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(Adnkronos) - Donald Trump raccomanda dazi del 50% sulle merci importate dall'Unione Europea a partire dal primo giugno. Il messaggio minaccioso arriva via Truth, come d’abitudine. In poche righe c’è tutta la dottrina trumpiana. "E' molto difficile avere a che fare con l'Unione Europea, formata con l'obiettivo di approfittarsi degli Stati Uniti sul commercio", è la premessa, a cui segue un bilancio, pessimo, sulle trattative in corso: "Le nostre discussioni non stanno andando da nessuna parte". Ci sono, immediatamente, delle conseguenze. La guerra commerciale fra Stati Uniti ed Europa, anche quando viene solo evocata, produce danni. L’annuncio di Trump ha scosso le Borse europee. Come mostra l’andamento dell’Euro Stoxx 50, che raccoglie le 50 maggiori società europee per capitalizzazione, dalla diffusione delle parole del presidente è crollato di quasi tre punti. Stessa reazione per Wall Street, che ha aperto in negativo. Danni su danni. Come quelli che registra Apple, bruciando in pochi minuti 100 miliardi di valore per l’ennesima minaccia del presidente degli Stati Uniti: dazi al 25% sull’iphone se non sarà prodotto negli Stati Uniti. A tentare di spiegare la mossa di Trump ha pensato via X Andrea Stroppa, il referente di Elon Musk in Italia: “Esito scontato. Per gli Stati Uniti la Commissione Europea è un muro di burocrazia. In Europa solo un presidente ha ottime possibilità di fare un buon accordo: Giorgia Meloni”. Ci sono due cose diverse da tenere in considerazione rispetto a questa affermazione. La prima, sostanziale, è che l’Italia sulla politica commerciale non può fare accordi che non siano accordi europei. La seconda, che può essere interpretata come un segnale negoziale, è che la premier italiana potrebbe contribuire a una mediazione facendo valere le sue buone relazioni con la Casa Bianca. E la posizione dell'Italia è chiara: no ai contro dazi, trattare per arrivare a dazi zero. La domanda che viene spontanea è però soprattutto una: Trump vuole veramente andare allo scontro o tornerà ancora una volta sui suoi passi? Altro punto interrogativo riguarda la posizione dell’Europa. Fino a che punto si può sperare di poter negoziare per ad arrivare a una soluzione simile a quella ipotizzata per il Regno Unito, con le tariffe al 10%? E, ancora, fino a che punto sarà capace di far pesare la propria forza commerciale che è sicuramente superiore a quella politica, almeno in questa fase? La risposta a queste domande passa per la bassissima affidabilità del presidente americano. Continua con ossessione a ripetere lo stesso schema: alza la posta, torna indietro, minaccia e rilancia. A fermarlo, almeno nel medio termine, possono essere però le spinte interne, dalle grandi aziende americane ai miliardari del tech, a partire proprio dallo stesso Musk, che sanno ancora fare i conti e stanno già accumulando perdite. Trump può anche giocare la sua partita di poker ma senza sperperare la fortuna su cui è seduto. (di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - Due italiani su tre si sentono ceto medio, ma più della metà teme che i propri figli staranno peggio. Più di otto su dieci non vedono riconosciuto il valore delle proprie competenze nel reddito. E oltre il 70% chiede meno tasse sui redditi lordi. E' il ritratto del ceto medio italiano che emerge dal 2° rapporto Cida-Censis 'Rilanciare l'Italia dal ceto medio. Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare', commissionato da Cida, la Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità, e presentato oggi durante un convegno tenutosi alla Camera dei Deputati, aperto con i saluti istituzionali del Capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, Paolo Barelli e gli interventi del vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani e del viceministro dell'Economia e delle finanze, Maurizio Leo. Hanno portato i loro contributi Gabriele Fava, presidente Inps, Renato Loiero, consigliere del Presidente del Consiglio, e i deputati Elena Bonetti, Luigi Marattin, Annarita Patriarca e Walter Rizzetto. “Il Rapporto fotografa una frattura profonda: il ceto medio è il Punto di Tenuta del Paese, ma oggi vive un paradosso insostenibile. È troppo ricco per ricevere aiuti, troppo povero per costruire futuro. Colpito dal fisco, escluso dal welfare, ignorato nei riconoscimenti. Eppure, resiste: investe nei figli, tiene in piedi famiglie e territori con una generosità silenziosa. Ma quanto può sopportare ancora? E soprattutto, possiamo permetterci di non ascoltarlo? Se non si restituisce dignità economica a chi ogni giorno regge l’Italia, il rischio è uno solo: spezzare definitivamente il patto sociale su cui si fonda la nostra democrazia”. E' il grido d’allarme e insieme la richiesta di una scelta politica netta che arriva da Stefano Cuzzilla, riconfermato oggi alla guida di Cida dall’assemblea nazionale, che ha eletto anche i vicepresidenti Marco Ballarè, Antonello Giannelli e Guido Quici. Un capitale culturale forte, ma senza ritorno economico. Questa la contraddizione centrale che emerge dal nuovo rapporto Cida-Censis: il ceto medio italiano non si definisce attraverso il reddito, ma attraverso l’identità culturale. Il 66% degli italiani si riconosce nel ceto medio, e per oltre il 90% ciò che conta davvero è il sapere, il livello di istruzione, le competenze acquisite. Ma questi valori – pur costituendo il fondamento identitario – non trovano più riscontro nella realtà economica. L’82% degli italiani che si autodefinisce di ceto medio denuncia che il merito non viene riconosciuto, che il capitale culturale non si traduce in una giusta retribuzione. E' qui che si apre una frattura decisiva: tra capitale umano e capitale economico. E quando il riconoscimento non arriva, il motore si spegne: ciò che era spinta verso l’alto diventa semplice sopravvivenza. Negli ultimi anni, oltre la metà degli italiani che rappresentano l’ossatura sociale del Paese ha visto il proprio reddito fermo, mentre più di uno su quattro lo ha visto calare. Solo il 20% dichiara un miglioramento. Ma più che arretrare, il ceto medio oggi galleggia senza prospettiva. Anche i consumi riflettono questo stato: il 45% li ha già ridotti, e la maggioranza teme ulteriori tagli nel prossimo futuro. Non è solo una condizione economica, è un malessere sociale diffuso che svuota di speranza il futuro. Un futuro che, sempre più spesso, il ceto medio non riesce più a immaginare dentro i confini del Paese. Il 50% dei genitori appartenenti al cuore produttivo del Paese ritiene che i figli staranno economicamente peggio, e il 51% auspica che cerchino opportunità all’estero, segnando il sorpasso definitivo del 'mito dell’altrove' sul sogno di mobilità sociale interna. Nonostante ciò, il ceto medio continua a investire: il 67% delle famiglie di ceto medio con figli conviventi sostiene spese straordinarie per garantire un futuro ai figli, mentre oltre il 41% aiuta economicamente figli e nipoti, confermandosi come primo ammortizzatore sociale del Paese. Tra i pensionati della fascia di riferimento del rapporto Cida-Censis, il 47% aiuta regolarmente figli o nipoti, e il 66% ha finanziato o finanzierà almeno una spesa straordinaria. Questa 'generosità silenziosa' è sempre più sotto pressione. Solo il 52% si sente protetto da reti di welfare; gli altri oscillano tra ansia, incertezza e vera e propria insicurezza. E il risparmio, da sempre uno dei tratti distintivi del ceto medio, si erode: il 46% ha ridotto la capacità di accantonare risorse, e il 44% prevede un peggioramento nei prossimi tre anni. Quando la fiducia nel futuro si incrina, cresce il bisogno di protezione: ma è proprio qui che il sistema mostra le sue crepe più profonde. Solo il 18% giudica sufficiente il welfare pubblico. Di fronte a questa percezione di inadeguatezza, cresce la corsa al welfare integrativo: il 45% possiede una polizza sanitaria o un fondo pensione e circa il 36% vorrebbe che il contratto collettivo del settore in cui lavora prevedesse la sanità integrativa. Il rischio è una nuova disuguaglianza: tra chi può permettersi una protezione privata e chi resta scoperto.
(Adnkronos) - "Non possono esistere differenziazioni sociali nell’accesso all’energia perché esse creano rottura. Stiamo andando sulla buona strada, le grandi imprese sono molto avanzate, credo l’obiettivo si raggiungerà in tempi abbastanza brevi". Ad affermarlo è Claudio Granata, presidente di Road - Rome Advanced District – e direttore Stakeholder Relations & Services di Eni, a margine della presentazione, presso il Gazometro Ostiense di Roma, di Respiro, dispositivo indossabile di monitoraggio della qualità dell’aria. "Road è uno spazio tecnologico a disposizione delle società che aderiscono alla rete, e che desiderano focalizzarsi su alcuni temi strategici come la mobilità, ma anche una piattaforma per far dialogare tra loro pubblico e privato . In futuro vogliamo creare progetti congiunti che possano accelerare le attività di ricerca a partire dalla sicurezza degli impianti e delle persone. Tenere insieme questi due aspetti è fondamentale, non possiamo consentire ad alcuna tecnologia di poter essere, un giorno, dannosa per l’uomo", aggiunge.