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(Adnkronos) - Gli Accordi di Dayton, l'intesa tra le parti che mise fine a tre anni e mezzo di una guerra interetnica che fece circa 100mila morti in Bosnia, compiono 30 anni. L'anniversario cade oggi in un clima di rinnovata tensione causata negli ultimi mesi dal rifiuto del leader serbobosniaco Milorad Dodik di ottemperare alle disposizioni dell'Alto rappresentante europeo, Christian Schmidt, la figura creata 30 anni fa per garantire la supervisione dell'intesa. Il 21 novembre 1995 - al termine di 20 giorni di lavori - i presidenti di Bosnia Erzegovina Alija Izetbegovic, di Croazia Franjo Tudjman e dell'allora Jugoslavia Slobodan Milosevic - che rappresentava anche gli interessi dei serbobosniaci essendo il loro leader politico, Radovan Karadzic, assente - approvarono nella base aerea Usaf Wright-Patterson nella città americana di Dayton, Ohio, l'Accordo quadro generale di pace in Bosnia Erzegovina e 11 annessi alla presenza del segretario di Stato americano Warren Christopher, del negoziatore Richard Holbrooke, di Carl Bildt, del vice ministro degli Esteri Igor Ivanov. Due mesi prima, a partire dal 30 agosto e fino al 20 settembre, la Nato aveva condotto la campagna militare aerea Operazione Deliberate Force contro le forze della Repubblica serba di Bosnia Erzegovina. La firma ufficiale dell'accordo avvenne a Parigi il 14 dicembre successivo nel corso di una cerimonia celebrata all'Eliseo, presenti, oltre a Bill Clinton, i presidenti di Francia, Jacques Chirac, il premier britannico John Major, il cancelliere tedesco Helmut Kohl e il primo ministro russo, Viktor Chernomirdin. L'accordo entrò in vigore quel giorno e mise fine alla guerra nella repubblica ex jugoslava. Le parti definirono meccanismi per mettere fine alle ostilità, rispettare la sovranità reciproca e "risolvere le controversie con mezzi pacifici", astenendosi "da qualsiasi atto, mediante la minaccia o l'uso della forza (...), contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica della Bosnia-Erzegovina o di qualsiasi altro Stato". Vennero inoltre stabiliti processi di smilitarizzazione, ricostruzione, svolgimento di elezioni libere, la creazione di una nuova Costituzione e ritorno dei rifugiati. L'accordo - accompagnato nella sua attuazione dal dispiegamento dei 'caschi blu” della Forza di implementazione (Ifor) e dalla figura dell'Alto Rappresentante - definisce la configurazione territoriale del Paese, con la sua divisione in due entità amministrative semiautonome: la Federazione di Bosnia-Erzegovina (a maggioranza bosniaca e croata) e la Repubblica Srpska (a maggioranza serbo-bosniaca), con Sarajevo come capitale del Paese e della Federazione. Le due entità create sono dotate di poteri autonomi in vasti settori, ma sono inserite in una cornice statale unitaria. Alla Presidenza collegiale del Paese siedono un serbo, un croato e un musulmano, che a turno, ogni otto mesi, si alternano nella carica di presidente. Ciascuna entità è dotata di un parlamento locale: la Repubblica Serba di un'assemblea legislativa unicamerale, mentre la Federazione Croato-Musulmana di un organo bicamerale. A livello statale vengono invece eletti ogni quattro anni gli esponenti della Camera dei rappresentanti del parlamento, formata da 42 deputati, 28 eletti nella Federazione e 14 nella RS; infine della Camera dei popoli fanno parte 5 serbi, 5 croati e 5 musulmani. L'accordo di Dayton ha posto fine alla guerra, ma ha consolidato le divisioni etniche sia a livello territoriale che politico. Inoltre, migliaia di persone sono ancora disperse dopo il conflitto e solo alcuni dei responsabili dei crimini - tra questi i leader serbobosniaci, politico e militare, Radovan Karadzic e Ratko Mladic i cui nomi sono legati alla strage diu Srebrenica - sono stati assicurati alla giustizia, per cui le ferite di diversi decenni fa non sono ancora state sanate. La guerra in Bosnia iniziò dopo la disintegrazione della Jugoslavia, e dall'aumento delle tensioni nazionalistiche e religiose all'interno del territorio, che furono il terreno fertile per l'insorgere delle guerre. In questo contesto, la Bosnia, che dichiarò la propria indipendenza nel 1992 ed era la più diversificata al suo interno, fu teatro del conflitto più sanguinoso, culminato con il genocidio di Srebrenica, dove le forze serbe che rispondevano al comando del generale Ratko Mladic, uccisero oltre 8mila ragazzi e uomini bosgnacchi, musulmani di Bosnia. Negli ultimi mesi, le tensioni in Bosnia-Erzegovina sono aumentate, soprattutto a causa delle misure adottate da Dodik durante il suo mandato come presidente della Repubblica Srpska (2022-2025), che gli sono valse una condanna, poi commutata in una multa e sei mesi di interdizione da parte di un tribunale bosniaco, per aver disobbedito alle decisioni di Schmidt. Lo stesso Schmidt ha avvertito nella prima metà di quest'anno davanti al Consiglio di sicurezza dell'Onu che le tensioni sono diventate "una crisi straordinaria" che la Bosnia-Erzegovina deve affrontare e che "ha origine dai gravi attacchi della coalizione di governo della Repubblica Srpska agli accordi di Dayton", in particolare contro l'ordine costituzionale e legale e dalla "minaccia alla pace e alla stabilità". Per l'Alto rappresentante, le azioni del leader serbo-bosniaco mettono in pericolo l'integrità territoriale e sociale, generando al contempo incertezza giuridica ed esecutiva con la creazione di leggi e istituzioni a livello regionale che contraddicono e competono con l'autorità statale. "Questa situazione non è irreversibile, ma è grave", ha sottolineato, avvertendo che la vita quotidiana in Bosnia-Erzegovina "non sta diventando più facile", poiché la politica etnocentrica "continua a dividere le comunità invece di unirle". "La discriminazione rimane un problema fondamentale radicato e complesso", ha avvisato inoltre. A seguito della decisione del tribunale, la Commissione elettorale bosniaca ha ufficialmente destituito il leader serbo-bosniaco dalla presidenza della regione nel mese di agosto. Dodik, che ha promosso misure secessioniste, come leggi volte a una possibile indipendenza delle istituzioni regionali rispetto a quelle nazionali, ha presentato ricorso, ma la Corte costituzionale ha respinto le sue richieste. A distanza di trent'anni, la Bosnia deve affrontare le sfide del leader serbo-bosniaco, che si è rifiutato di lasciare la carica, anche se in seguito ha accettato la nomina della sua alleata Ana Trisic Babic a presidente ad interim. Le autorità elettorali del Paese hanno fissato per questo fine settimana, il 23 novembre, le elezioni anticipate per scegliere il suo successore. Per queste elezioni, Dodik, presidente del partito nazionalista Alleanza Indipendente dei Socialdemocratici (Snsd), ha sostenuto la candidatura del suo ex ministro dell'Interno Sinisa Karan come candidato del partito di governo. "Stiamo costruendo una Repubblica Srpska progressista, felice e prospera, e l'elezione di Karan è una garanzia che continueremo a proteggerla e preservarla", ha affermato. A tutto ciò si aggiunge il fatto che in ottobre, contro ogni previsione, l'amministrazione di Donald Trump ha revocato le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nel 2022 (durante il mandato del suo predecessore, Joe Biden) contro il leader serbo-bosniaco, che Washington accusava da anni di causare instabilità nel Paese. Dodik, che annovera tra i suoi principali alleati il presidente russo Vladimir Putin, ha ringraziato l'inquilino della Casa Bianca per aver "corretto una grave ingiustizia inflitta alla Repubblica Srpska, ai suoi rappresentanti e alle loro famiglie". "Ancora una volta, è stato chiarito che le accuse mosse contro di noi non erano altro che menzogne e propaganda; il fondamento del caos creato da Schmidt, un caos che ora dobbiamo risolvere", ha affermato.
(Adnkronos) - Il bagno si conferma sempre più come uno spazio centrale della casa e del benessere personale. Non è più percepito come un ambiente puramente funzionale, ma come un luogo dedicato alla cura di sé e alla qualità della vita quotidiana. È quanto emerge dal 'Bathroom Design Monitor 2025', la ricerca condotta da Niq-GfK Italia per Assobagno di FederlegnoArredo, che ha coinvolto tremila consumatori in Italia, Francia e Germania, tutti impegnati in una recente ristrutturazione del bagno o intenzionati a realizzarla nei prossimi 18 mesi. Oltre la metà degli intervistati - 54% a livello europeo e 57% in Italia - considera il bagno il fulcro del benessere domestico: un ambiente in cui si investe, non solo economicamente, per ottenere qualità, estetica e funzionalità. Non a caso, il percorso d’acquisto si rivela sempre più informato e articolato. Il negozio fisico si conferma in ogni caso protagonista assoluto: il 90% degli acquisti avviene ancora in negozio/punto vendita, dove la competenza del personale è essenziale per la decisione finale. Parallelamente, cresce la quota di consumatori che integra canali fisici e digitali: un pubblico esigente, ma che rappresenta una grande opportunità per le imprese che si dimostrano capaci di integrare al meglio mondo fisico e digitale. La presentazione dei risultati della ricerca si è svolta nell’ambito di una giornata organizzata da Assobagno, che ha ospitato anche una tavola rotonda dedicata al tema della distribuzione. Al confronto hanno partecipato Maurizio Lo Re (presidente Angaisa), Ferdinando Napoli (Ceo & co-founder Archiproducts) e Tommaso Moroni (direttore generale Arky powered by Leroy Merlin), in un dialogo coordinato dal giornalista Filippo Poletti, LinkedIn Top Voice. “Il Bathroom Design Monitor nasce per offrire agli operatori strumenti concreti per interpretare l’evoluzione dei comportamenti d’acquisto. La ricerca mostra un consumatore più informato e consapevole, che si muove con naturalezza tra fisico e digitale. Il punto vendita resta un riferimento essenziale, ma la decisione inizia molto prima, online. Per aziende e distribuzione significa garantire coerenza, competenza e servizio lungo tutto il percorso”, afferma Elia Vismara, presidente di Assobagno di FederlegnoArredo. Il fatturato alla produzione del Sistema Arredobagno si attesta intorno ai 4,2 miliardi di euro, secondo i Consuntivi del Centro Studi di FederlegnoArredo. Francia e Germania si confermano i principali sbocchi esteri, ciascuno con circa 260 milioni di euro di valore, pari a più del 15% dell’export. Il mercato interno, stabile, rappresenta il 60% del totale. In questa cornice, la proroga dei bonus edilizi e del bonus mobili fino al 2026 incentiva l’investimento nel bagno come spazio di benessere e facilita l’accesso a prodotti di qualità made in Italy. La ricerca evidenzia un consumatore moderno, informato, in cerca di ispirazioni e soluzioni personalizzate, che affronta l’acquisto dell’arredobagno come un processo attento, che spesso prevede l’integrazione di diversi canali (sia fisici che digitali) nella raccolta di informazioni e nella finalizzazione dell’acquisto. Il 97% dei consumatori europei si informa prima di acquistare e il 44% lo fa online, una pratica ormai trasversale a tutte le fasce d’età. I principali strumenti utilizzati sono motori di ricerca (64%), siti e app dei retailer (58%) e dei produttori (48%). In Italia spicca il ruolo di architetti e designer (28%) e delle riviste specializzate (29%), mentre in Germania l’online risulta ancora più determinante (49%). Il negozio fisico resta il canale predominante negli acquisti di arredobagno: il 90% dei consumatori europei acquista infatti in negozio. La quota di consumatori che nell’ultima ristrutturazione hanno acquistato sia in negozio che on-line tuttavia è molto significativa - 41% in Europa, 37% in Italia, 50% in Germania - confermando l’importanza, da parte delle aziende, di adottare una strategia multicanale. In Italia, il personale del punto vendita è il principale fattore che guida le scelte: competenza tecnica e capacità di ascolto sono determinanti per costruire fiducia. L’online - recensioni ed esperti - viene consultato, ma incide meno sulla decisione finale. L’88% ha acquistato offline e l’84% prevede di farlo anche in futuro. L’e-commerce cresce (21% ha acquistato online, 41% lo farà), ma converte solo in parte le intenzioni, confermando solidità e valore del punto vendita. I consumatori cercano funzionalità e robustezza, con grande attenzione alla durata dell’investimento. Completano il quadro design e qualità costruttiva, elementi chiave nella scelta del prodotto.
(Adnkronos) - "Con una media di 24 alberi ogni 100 abitanti, calcolata sui capoluoghi italiani, l’Italia mostra nel 2024 una presenza di verde urbano ancora insufficiente. Anche i dati nel dettaglio indicano che occorre migliorare: solo otto su 93 capoluoghi, di cui si hanno dati aggiornati, superano la soglia dei 50 alberi ogni 100 abitanti e, tra questi, tre superano i 100 alberi ogni 100 residenti. All’opposto, 27 capoluoghi contano meno di 20 alberi ogni 100 abitanti e più della metà di questi non raggiunge nemmeno i 10". A scattare questa fotografia è Legambiente sulla base dei dati Ecosistema Urbano 2025, sottolineando "la distribuzione disomogenea del verde urbano nel Paese" e "l’importanza di attuare interventi mirati di forestazione nelle aree cittadine". "Un’importante opportunità arriva dalla legge n. 10/2013, che disciplina lo sviluppo degli spazi verdi urbani", osserva l'associazione in occasione del trentennale della Festa dell’Albero, la storica campagna dedicata alla messa a dimora di piante e arbusti, che quest’anno si terrà dal 21 al 23 novembre, in partnership con AzzeroCO2, Frosta, Inwit e Biorepack come partner tecnico. Nei giorni della Festa dell’Albero, che cade in concomitanza con la Giornata nazionale degli alberi (istituita proprio dalla legge n. 10/2013 e celebrata ogni anno il 21 novembre), si terranno in 14 regioni oltre 120 iniziative di forestazione urbana organizzate da Legambiente insieme a cittadini, scuole, aziende e amministrazioni uniti dallo slogan 'Gli alberi ci danno tanto, ora tocca a noi'. Sulla base delle informazioni raccolte attraverso i questionari di Ecosistema Urbano 2025 di Legambiente, elaborate su dati comunali relativi al 2024, l’associazione traccia un quadro complessivo sullo stato di attuazione della legge n. 10/2013, valutando l’applicazione delle principali misure previste: la pianificazione e regolamentazione del verde urbano, la redazione del bilancio arboreo alla fine di ogni mandato amministrativo e il censimento del verde urbano. Tra i 93 capoluoghi analizzati, 30 città (32%) dichiarano di aver adottato un Piano del Verde, mentre in 26 casi (28%) risulta attivo un Regolamento del Verde Urbano. La misura più diffusa è il censimento del verde urbano, realizzato in 75 capoluoghi su 93 (80%). Meno diffusa invece la pubblicazione del Bilancio Arboreo comunale: solo 44 città (47%) lo hanno reso disponibile al termine del mandato del sindaco uscente. “Un dato significativo emerso dall’analisi di Legambiente sull’applicazione della legge n. 10/2013 riguarda la Giornata nazionale degli alberi, promossa da quasi l’80% dei capoluoghi italiani, ben 74 su 93 - commenta Giorgio Zampetti, direttore generale Legambiente - Si tratta di una percentuale incoraggiante ma che rischia di rimanere un impegno simbolico se la gestione strutturale del verde urbano è marginale. Lo dimostrano, ad esempio, le percentuali relative al numero di città che non hanno ancora adottato un regolamento o un piano formale per la gestione del verde. Anche sul fronte della trasparenza, i dati mostrano come la diffusione del Bilancio Arboreo rimanga ancora limitata, ostacolando una visione chiara e condivisa delle politiche verdi messe in atto dalle amministrazioni comunali. Per questo motivo lanciamo un appello ai Comuni, invitandoli a un impegno più deciso e concreto nell’attuazione della legge n.10/2013”.