ENTRA NEL NETWORK |
ENTRA NEL NETWORK |
(Adnkronos) - Aumentano i casi di studenti che si rifiutano di sostenere l'esame orale alla maturità. Dopo Gianmaria Favaretto del liceo scientifico Fermi di Padova e Maddalena Bianchi, studentessa del liceo scientifico di Belluno, anche uno studente del liceo classico Antonio Canova di Treviso ha rifiutato di sostenere l'esame orale alla maturità. Secondo quanto riporta il Gazzettino, il ragazzo non si è nemmeno presentato davanti alla commissione d’esame, certo di essere comunque promosso tra risultati degli scritti e crediti dell'ultimo triennio. "Principalmente credo che sia esibizionismo", così Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi, commenta all'Adnkronos i tre casi in Veneto. "È un modo a buon mercato - ha spiegato - per avere una grande visibilità mediatica e ritengo inoltre che questa cosiddetta forma di protesta non sia opportuna, ci sono tanti altri modi per protestare e le nostre leggi e la stessa Costituzione sono estremamente garantiste: abbiamo tante cose che non vanno, si può legittimamente protestare, ma questo modo non è accettabile". Giannelli ha aggiunto che "evidentemente" i ragazzi non erano "interessati a conseguire un voto particolarmente alto all'Esame di Stato, anche perché, qualcuno avrà riflettuto sul fatto che un voto alto sostanzialmente non serve molto, a meno che non si abbia 100 o 100 e lode che può avere un minimo di effetto sulle iscrizioni universitarie". "Io non condivido questo approccio perché per me se c'è un esame, tra l'altro previsto dalla Costituzione, si deve sostenere in tutti i suoi aspetti, - precisa Giannelli - sostenere tutte le prove d'esame è inoltre una forma di rispetto nei confronti degli altri candidati e della scuola come istituzione, e direi anche della nostra Costituzione". "Al momento - evidenzia - l'unico requisito è che la somma totale dei punteggi dovuti al curriculum, alle due prove scritte e alla prova orale, sia almeno pari a 60. Se invece si introducesse una soglia minima anche non particolarmente elevata per ogni prova e in particolare per il colloquio, credo che questo tipo di difficoltà non si presenterebbe". "In psicologia, quando un gesto rompe le regole, spesso è un modo per dire: 'Così non va più bene'. È quello che hanno fatto alcuni ragazzi. Non hanno rifiutato un esame. Hanno rifiutato un sistema che li ha fatti sentire numeri, non persone. Che ha premiato la prestazione, non la crescita. Che ha chiesto molto e restituito poco in termini di ascolto, senso, umanità", così all'Adnkronos il prof. Lavenia psicologo e presidente dell’Associazione Di.Te., (Dipendenze tecnologiche, GAP, Cyberbullismo). E spiega: "La scuola li ha formati? Forse. Ma li ha anche educati alla corsa, al voto, alla competizione. Poco spazio per l’errore, pochissimo per le emozioni. Zero per la fragilità. E allora arriva il gesto: saltare l’orale, non per mancanza di responsabilità, ma per eccesso di consapevolezza. Per dire che non ci si riconosce più in certi riti, quando quei riti non parlano più di noi. Chi educa dovrebbe saperlo: dietro un comportamento estremo c’è sempre un bisogno non ascoltato. Non è un capriccio. È una richiesta. Non è sfida. È domanda. Non è arroganza. È disagio. Ma noi adulti siamo ancora capaci di coglierlo? O ci rifugiamo, come sempre, nella punizione?". "Il ministro annuncia che chi rifiuterà l’orale, l’anno prossimo, sarà bocciato. Ma così - continua Lavena - rischiamo solo di spegnere il sintomo. Non di curare la malattia. Il vero tema è un altro quale maturità chiediamo ai ragazzi, se non siamo noi per primi disposti a metterci in discussione? Se non siamo capaci di dire: forse abbiamo costruito una scuola che li prepara a superare test, ma non a reggere la vita. Ascoltare non vuol dire essere d’accordo. Vuol dire dare dignità a una voce. E quando due ragazzi, uno dopo l’altro, dicono 'no' a un esame, non stanno dicendo no alla scuola. Stanno chiedendo un modo diverso di viverla. Se non capiamo questo perderemo un’altra occasione. E forse anche un’altra generazione".
(Adnkronos) - "Il Report sulla retribuzione 2024 di Coverflex ha rilevato come il 60% dei lavoratori percepisca poca chiarezza nei criteri per promozioni e aumenti salariali, mentre il 74% ritiene il proprio pacchetto retributivo inadeguato o poco competitivo rispetto ad altre aziende del settore. In un mercato del lavoro sempre più fluido e intergenerazionale, questi dati non sorprendono affatto: la trasparenza non è più un 'nice to have', ma un principio imprescindibile per costruire ambienti di lavoro equi, attrattivi e sostenibili". Lo dice all'Adnkronos/Labitalia Andrea Guffanti, general manager Coverflex Italia. "La direttiva europea 2023/970 - spiega - che dovrà essere recepita dai Paesi membri entro giugno 2026 rappresenta un passaggio cruciale, perché introduce l’obbligo di rendere espliciti criteri retributivi, scatti di livello e parametri salariali, assicurando che il divario retributivo tra generi non superi il 5%. Si tratta di un punto di svolta che rischia però di restare solo un atto formale se non accompagnato da un cambiamento culturale più ampio. I numeri italiani, del resto, parlano chiaro. Secondo un recente sondaggio di Indeed, solo il 19,3% degli annunci di lavoro pubblicati online include una fascia di retribuzione, a fronte del 50,7% in Francia e del 69,7% nel Regno Unito. Anche all’interno delle imprese, la strada è lunga: meno della metà adotta politiche trasparenti, e appena il 40% si dichiara favorevole al fatto che i propri dipendenti possano discutere apertamente di salario". "Come manager - sottolinea - credo che la trasparenza non debba essere solo una risposta normativa, ma un valore fondante del modo in cui ripensiamo la retribuzione oggi. E' con questa convinzione che ogni giorno in Coverflex lavoriamo per costruire un sistema più equo, accessibile e consapevole e per ridurre l’asimmetria informativa tra dipendente e azienda. Credo anche che parlare di 'salario' non basti più. Dobbiamo iniziare a parlare di pacchetto retributivo: una combinazione di strumenti che include retribuzione, stock option, benefit, flessibilità e benessere individuale". "Sempre più persone- avverte - in particolare tra le nuove generazioni, chiedono coerenza, chiarezza e partecipazione nei processi retributivi. Non si tratta solo di sapere 'quanto si guadagna', ma come e perché quella cifra è stata definita, quali diritti e opportunità si accompagnano a quel ruolo, quali strumenti rendono realmente sostenibile la vita delle persone e quali possono essere i percorsi di crescita all’interno dell’azienda. In questo scenario, la trasparenza è un impegno che deve riguardare l’intera comunità del lavoro: imprese, manager, istituzioni, collaboratori". "Per essere parte attiva di questo cambiamento - suggerisce Andrea Guffanti - chi fa impresa deve contribuire a promuovere un approccio in cui il dialogo interno, la chiarezza dei criteri, la condivisione degli obiettivi diventino elementi di fiducia e non di conflitto. Perché la fiducia è il fondamento di ogni cultura aziendale sana". "Non basta allinearci a una direttiva europea - ammette - è il momento di abbracciare un nuovo approccio al lavoro, basato su responsabilità condivisa, inclusione e trasparenza piena. Un approccio in cui finalmente retribuire non significa solo pagare una persona, ma prendersene cura".
(Adnkronos) - “Nell’accingermi a partecipare a Ecoforum per raccontare della nostra filiera circolare per “l’industria pulita” ho avuto l’opportunità, grazie all’indagine IPSOS, di raccogliere le percezioni dei cittadini, poco ottimistiche rispetto alle performance dell’Italia circolare. Lo sottolinea Riccardo Piunti, presidente del Conou ricordando come "gli Italiani, ad esempio, ritengono mediamente che circa il 50% dell’olio minerale usato sia destinato a combustione, molti pensano che la raccolta del rifiuto sia un compito del meccanico vicino di casa, che il processo complessivo sia affidato a singole aziende specializzate senza un coordinamento; addirittura, un 6% pensa che l’olio usato finisca in fogna". Piunti aggiunge che "credono tuttavia che, quando si rigenera, l’olio sia mediamente di buona qualità dando credito alla tecnologia e non all’organizzazione. Vorrei, al contrario, che fossero informati e fieri dei risultati del nostro Paese, consci del ruolo del modello consortile che porta a raccogliere l’olio a titolo gratuito e rigenerare tutto". "La coscienza dei buoni risultati - conclude - aiuterà il conseguimento di ulteriori traguardi che potranno essere raggiunti, nelle filiere più diverse, solo con il contributo informato di tutti".