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(Adnkronos) - Ogni volta che si discutono i dati economici - Pil, Occupazione e Inflazione sono i principali - ci si chiede quanto siano in grado di rappresentare le reali condizioni di vita degli italiani. C'è una distanza tra i dati e la realtà e c'è anche una diversa velocità tra le rilevazioni periodiche, che inevitabilmente scontano un ritardo di raccolta ed elaborazione, e le effettive condizioni di chi deve fare i conti con il costo della propria vita. Può aiutare a fare un po' di chiarezza un'analisi che mette insieme i principali indicatori Istat e la pubblicazione 'Benessere e disuguaglianze in Italia', sempre Istat, del 4 novembre scorso. Aprendo il sito dell'Istat sono in evidenza tre grafici significativi. Quello del Pil fa segnare nel terzo trimestre 2024 il dato più alto in valore assoluto dal 1996, 481.587 milioni di euro; gli occupati a settembre 2024 sono 23.983.000, sui massimi dal 2004, l'inflazione a ottobre 2024 è allo 0,9%, su valori non lontano dal minimo di gennaio 2015, 0,6%. Quindi, l'economia italiana è in piena salute e le condizioni economiche degli italiani lo sono altrettanto? E' utile, a questo punto, andare a sfogliare la pubblicazione 'Benessere e diseguaglianze in Italia'. Il primo fattore che va considerato è che a livello territoriale persistono forti disuguaglianze. Le regioni del Nord emergono con valori di benessere superiori alla media nazionale, mentre il Mezzogiorno presenta ancora situazioni di marcato svantaggio, soprattutto nei quando si parla di lavoro e conciliazione dei tempi di vita e relazioni sociali. La maggior parte degli indicatori mostrano, inoltre, uno svantaggio femminile. Le donne restano fortemente penalizzate nel mercato del lavoro, sia sugli indicatori quantitativi che su quelli qualitativi. Il tasso di occupazione è marcatamente più basso, mentre sono più elevati sia il tasso di mancata partecipazione al lavoro, sia l’incidenza del part-time involontario. Considerare gli indicatori per titolo di studio è fondamentale alla luce del legame profondo tra istruzione e qualità della vita. Avere un alto livello di istruzione significa godere di più elevati livelli di benessere e di una maggiore protezione dalle vulnerabilità date dalla combinazione di più fattori discriminanti. L’investimento in capitale umano è uno dei principali fattori di protezione dalle difficoltà economiche. Il rischio di povertà dei laureati è più che dimezzato rispetto al totale della popolazione. Il disagio economico è poi molto differenziato sul territorio perché il rischio di povertà è minimo tra i laureati residenti al Nord e massimo tra i residenti al Mezzogiorno con bassa istruzione. Questa analisi dell'Istat aiuta a capire perché c'è una distanza considerevole tra quello che dicono i macro dati e le condizioni reali di vita degli italiani. Entrando nello specifico del disagio economico si riesce ad andare oltre. "Il disagio economico è poi molto differenziato sul territorio perché al Nord il rischio è inferiore al 10% (3,6% se laureati) e al Mezzogiorno sale al 30,8% (40,7% se con bassa istruzione)". Se si considerano anche le differenze di genere si vede come "il gruppo più svantaggiato è costituito dalle donne con bassa istruzione residenti al Mezzogiorno, tra le quali il rischio di povertà raggiunge il 42,7%". Inoltre, le differenze territoriali si aggiungono a quelle per istruzione, anche considerando le fasce di età, con "un rischio di povertà che nel Mezzogiorno è più elevato e tra i giovani adulti con basso titolo di studio sale al 56,7%". All’interno del mercato del lavoro il capitale umano ha un ruolo estremamente positivo. Il tasso di occupazione dei laureati (84,3%) e diplomati (73,4%) è ben al di sopra del valore medio per l’Italia (69,1%) mentre per chi ha un basso titolo di studio scende al 54,2%. Inoltre, anche nel Mezzogiorno essere laureati (82,5% contro 59% degli uomini con bassa istruzione) ed in particolare laureate (71,8% contro appena il 21,8% delle meno istruite) pone in condizioni di vantaggio rispetto agli esiti occupazionali e riduce la distanza con gli occupati di pari istruzione nelle altre zone del Paese. La conclusione a cui si arriva è che dentro i macro dati c'è una realtà che cambia molto rispetto alla collocazione geografica, al genere e al livello di istruzione. Come dire, lo stesso dato del Pil si porta dietro una realtà frammentata e piena di disuguaglianze. (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - In tema di digitalizzazione "i fondi sono importanti, ma molto spesso risultano essere molto più strategiche le risorse di cui si dispone in termini di capitale umano. Su questo aspetto bisogna fare ancora dei passi in avanti importanti”. Risponde così, all’Adnkronos, l’amministratore delegato di Engineering, Maximo Ibarra, intervistato in occasione di ‘FutureS’, l’evento organizzato da Sisal nella Galleria Doria Pamphilj a Roma, per stimolare un confronto tra istituzioni, aziende e opinion maker e discutere delle sfide e delle opportunità legate all'innovazione digitale. Al centro dell’appuntamento il tema delle infrastrutture digitali come motore di sviluppo per il sistema produttivo italiano. Un contesto, quello del nostro Paese, che mostra ancora una forte disomogeneità negli investimenti digitali, con le Pmi che affrontano ritardi significativi rispetto alle grandi imprese: “Non si tratta di progettualità, ma di quelle persone e competenze, anche di program management, che possono aiutare i Comuni nella messa a terra di questi progetti”, legati alla digitalizzazione, “Perché quando si ha un piano, il piano è importante, rilevante, ma poi bisogna implementarlo”, le parole di Ibarra. A rallentare il progresso di trasformazione tecnologica, l’inverno demografico che vive il Paese: “Mancano i giovani. Bisogna fare tre cose per poter affrontare questo tema - suggerisce l’ad di Engineering - ci vuole maggiore collaborazione tra le aziende e le università preparando insieme i percorsi formativi, dall'inizio. Un secondo aspetto, invece, è la collaborazione tra le stesse aziende, cominciando a costruire o ad implementare un network di Academy. Questo può facilitare l’incontro tra la domanda e l'offerta. Terzo - continua Ibarra - un lavoro di innovazione su quelli che sono i percorsi formativi proprio nelle scuole. Non parlo più delle università. Il tipo di formazione che oggi bisogna dare per poter sfruttare al meglio”, le nuove tecnologie, “non è soltanto digitale in senso stretto - conclude - ma è molto più ibrido e molto più ampio”.
(Adnkronos) - I biologi entrano nelle scuole elementari per insegnare ai bambini l’educazione alla salute e all’ambiente. Lo faranno grazie al progetto 'Costruiamo la salute! Biologi nelle scuole', promosso dall’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Biologi (Enpab) in accordo con il ministero della Salute e il ministero dell'Istruzione e del Merito, giunto alla sua VI edizione. Un programma didattico per l’anno scolastico 2024/2025 che coinvolge 200 biologi e 100 scuole su tutto il territorio nazionale con l’obiettivo di sensibilizzare gli studenti delle III elementari e le loro famiglie, sul tema della sostenibilità alimentare e ambientale. I biologi, dopo essere stati formati dagli esperti di Enpab, terranno 9 lezioni di 2 ore che si svolgeranno sotto forma di incontri e laboratori sperimentali, anche attraverso l’utilizzo pedagogico del disegno e del gioco. "Il ruolo del biologo in tutte le sue declinazioni - spiega la presidente Enpab Tiziana Stallone - è di estrema importanza per la diffusione del valore della sostenibilità e dell’integrazione tra uomo, ambiente e animali secondo la visione olistica One Health. Per questo il progetto ha una duplice valenza: la prima è di sostegno al lavoro in maniera attiva, perché una parte delle borse sono destinate agli iscritti con fragilità". Il bando ha riservato, infatti, prioritariamente il 20% dei posti alle biologhe che dichiarano di aver avuto una maternità nel periodo compreso dal 1° gennaio 2022 in poi e ai genitori con figli con disabilità invalidante. Sempre in conformità alle politiche di welfare attivo di sostegno alla professione e al reddito sono state considerate in sede di assegnazione graduale dei punteggi le fasce reddituali classificabili tra quelle più deboli. "D’altra parte - aggiunge la presidente Enpab - è necessario creare un ponte con le giovani generazioni, per instradarle verso una nuova etica One Health. Enpab sposa in pieno questa visione olistica, credendo fermamente nelle sinergie professionali con l’obiettivo della tutela della salute e della sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione. Il concetto di One Health porta con sé nuove occasioni professionali per il biologo, figura di riferimento nella transizione ecologica e nutrizionale della nostra economia e della nostra società". Il progetto 'Biologi nelle scuole', nato nel 2015 e interamente finanziato da Enpab con borse lavoro erogate a ciascun biologo vincitore del bando per uno stanziamento complessivo negli anni di 2 milioni di euro, ha coinvolto negli anni un totale di 1.000 biologi professionisti, con specializzazioni in materia alimentare e ambientale, che hanno insegnato all’interno di circa 500 istituti scolastici. Le lezioni sono strutturate con una comunicazione e una formazione molto semplice, così da rendere percettibili agli alunni i concetti tecnici, enfatizzando l’aspetto educativo, comportamentale e motivazionale e la piena consapevolezza dell’importanza della corretta alimentazione e della tutela dell’ambiente. "La scuola italiana anche attraverso le competenze del biologo - conclude la presidente Stallone - è il luogo d’elezione in cui svolgere un programma di educazione alimentare e alla sostenibilità, in grado di guidare il processo di osservazione, prevenzione e miglioramento degli stati di sovrappeso e obesità tutt’ora presenti significativamente sul nostro territorio e di creare consapevolezza riguardo lo stato di salute dell’intero Pianeta".