è necessario un segnale per queste aziende perché questa riconversione possa essere supportata anche da strumenti di aiuto", sottolinea ancora Camisa. Il focus energia "Penso che il tema su cui il sistema Paese debba concentrarsi a lungo termine -spiega Camisa- è quello del nucleare, perché noi non possiamo avere oggi centrali nucleari ai confini e non avere un sistema nostro che vada in quella direzione e che possa finalmente e definitivamente dare una risposta alle richieste del sistema industriale italiano" sull'energia. Secondo Camisa, infatti, "il tema energia è uno di quelli focali" per il Paese "perché noi abbiamo mediamente un costo dell'energia che è molto maggiore rispetto ai nostri competitor". "Abbiamo auspicato che si possa agire su due livelli. Uno: finalmente si vada a definire una politica energetica europea, perché è impensabile in una situazione come quella in cui siamo che le nostre industrie debbano partire fin da subito con dei gap competitivi estremamente importanti rispetto al resto d'Europa. A livello governativo abbiamo chiesto alcune cose importanti: innanzitutto agire sull'azzeramento degli oneri di sistema che sono una componente significativa e su cui ci si è dimenticati di includere le piccole e medie industrie. E poi come strategia a medio termine, strategie di autoproduzione e autoconsumo, quindi cercare di dare degli incentivi per le batterie di accumulo su impianti fotovoltaici esistenti, ma anche incentivi al revamping e al repowering", dice. "Per finire -conclude- dei fondi di garanzia per i gruppi d'acquisto di energia per le piccole industrie, perché attraverso questi si può permettere alle aziende chiaramente di avere un potenziale completamente diverso nei confronti dei fornitori in tema di forza contrattuale e quindi in qualche modo di andare a ridurre i costi dell'energia stessa", conclude. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - “La green economy non si raggiunge per decreto”. Lo ha dichiarato il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, a Ecomondo di Rimini. “Siamo al 49% di rinnovabili, un risultato impensabile solo pochi anni fa. Ora serve continuità, investimenti e un mosaico di azioni, anche a supporto dei settori energivori. La sfida climatica resta globale e l’Europa da sola non basta”, ha detto. “Possiamo dirci tra i primi Paesi al mondo nella capacità di riciclo: si parla tanto di terre rare e materie prime critiche ma il più grande giacimento che abbiamo è la nostra immondizia. La capacità di riciclo - ha aggiunto - si manifesta pienamente proprio in questa fiera, simbolo di innovazione e sostenibilità”.