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(Adnkronos) - Il Milan cala il tris a Bratislava contro lo Slovan, si impone 3-2 in trasferta nella quinta sfida della nuova Champions e sale in classifica portandosi a 9 punti. In gol per la squadra di Fonseca sono andati Pulisic, Leao e Abraham. Il tecnico rossonero aveva deciso di schierare l'ex Roma dal primo minuto al posto di Morata, con Pulisic dal 1’ dopo l’iniziale panchina contro la Juventus. Sulle ali spazio a Chukwueze e Okafor, mentre in mediana Fofana e Reijnders, mentre Calabria ha vinto il ballottaggio con Emerson Royal, con Theo Hernandez a sinistra, Pavlovic in difesa con Tomori a difesa di Maignan. Primo tempo difficile per il Milan, che rischia grosso al 15'. I rossoneri si fanno trovare incredibilmente scoperti in fase difensiva, con Strelec che servito in profondità si presenta davanti a Maignan, lo salta verso destra e conclude a botta sicura verso la porta ma si immola Pavlovic, che in scivolata nega il gol all'ex Spezia, mettendo in calcio d'angolo. Passano pochi minuti e al 21' il Milan passa in vantaggio con Pulisic che servito bene in profondità da Abraham, conclude ad incrociare con il destro, infilando verso sinistra. Il vantaggio però dura poco. Al 24' i padroni di casa trovano subito il pari: Barseghyan conclude un contropiede fulminante e con uno scavetto morbido a tu per tu con Maignan fa 1-1. Nella ripresa sale in cattedra Leao che al 68' riporta avanti il Milan: palla filtrante di Fofana che mette il portoghese davanti a Takac, tocco sotto e gol del 2-1. Al 71' arriva il tris: errore clamoroso di Strelec che serve un assist al bacio ad Abraham in area con un retropassaggio sbagliato, con l'attaccante inglese che si gira e, tutto solo in area, batte Takac per il 3-1. Lo Slovan prova a ripartire e all'88' accorcia le distanze con un gran tiro dalla distanza di Marcelli dopo l'ennesimo contropiede subito dal Milan. Al 90' lo Slovan resta anche in dieci uomini con Tolic appena entrato che viene ammonito per un fallo su Musah, poi le eccessive proteste spingono l'arbitro ad estrarre il rosso.
(Adnkronos) - Il 69,6% di lavoratrici e lavoratori italiani ha un carico di cura: tra questi, il 36% ha la responsabilità di figli minorenni, il 46% segnala di occuparsi di familiari anziani o fragili (nel 16% dei casi si tratta di un impegno quotidiano) e il 30% si prende cura di altri minori della famiglia, come ad esempio i nipoti. Considerando chi affianca la responsabilità su figli minori e la cura di altri familiari anziano o fragili, è stato possibile identificare la cosiddetta “generazione sandwich”: si tratta del 18% dei lavoratori. Sono i principali risultati dell’Osservatorio Nazionale sui bisogni di welfare di lavoratrici e lavoratori con responsabilità di cura, di Welfare Come Te, in partnership con la Prof.ssa Elena Macchioni (Professoressa di Sociologia – Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali 'Università di Bologna’) e con il contributo dell’Istituto di Ricerca Ixè. Welfare Come Te – provider di welfare aziendale espressione della cooperazione sociale – oltre a servire numerose aziende nella progettazione di iniziative e servizi dedicate ai caregiver e al benessere personale, ha voluto anche creare questo spazio organico di osservazione sulle esperienze in atto di welfare aziendale, con una focalizzazione sulla condizione dei ‘lavoratori caregiver’. Il progetto si struttura a partire da un’indagine demoscopica quantitativa – realizzata su un campione rappresentativo di lavoratrici e lavoratori del settore privato. L’indagine monitora, con periodicità biennale, il welfare aziendale, fornendo una fotografia delle condizioni familiari, lavorative, dei bisogni e delle necessità di welfare dei lavoratori italiani, con un focus su quanti hanno una responsabilità di cura. La prima indagine è stata realizzata nel maggio 2024. Emergono altri dati interessanti: la conciliazione si basa prevalentemente sul “fai-da-te” degli stessi lavoratori, che in larga maggioranza (70%) dichiarano di riuscire a gestire gli impegni di lavoro e quelli personali e familiari grazie alla propria capacità organizzativa, aspetto rimarcato - per lo più - dalle donne e che si consolida con l’età delle rispondenti; sul fronte delle carenze i lavoratori lamentano innanzitutto (49%) la mancanza di servizi pubblici territoriali, particolarmente avvertita dai lavoratori residenti nelle regioni del centro e del sud Italia. Il 41% segnala anche la carenza di servizi di welfare aziendale. Nel groviglio di impegni da conciliare, i lavoratori trascurano, innanzitutto, il proprio benessere psicofisico, tema indicato dal 68%, e sottolineato per lo più dalle lavoratrici. Un lavoratore dipendente su tre sente di aver trascurato responsabilità familiari e il 19% il lavoro; chi è gravato da carichi di cura tende a giudicare se stesso con maggiore severità, sottolineando in misura significativamente più marcata le proprie mancanze sul fronte lavorativo e familiare. In questo scenario il welfare aziendale occupa uno spazio che appare ancora contenuto e non del tutto adeguato, il welfare offerto dalle imprese ha pochi elementi di utilità sociale, là dove presenti ricalcano i pillar del welfare state tradizionale (senza ricercare una vera e propria modalità di integrazione) e seguono una pratica di convenienza (ciò che la normativa permette di offrire con vantaggio fiscale), piuttosto che di convinzione (ciò che può essere realizzato tenendo conto dei reali bisogni di lavoratrici e ai lavoratori). Questo studio ha restituito la dimensione del fenomeno su scala nazionale ed ha evidenziato uno spazio ampio di lavoro e di intervento. È necessario promuovere una nuova narrazione del welfare, lo sviluppo di una prospettiva sociale e di personalizzazione degli interventi, attraverso un approccio plurale– preferibilmente sviluppato a partire dal livello territoriale – in cui imprese, PA e Terzo Settore possano cooperare in risposta ai bisogni crescenti di cura di lavoratrici e lavoratori.
(Adnkronos) - “Si parla molto delle aziende di Stato un po’ meno delle multiutility ma le multiutility sono quelle che investono in Italia, nei comuni e nei territori, non in Africa o in Sudamerica, e sono quelle che impiegano 300 mila persone. Quindi, che c’è spazio per tutte, per le grandi, per le piccole, ma le multiutility sono una delle cinghie di trasmissione dell’economia reale”. Così il presidente di Iren, Luca Dal Fabbro, intervenendo ad un incontro nell’ambito dell’assemblea annuale di Anci in corso a Torino. “Credo che il sistema delle multiutility in Italia possa essere utile per lo sviluppo dell’energia e dei servizi sostenibili nei Comuni. Le utility italiane hanno circa 300 miliardi di euro in fatturato annuo, coprono il 15% del Pil”, ha aggiunto Dal Fabbro dicendosi convinto che “il futuro sia sempre più della partnership pubblico-privato". "Penso - ha spiegato - una delle soluzioni che possiamo sviluppare insieme con i comuni e con le istituzioni siano i partenariati pubblici -privati in tutte le attività che insistono nei servizi pubblici, acqua, energia, ambiente”. "Per fare questo bisogna fare anche un po’ di formazione alle multiutility, alle aziende che lavorano in questo settore, ai comuni e alle istituzioni perché oggi la legge ci permette di fare operazioni virtuose a beneficio del cittadino e delle aziende unendo le competenze pubblico privato e questo lo si fa liberando finanza, oggi l’economia ia supporta questo tipo di progetti, quindi il problema non è trovare il denaro ma quelle strutture più trasparenti e virtuose possibili che dimostrano di dare un beneficio ai cittadini”, ha concluso.